Con il suo J’accuse Roman Polanski ha voluto rendere omaggio al cinema di Alfred Hitchcock, in particolare penso ai film Il Delitto perfetto e Nodo alla gola, ricostruendo la nota storia di Dreyfus in sequenze che intrecciano, sin dall’inizio, le vicissitudini ed il carattere della vittima con le azioni del suo salvatore, il colonnello Picquart, concatenandosi in un contesto già compiuto, destinato ad evolversi in un finale prestabilito in cui il misfatto è svelato grazie ad un errore fatale del criminale che ha architettato malamente il piano delittuoso, e lasciando allo spettatore il compito di ripercorrere mentalmente l’ordito della trama per giungere, infine, ad una conclusione emotiva inaspettata che disorienta ed invita alla riflessione.
Nel Delitto perfetto c’è qualcosa che il criminale ha lasciato al suo posto, ma che non avrebbe dovuto trovarsi più lì, la chiave sotto lo zerbino, che qui diventa il documento segreto tenuto in cassaforte dal maggiore Henry. In Nodo alla gola l’elemento incriminante è sotto gli occhi di tutti, ma uno soltanto lo vede per quello che è, il laccio che è servito per strangolare l’amico qui diventa il testo autografo incorniciato che falsamente incolpava Dreyfus.
La firma che autentica l’omaggio è l’apparizione dello stesso Polanski, con baffoni asburgici, sullo sfondo di una scena tra gli invitati ad un ricevimento, come piaceva fare al “maestro del brivido”.
La sovrapposizione dei temi, propria di un film ispirato a vicende storiche, la questione dell’antisemitismo, le lotte politiche e lo strapotere dell’Esercito nella Francia dell’ultimo scorcio del XIX secolo e degli inizi del XX, pur costituendo la struttura del film non predominano soffocando il dramma, ma anzi donano il giusto colore agli ambienti ed il calore della vita vera ai protagonisti, impegnati in un duello a distanza, Dreyfus e Picquart. I due eroi combattono entrambi il mondo, ma da una prospettiva diversa e per una causa diversa, la vittima per difendere la propria vita ed il proprio onore, il salvatore per difendere il principio etico della Verità che travalica ogni obbligo sociale e ogni dovere di fedeltà e di coerenza derivante dall’appartenenza all’Esercito, alla Nazione, alla razza…
Nella scena finale, ricomposto il dramma storico, si riaffrontano i duellanti, ma ora le prospettive sono capovolte. Dreyfus invoca la modifica di una legge per affermare il principio etico dell’Equità, Picquart, rientrato nei ranghi con il grado di generale, gli oppone la contingenza politica che impedisce in quel momento di cambiare una legge ingiusta. Gli obblighi sociali hanno ripreso il sopravvento e la rivoluzione per la Verità ha lasciato il posto alla gestione burocratica del potere.
La parabola umana di Picquart diventa metafora di tutte le rivoluzioni.
Ma il finale emotivo inaspettato che coinvolge lo spettatore è dovuto all’antipatia che suscita il personaggio di Dreyfus, che invece di ringraziare colui che gli ha salvato la vita, va da lui per recriminare la sua mancata promozione al grado superiore. Polanski vuole dirci che al di là dell’antipatia, ovvero delle passioni e dei sentimenti che ci suscitano le persone o i popoli, occorre riflettere sulla pretesa che essi avanzano. In questo caso Dreyfus sta chiedendo ciò che gli spetta in virtù del principio etico di Giustizia e nient’altro. E di questo parla il film, di principi etici, di Verità, di Giustizia, di Equità, che superano la vicenda storica contingente del caso Dreyfus, che non appartengono soltanto alla storia della Francia del XIX o XX secolo, ma alla storia dell’uomo, al suo essere per la verità e che vale la pena riaffermare oggi, nel XXI secolo, come valori ormai obliati dal mondo contemporaneo.
[+] lascia un commento a carloalberto »
[ - ] lascia un commento a carloalberto »
|
antonio montefalcone
|
domenica 15 dicembre 2019
|
un convincente e complesso affresco storico/umano
|
|
|
|
"J'accuse", l'ultima interessante pellicola di Roman Polanski, è grande cinema. Un cinema che sa trattare con acutezza e profondità una scandalosa ed importante pagina di Storia (l'ingiusta accusa di tradimento, l'umiliazione pubblica, la condanna e l'esilio per il capitano Dreyfus) attualizzandola in molti suoi aspetti. L'opera, con un'impostazione classica e con toni da trhiller politico, sa descrivere e raccontare questo clamoroso errore giudiziario, sa scandagliare nelle pieghe ambigue dell'animo umano e nelle zone d'ombra del Potere, sa ricreare l'atmosfera persecutoria del caso (all'epoca divise la Francia tra innocentisti e accusatori) e l'implacabile odio antisemita che serpeggiava nella società.
[+]
"J'accuse", l'ultima interessante pellicola di Roman Polanski, è grande cinema. Un cinema che sa trattare con acutezza e profondità una scandalosa ed importante pagina di Storia (l'ingiusta accusa di tradimento, l'umiliazione pubblica, la condanna e l'esilio per il capitano Dreyfus) attualizzandola in molti suoi aspetti. L'opera, con un'impostazione classica e con toni da trhiller politico, sa descrivere e raccontare questo clamoroso errore giudiziario, sa scandagliare nelle pieghe ambigue dell'animo umano e nelle zone d'ombra del Potere, sa ricreare l'atmosfera persecutoria del caso (all'epoca divise la Francia tra innocentisti e accusatori) e l'implacabile odio antisemita che serpeggiava nella società. Il film prende il titolo dell'articolo scritto dall'innocentista Emile Zolà, mentre la solida, densa e tesa sceneggiatura firmata dal regista con Robert Harris ('L'uomo nell'ombra'), attinge dal romanzo "The Dreyfus Affair" di quest'ultimo. Ma è anche attraverso la minuziosa e coinvolgente messinscena e attraverso l'impeccabile confezione formale/stilistica che ricostruisce in modo eccellente i fatti, le dinamiche della vicenda, i suoi luoghi e personaggi, che il film sa arrivare a far riflettere ed emozionare lo spettatore. Tutto è un'attenta ed intensa indagine sui mali sociali che si riflettono con le sue conseguenze negative e distruttive sulla vita di persone innocenti. Il dramma, infatti, visto dalla prospettiva dell'individuo che subisce l'ingiustizia, assume i contorni cupi e amari di una tragedia collettiva, dato che arriverà a toccare dimensioni complesse come la dignità di una persona ma anche quella del suo popolo d'origine, le istituzioni e i biechi giochi di potere, i complotti mistificatori e strumentalizzanti, la morale e la giustizia nella loro affermazione e manipolazione, il senso del (fare il proprio) dovere in relazione a conflitti di varia natura (etica, politica, sociale e psicologica). Il credibile, filologico affresco storico si trasfigura così in una dettagliata, complessa e lucida riflessione sulla colpa e sulla morale; l'efficace ed affascinante spettacolo cinematografico in grande lezione di Storia dai risvolti esistenziali ed umanistici. Meritato il Gran Premio della Giuria al 76° Festival di Venezia. Un capolavoro, assolutamente da non perdere.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a antonio montefalcone »
[ - ] lascia un commento a antonio montefalcone »
|
|
d'accordo? |
|
|