Il Signor Diavolo

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Dove si nasconde il Diavolo Valutazione 5 stelle su cinque

di Tom Cine


Feedback: 4170 | altri commenti e recensioni di Tom Cine
sabato 10 luglio 2021

Il cinema di Pupi Avati, regista che sa essere molto eclettico rimanendo contemporaneamente fedele alla sua poetica, è attraversato spesso da un filo rosso che lo collega al mistero, all’esoterismo, alla morte e, qualche volta, anche alla religione cattolica. Sono elementi che erano già presenti nei primi film e che tornano spesso, non soltanto in quelli collocabili nell’horror o nel thriller, ma anche in quelle opere, nostalgiche e apparentemente più rassicuranti, che contraddistinguono gran parte della sua carriera. Questo avviene perché, nei film del regista bolognese c’é spesso l’interesse per ciò che riguarda la morte e per tutto ciò che le è collegato, compresa la religione (cattolica, nel caso di questo e di altri film di Avati).

“Il signor Diavolo” è stato paragonato a “La casa dalle finestre che ridono” (che vira di più verso il thriller) per le atmosfere e per le ambientazioni simili (ma il primo ha un’ambientazione veneta, mentre il secondo ha come sfondo l’Emilia, anche se i due film condividono alcune locations), ma è il perfetto contraltare di “Magnificat” (altro film di Avati dove il cattolicesimo, sia pure in un contesto medievale e in una funzione complessivamente più positiva, ha un ruolo fondamentale) e somiglia di più a “L’arcano incantatore” (con cui condivide le tematiche esoteriche e soprannaturali affiancate a quelle cattoliche).  Se in “Magnificat” la religione cattolica dava forza, ai personaggi, per affrontare le durezze della vita, ne “Il signor Diavolo” diventa strumento di terrore.

Questo splendido ritorno di Avati ad atmosfere più smaccatamente horror ha il suo punto di forza nella descrizione molto cruda della società poverissima e contadina dell’Italia del 1952. Infatti è proprio in un paesino di provincia dell’epoca, Lio Piccolo, che viene spedito un giovane funzionario, Furio Momenté, per indagare sull’omicidio compiuto da un adolescente, Carlo Mongiorgi, ai danni di un altro ragazzo, Emilio. La motivazione dell’omicida è grottesca e inquietante: il giovanissimo assassino è convinto di aver ucciso il Diavolo. Leggendo, nella documentazione che gli è stata affidata, la testimonianza di Carlo, Furio scopre che Emilio era considerato, da tutti gli abitanti del paese, una creatura diabolica a causa della sua deformità e della sua instabilità mentale. Una serie di fatti, alcuni tragici (la morte di un amico di Carlo e quella della sorellina neonata di Emilio)  e altri quasi ridicoli (tutto parte da un atto di bullismo e da uno sgambetto), hanno indotto Carlo a credere che Emilio fosse proprio un’incarnazione satanica. Una volta giunto sul posto, Furio (che ha anche delle responsabilità politiche, ma non voglio dirvi molto) si rende conto che la realtà è perfino più sinistra  e pericolosa di quanto si possa immaginare e che, negli eventi che hanno portato all’omicidio, sono coinvolti personaggi molto ambigui, insospettabili e temibili.

“Il signor Diavolo”, rispetto ai lavori precedenti, ha una sceneggiatura più complessa e raffinata: mentre i precedenti horror di Avati sono più lineari, lo svolgimento della trama di questo film avviene lungo più piani temporali e adotta, man mano che il protagonista procede nell’inchiesta interrogando coloro che sono coinvolti, i punti di vista di alcuni dei personaggi maggiormente coinvolti. Questo stratagemma invita lo spettatore a seguire attentamente la storia: Avati non è un regista interessato a costruire film horror basati sui facili spaventi e sulle efferatezze (un pugno di immagini cruente ci sono, ma solo dove la narrazione le richiede e si avvalgono dell'ottimo lavoro del grande Sergio Stivaletti), ma punta molto sull’intreccio, sulle psicologie dei personaggi e sulla costruzione (sempre efficace e qui addirittura più che altrove) di un’atmosfera minacciosa dove, dietro una quiete apparente, si nasconde l’orrore. Pupi Avati e i suoi collaboratori sono riusciti a costruire, con questo film (che è anche molto più politico dei precedenti), un meccanismo complesso, inquietante e intrigante nel quale è difficile distinguere la verità dalla menzogna e, nello stesso tempo, un vero horror capace di inquietare muovendosi lungo i binari, per quello che riguarda la presenza demoniaca costantemente chiamata in causa e mai esibita troppo apertamente, dell’inspiegabile. “Il signor Diavolo” può tranquillamente essere inserito nel filone “demoniaco” del genere horror perché Avati è abilissimo nel suggerire, attraverso piccoli tocchi, la presenza diabolica senza dare (volutamente) troppe spiegazioni: tuttavia, è riduttivo definirlo come un semplice film sul Diavolo. Il regista (che ha tratto questo film da un suo romanzo)  e i suoi sceneggiatori sanno benissimo che l’ignoto, per far davvero paura, deve rimanere tale: qui è solo uno dei tanti elementi che dirottano il film dove fa più paura e inquieta davvero. Nonostante il titolo (ironico) e gli elementi horror messi in campo (incluso un esorcista ma, differentemente da tanti altri film sul Diavolo, qui si accenna, in un  dialogo, ad un esorcismo ma non viene mai mostrato questo rituale), “Il signor Diavolo” è anche  e soprattutto un film sulla crudeltà umana e sulla falsità delle apparenze. Per trattare questi temi, il film usa, come elemento scardinante, proprio il Diavolo e la maniera in cui viene tratteggiato nella cultura contadina. Ed è attraverso quest’ultima che il film approda, infine, ad una visione sul Male (quello con la “M” maiuscola) che chiama in causa non soltanto eventuali presenze demoniache, ma anche (e soprattutto) la cattiveria umana.

“Il signor Diavolo” è  quindi un horror in piena regola, ma gli elementi psicologici (che tengono anche in conto l’epoca in cui il film è ambientato) e le relazioni tra i vari personaggi sono aspetti fondamentali. Anche e soprattutto per questo, come in tutti i film di questo regista, dove le relazioni tra i personaggi (anche quando sono  volutamente grotteschi) costituiscono l’ossatura portante della trama, Avati si è riconfermato come un ottimo direttore di attori: a parte Lino Capolicchio e Gianni Cavina,  frequenti presenze nei suoi film (soprattutto il secondo) e qui entrambi in abiti talari, il cast comprende anche Andrea Roncato (credibilissimo, conferma un’altra abilità di Avati: prendere un attore comico e calarlo perfettamente in un personaggio dentro un contesto non ironico) e un efficace Alessandro Haber nel ruolo di un esorcista. Gabriel Lo Giudice, nel ruolo di Furio Momenté, si rivela una scelta assai azzeccata e memorabili sono anche i giovani Filippo Franchini e Lorenzo Salvatori (rispettivamente nei panni di Carlo e di Emilio). Tutti sanno far scorrere, illuminati da una tenebrosa fotografia nella quale predominano il nero e varie tonalità di grigio, profondi brividi lungo la schiena dello spettatore: ma rimane nella memoria soprattutto Clara Vestri Musy, la madre di Emilio, interpretata da Chiara Caselli. Pupi Avati  ha richiamato su un set la Caselli (assente da parecchi anni nel mondo del cinema) e le ha messo, fra le mani, un personaggio bellissimo e l’attrice gli ha dato vita in maniera equilibrata, senza strafare: una vera e propria maschera di dolore e di amarezza che si aggira, vestita di nero, come una presenza funebre, nel film. Un film che richiede un grande attenzione da parte dello spettatore, perché è nei suoi particolari che si nasconde il Diavolo.

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