lizzy
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domenica 8 dicembre 2019
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il signor pupi
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Bello.
Non certo un "horror" tipico con scene che terrorizzano la platea di quando in quando, ma più che altro lo inserirei in una categoria dal nome "Disturbing Movie".
Veramente azzeccate fotografia ed inquadrature: il colore "gotico" e le riprese dei dettagli rendono l' idea della provincia povera e superstiziosa, dei personaggi miseri e abbandonati a se stessi.
Forse dialoghi e recitazione lasciano un poco a desiderare: a volte si ha come l' impressione che gli attori attendano un cenno di qualcuno o che siano ai primi vagiti della recitazione, ma tutto sommato niente di irreparabile.
Se non fosse per queste sbavature saremmo davanti ad un capolavoro.
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Bello.
Non certo un "horror" tipico con scene che terrorizzano la platea di quando in quando, ma più che altro lo inserirei in una categoria dal nome "Disturbing Movie".
Veramente azzeccate fotografia ed inquadrature: il colore "gotico" e le riprese dei dettagli rendono l' idea della provincia povera e superstiziosa, dei personaggi miseri e abbandonati a se stessi.
Forse dialoghi e recitazione lasciano un poco a desiderare: a volte si ha come l' impressione che gli attori attendano un cenno di qualcuno o che siano ai primi vagiti della recitazione, ma tutto sommato niente di irreparabile.
Se non fosse per queste sbavature saremmo davanti ad un capolavoro.
Anche la storia, tutto sommato, è abbastanza originale.
Certo che il protagonista la sua sorte se la è andata a cercare, buttandocisi dentro "con tutte le scarpe" (sarebbe il caso di dire!).
Un grande Avati come non si vedeva da tempo.
Il "Signor Pupi" ci ha abituati a pellicole ottime e filmettini anonimi, ma in questi suoi alti e bassi non ha mai perso occasione per, comunque, tenere alta l'attenzione verso i suoi lavori.
Beh: questo è uno dei suoi "alti".
Checchè qualcuno ne possa dire...
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[+] film mediocre
(di doni64)
[ - ] film mediocre
[+] critica azzeccata
(di melies)
[ - ] critica azzeccata
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k. s. stanislavskij
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giovedì 29 agosto 2019
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angel heart in veneto
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Mi ha ricordato davvero Angel Heart, per ambientazione anni 50, solo che al posto della Louisiana c'è la la laguna veneta e i suoi tramonti pallidi , e per l'indagine spasmodica del protagonista che si muove in atmosfere sempre più inquietanti tra superstizione e oscurità.
Ottima scrittura e sopratutto ottima riflessione sulle dinamiche del "diavolo", molto interessante lo sfondo politico , la DC di De Gasperi, che incornicia la vicenda e fino alla fine non sappiamo se si tratti di occulto, di follia, di superstizione, di politica o altro...Bravi alcuni interpreti...l'Emilio di Avati si muove come il Nosferatu di Murnau ed è iconico, bravissima Chiara Caselli, efficce Haber, Capolicchio, Gravina.
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Mi ha ricordato davvero Angel Heart, per ambientazione anni 50, solo che al posto della Louisiana c'è la la laguna veneta e i suoi tramonti pallidi , e per l'indagine spasmodica del protagonista che si muove in atmosfere sempre più inquietanti tra superstizione e oscurità.
Ottima scrittura e sopratutto ottima riflessione sulle dinamiche del "diavolo", molto interessante lo sfondo politico , la DC di De Gasperi, che incornicia la vicenda e fino alla fine non sappiamo se si tratti di occulto, di follia, di superstizione, di politica o altro...Bravi alcuni interpreti...l'Emilio di Avati si muove come il Nosferatu di Murnau ed è iconico, bravissima Chiara Caselli, efficce Haber, Capolicchio, Gravina...non si riconosce Cremonini, truccatissimo, e gli altri comprimari, alcuni presi dalla tv e rimodulati...bravo il bambino Carlo, ma la scrittura del film è ben congegnata e consiglio di stare molto attenti alle logiche e alle frasi per il finale ad effetto non è il punto più importante, ma l'intera vicenda è un puzzle che assume diversi significati. Film molto interessante davvero...bravo il Maestro Avati. Buon Cinema
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loland10
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sabato 24 agosto 2019
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diario di un'indagine...malefica
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“Il Signor Diavolo” (2019) è il trentanovesimo lungometraggio del regista bolognese Pupi Avati.
E arrivare alla soglia di un’età (non facile) che ci si può permettere di tutto o quasi, il nostro ritorna nei posti frequentati nei suoi primi lavori.
Un cinema in linea dritta, poco accattivante e caramelloso, ostinatamente artigianale (o quasi), asciutto, poco incline all’applauso facile. Quasi scomodo, non piacevole subito e quasi mai i dettagli sono inutili come i cosiddetti personaggi minori.
Un cinema, quello avatiano, signorile, educato, distante, rispettoso, intrigante e, alquanto, fastidioso.
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“Il Signor Diavolo” (2019) è il trentanovesimo lungometraggio del regista bolognese Pupi Avati.
E arrivare alla soglia di un’età (non facile) che ci si può permettere di tutto o quasi, il nostro ritorna nei posti frequentati nei suoi primi lavori.
Un cinema in linea dritta, poco accattivante e caramelloso, ostinatamente artigianale (o quasi), asciutto, poco incline all’applauso facile. Quasi scomodo, non piacevole subito e quasi mai i dettagli sono inutili come i cosiddetti personaggi minori.
Un cinema, quello avatiano, signorile, educato, distante, rispettoso, intrigante e, alquanto, fastidioso. Non ci si scompone di dividere ma ci si accomoda per unire quello che aspetti e non ti aspetti, il film degli opposti in ognuno e anche nello spettatore lasciandolo tra le righe. Ecco un qualcosa di incompleto
Trama: tratto dal libro omonimo dello stesso regista con sceneggiatura di Pupi, Antonio e Tommaso Avati; un giovane funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, Furio, viene mandato per sbrogliare un’indagine complicata. Un quattordicenne, Carlo, ha ucciso un ragazzo di nome Emilio affermando di essere ‘diavolo’. In tempi (anni cinquanta) in cui la Dc era al governo una simile osservazione poteva danneggiare il governo degasperiano, con presunti coinvolgimenti di personaggi della Chiesa e vicini: suora, prete, sacrestano, ferventi osservanti e attenti osservatori. Il destino è di ‘insabbiare’ simili idiozie e di non dare credito a incontri del ‘male’: una storia di tempi non successivi, di interrogatori, di immaginazioni, di verità raccontate e di fatti inchiesta. Il regista, intersecando tutti i personaggi, imbroglia le carte a distanza, si arena sulle riprese e si compiace, in minimo, del saluto esterno dei luoghi con i volti segnati nei vestiari appesantiti.
Dire e non dire con un iniziò scoppiettante e da vomito sanguinolento che fa capire il cartellone del film. E poi la musica inizia forte incespicando su una trama che la suspense cerca di farla sua in ogni angolo, nebbia e ruga antica di un ambiente trucido e viscido.
Inizialmente le ‘finestre ridevano’, poi si è ballato, quindi un nascondiglio ritempra l’incubo mentre si avvicina la conoscenza del segno degli inferi. Ecco che il regista sfianca ogni desiderio di démodé e di facile posto modernismo tecnico.
Avati ritorna con un gusto amaro, con segni e didascalie pronte, dirimpettaie già conosciute, luoghi calpestatati e colori che assopiscono il rigurgito della paura. Il buio e i suo doppio. Tempi e politica, chiesa e partiti, santi e diavolo. Un nascondersi tra i visi nuovi e vecchi, di oggi e di ieri, l’indagare è dentro il suo cinema. Chi porta con se ancora il fardello di una ripresa sincera e acre, viva e morta...
Verità da scoprire, verità occulta, verità doppia; democristiani e comunisti, ingestione di regole, soddisfazione di voti e bigottismo funereo; il Veneto e Venezia che disarmano le indagini mentre cresce il Signor Diavolo dentro il clericalismo e il sommerso sotto un altare.
Oculatamente chiuso, ostracismo nel dire, tra suore silenziose, sacrestano chiuso, parroco in cerimonia e una comunione da ricordare dopo oltre venticinque anni; l’ostia consacrata riposta e gettata tra il cibo putrido del maiale. Tutto da sconsacrare e da incendiare, da nascondere e occultare. Uno sparo e un fuoco che ripulisce il tutto.
La vita di ciascuno tra paure e mostri, santi e diavoli, urine e maternità, dentatura da maiale e violenze nascoste, repressioni e sogni svaniti.
Occorre scendere sotto, occorre vedere, la scala è pronta, la scala tirata via. Gli occhi e i denti, le barbe e le statue dei santi tremanti, i colpi di martello rimbombano a morte, le campane oramai ferme e la luce arriva solo dal portone aperto. Sono scappati tutti mentre il pianto di un bambino non ti fa dormire per una notte intera.
La schiera degli attori che hanno seguito il regista è tutta in prima fila. Di ognuno ricordiamo il plastico inorridito e il corpo tra i fantasmi luoghi di Comacchio e del Po. Una rimpatriata tra ‘mali’ e ‘spiriti’ insiti in noi e tra le nebbie di acque e campagne. Dei suoi sa benissimo Avati cosa trarre e di quali indumenti rivestirli. ‘Quei Fantasmi’ lungo il cinema del bolognese si ritrovano per far festa e terrorizzati chiudono per sempre (?) l’altare e la sua catacomba.
Gabriele Lo Giudice(Furio): ha dalla sua lo sguardo sommesso e la virtù di un servo cocciuto; Riccardo Claut (Paolino): discolo e leggero, con la fionda e senza; Filippo Franchini (Carlo Mongiorgi): docile e irriverente, fresco e cupo; Massimo Bonetti (Giudice Malchionda): incisivo e segnato dagli eventi; Lino Capolicchio (Don Zanini): statuario e regale, formale e classico; Gianni Cavina (Sagrestano): è il personaggio del film, vive di se stesso e con modi viscidi segna ogni passaggio; Cesare Cremonini (Giulio Mongiorgi): si nasconde, non si riconosce in un ruolo doppio; Alessandro Haber (padre Amedeo): per esorcizzare una carriera e gli incontri con Avati; Andrea Roncato (Dott. Rubei): piccola parte per recitare senza accorgersene; Chiara Caselli (Clara): intensa e viva tra anime morte.
Fotografia di Cesare Bastelli (all’ottava collaborazione col regista): intensa e cupa, vitrea e fosca, scarna e ombrosa. Un lavoro efficace per disegnare gli spazi e i volti
Musica di Amedeo Tommasi: disarmonica e tonica, spettrale e oleosa, schiumata e scornata.
Regia: compendio di set, attori e dettagli che da decenni vivono insieme; una ripresa lontana, parsimoniosa e ricca, spenta e con spirito jazz.
Voto: 7/10 (***½) -riconoscere i meriti di un cinema in disuso-.
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matteo niero
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sabato 31 agosto 2019
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signor diavolo tra buio, poesia e qualche brivido
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E' appannaggio solo dei grandi cineasti, registi o attori che siano, spaziare tra generi diversi con identica padronanza, ritagliandosi con merito un posto di rilievo nella storia del cinema. Pupi Avati aveva già ampiamente dimostrato di saper navigare a suo agio sia nella commedia sofisticata che nel giallo/thriller/fastastico, e di trovare in ogni caso una formula espressiva di successo.
A 80 anni il regista bolognese chiude con Signor Diavolo una immaginaria trilogia dell'orrore, più rappresentato che esposto, iniziata 43 anni fa con l'indimenticabile e insuperato La casa dalle finestre che ridono, e proseguita con l'inquietante Zeder.
Italia, 1952: un giovane funzionario del ministero di Grazia e Giustizia è inviato da Roma in Veneto per indagare su uno caso di omicidio sui generis: un ragazzino quattordicenne ha ucciso un giovane del suo paese con un colpo di fionda al volto, e siccome il delitto pare sia maturato nell'ambiente della parrocchia, c'è il rischio che sia messa a repentaglio la reputazione della Chiesa, che in Veneto è istituzione forte e rispettata, ma specialmente decisiva per assicurare voti al potere democristiano dell'epoca.
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E' appannaggio solo dei grandi cineasti, registi o attori che siano, spaziare tra generi diversi con identica padronanza, ritagliandosi con merito un posto di rilievo nella storia del cinema. Pupi Avati aveva già ampiamente dimostrato di saper navigare a suo agio sia nella commedia sofisticata che nel giallo/thriller/fastastico, e di trovare in ogni caso una formula espressiva di successo.
A 80 anni il regista bolognese chiude con Signor Diavolo una immaginaria trilogia dell'orrore, più rappresentato che esposto, iniziata 43 anni fa con l'indimenticabile e insuperato La casa dalle finestre che ridono, e proseguita con l'inquietante Zeder.
Italia, 1952: un giovane funzionario del ministero di Grazia e Giustizia è inviato da Roma in Veneto per indagare su uno caso di omicidio sui generis: un ragazzino quattordicenne ha ucciso un giovane del suo paese con un colpo di fionda al volto, e siccome il delitto pare sia maturato nell'ambiente della parrocchia, c'è il rischio che sia messa a repentaglio la reputazione della Chiesa, che in Veneto è istituzione forte e rispettata, ma specialmente decisiva per assicurare voti al potere democristiano dell'epoca. Dunque, bisogna assolutamente mettere a tacere preoccupanti illazioni sul coinvolgimento di uomini di chiesa e capire cosa sta realmente accadendo, o depistare se serve: il ragazzo ucciso, dotato di una dentatura animalesca, sarebbe stato ritenuto diabolico perché deforme, e su di lui aleggiava lo spettro di aver ucciso a sua volta per gelosia la sorellina in culla. La madre della giovane vittima è donna ricca e influente, che non ha mai accettato la versione dei fatti versione e ora, a processo in corso, potrebbe creare uno scandalo che a Roma non possono permettersi...
Da questo preambolo storico e dalle spiegazioni iniziali, rese nei primi minuti in maniera anche troppo didascalica, si sviluppa una storia che parte su due piani narrativi e temporali disgiunti - l'omicidio del ragazzo nelle campagne venete e il viaggio in treno dell'ispettore da Roma a Venezia, durante il quale il solerte funzionario legge le carte del processo - che arrivano ad intrecciarsi a metà pellicola, quando il protagonista giunge al Tribunale, e inizia ad indagare nella vicenda.
La mano sapiente di Avati si vede tutta nella direzione degli attori e nella scelta delle inquadrature, con molti grandangolari a far risaltare il meraviglioso e a tratti poetico paesaggio della campagna veneta, nel lento aggrovigliarsi della trama in un vortice di sospetti, nel progressivo definirsi della psicologia dei personaggi, a partire dal piccolo protagonista fino alle molte figure di contorno, tra tutti Lino Capolicchio nei panni del parroco e di Gianni Cavina nei panni del sacrestano, redivivi dal capolavoro del 1976.
Rispetto ai precedenti horror gotico-padani di Avati ci sono evidenti tratti in comune: innanzitutto l'ambientazione nella campagna veneta, in questo caso la minuscola comunità di Lio Piccolo, che restituisce l'atmosfera del Veneto rurale anni '50, intriso di superstizione e credulità popolare e territorio perfetto per fare risaltare il contrasto tra il buio orrore delle vicende umane e la stupefacente bellezza di un ambiente da cartolina; l'assenza di particolari effetti gore, che non sono funzionali al racconto avatiano, essendo la tensione resa piuttosto da inquadrature, porte che cigolano nel buio, pianti di neonati nella notte, culle sanguinanti che sembrano uscire da Shining; la fotografia, livida, buia e tumefatta, che regala inquadrature e volti che ricordano immagini dell'espressionismo pittorico; infine uno sguardo per nulla pietoso sulla chiesa cattolica e i suoi araldi, spesso al centro di intrighi, menzogne, reticenze.
Se c'è un appunto che si può fare al regista è invece che un horror in cui non si salta almeno una volta sulla sedia e non si prova un senso di fastidioso disagio non è un horror del tutto riuscito: e Signor Diavolo è infatti opera di confine, che più che colpire allo stomaco ti irretisce nelle sabbie mobili, le stesse in cui il protagonista va a incespicare. Si poteva, forse, ricavarne addirittura una serie, tanto affastellata e ricca di spunti risulta la trama, tra cui alcuni appena accennati come la corrispondenza d'amorosi sensi tra il giovane funzionario e l'infermiera della casa di cura che ospita il padre.
Il Male, infine: alla fine è lui negli horror il protagonista. Per Avati si annida nell'ignoranza, forse nello stesso potere spirituale quando alimenta le superstizioni e usa gli stessi strumenti del "signor Diavolo", nella ricerca del capro espiatorio per spiegare l'inspiegabile.
E il suo contraltare, il Bene, non sempre vince, specialmente se si è giovani e inesperti alle cose del mondo, e si mette il naso dove non si dovrebbe; si rischia di rimanere invischiati nel buio denso, sembra suggerire una finale aperto davvero spaventoso e sorprendente.
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vincenzo ambriola
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domenica 1 settembre 2019
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una storia improbabile
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Siamo nel 1952, quasi settant'anni fa. Siamo nella bassa padana, in una campagna fluviale in compagnia di ragazzini che vanno al catechismo, uomini che lavorano duramente, donne silenziose, preti in grande attività. Niente di interessante fino a quando nasce il mostro, il diverso, il posseduto dal diavolo. Le sue azioni sono conosciute da tutti che ne parlano in privato ma ne tacciono in pubblico. Un giorno, poi, accade un fatto inconcepibile in cui un minore, uno dei ragazzini che abbiamo già visto, commette un reato gravissimo. Le indagini non fanno fatica a ricostruire la realtà, a incarcerare il minore e a mandarlo a processo. Ma poi, e qui si ferma la narrazione della storia, dal Ministero di grazia e giustizia qualcuno decide di mandare un ispettore, per approfondire ciò che le indagini hanno rivelato.
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Siamo nel 1952, quasi settant'anni fa. Siamo nella bassa padana, in una campagna fluviale in compagnia di ragazzini che vanno al catechismo, uomini che lavorano duramente, donne silenziose, preti in grande attività. Niente di interessante fino a quando nasce il mostro, il diverso, il posseduto dal diavolo. Le sue azioni sono conosciute da tutti che ne parlano in privato ma ne tacciono in pubblico. Un giorno, poi, accade un fatto inconcepibile in cui un minore, uno dei ragazzini che abbiamo già visto, commette un reato gravissimo. Le indagini non fanno fatica a ricostruire la realtà, a incarcerare il minore e a mandarlo a processo. Ma poi, e qui si ferma la narrazione della storia, dal Ministero di grazia e giustizia qualcuno decide di mandare un ispettore, per approfondire ciò che le indagini hanno rivelato. Pupi Avati è un grande maestro nel ricostruire la realtà degli anni cinquanta. I volti, i vestiti, i luoghi sono quelli reali. La sua maestria si rivela nelle inquadrature, nella gestione attenta degli attori, molti suoi fidati compagni di avventura. Ma è la grammaturgia che non scorre, che si perde per strada in fatti incoerenti tra loro, spiegati troppo ma poco convincenti. E allora lo spettatore perde la sintonia con il maestro, la tensione si allenta, si inizia a intuire qualcosa. Il finale non stupisce e non spaventa, semplicemente chiude in maniera improbabile una storia improbabile. Può un regista così esperto non accorgersi di tutto ciò? Può usare la sua arte per dirigere un film non alla sua altezza? Sì, perché Pupi Avati è un uomo, che segue le sue strade dell'immaginazione e racconta storie che lo appassionano, anche quelle più improbabili.
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[+] ma lasciaci sognare...
(di karakal60)
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tom cine
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sabato 10 luglio 2021
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dove si nasconde il diavolo
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Il cinema di Pupi Avati, regista che sa essere molto eclettico rimanendo contemporaneamente fedele alla sua poetica, è attraversato spesso da un filo rosso che lo collega al mistero, all’esoterismo, alla morte e, qualche volta, anche alla religione cattolica. Sono elementi che erano già presenti nei primi film e che tornano spesso, non soltanto in quelli collocabili nell’horror o nel thriller, ma anche in quelle opere, nostalgiche e apparentemente più rassicuranti, che contraddistinguono gran parte della sua carriera.
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Il cinema di Pupi Avati, regista che sa essere molto eclettico rimanendo contemporaneamente fedele alla sua poetica, è attraversato spesso da un filo rosso che lo collega al mistero, all’esoterismo, alla morte e, qualche volta, anche alla religione cattolica. Sono elementi che erano già presenti nei primi film e che tornano spesso, non soltanto in quelli collocabili nell’horror o nel thriller, ma anche in quelle opere, nostalgiche e apparentemente più rassicuranti, che contraddistinguono gran parte della sua carriera. Questo avviene perché, nei film del regista bolognese c’é spesso l’interesse per ciò che riguarda la morte e per tutto ciò che le è collegato, compresa la religione (cattolica, nel caso di questo e di altri film di Avati).
“Il signor Diavolo” è stato paragonato a “La casa dalle finestre che ridono” (che vira di più verso il thriller) per le atmosfere e per le ambientazioni simili (ma il primo ha un’ambientazione veneta, mentre il secondo ha come sfondo l’Emilia, anche se i due film condividono alcune locations), ma è il perfetto contraltare di “Magnificat” (altro film di Avati dove il cattolicesimo, sia pure in un contesto medievale e in una funzione complessivamente più positiva, ha un ruolo fondamentale) e somiglia di più a “L’arcano incantatore” (con cui condivide le tematiche esoteriche e soprannaturali affiancate a quelle cattoliche). Se in “Magnificat” la religione cattolica dava forza, ai personaggi, per affrontare le durezze della vita, ne “Il signor Diavolo” diventa strumento di terrore.
Questo splendido ritorno di Avati ad atmosfere più smaccatamente horror ha il suo punto di forza nella descrizione molto cruda della società poverissima e contadina dell’Italia del 1952. Infatti è proprio in un paesino di provincia dell’epoca, Lio Piccolo, che viene spedito un giovane funzionario, Furio Momenté, per indagare sull’omicidio compiuto da un adolescente, Carlo Mongiorgi, ai danni di un altro ragazzo, Emilio. La motivazione dell’omicida è grottesca e inquietante: il giovanissimo assassino è convinto di aver ucciso il Diavolo. Leggendo, nella documentazione che gli è stata affidata, la testimonianza di Carlo, Furio scopre che Emilio era considerato, da tutti gli abitanti del paese, una creatura diabolica a causa della sua deformità e della sua instabilità mentale. Una serie di fatti, alcuni tragici (la morte di un amico di Carlo e quella della sorellina neonata di Emilio) e altri quasi ridicoli (tutto parte da un atto di bullismo e da uno sgambetto), hanno indotto Carlo a credere che Emilio fosse proprio un’incarnazione satanica. Una volta giunto sul posto, Furio (che ha anche delle responsabilità politiche, ma non voglio dirvi molto) si rende conto che la realtà è perfino più sinistra e pericolosa di quanto si possa immaginare e che, negli eventi che hanno portato all’omicidio, sono coinvolti personaggi molto ambigui, insospettabili e temibili.
“Il signor Diavolo”, rispetto ai lavori precedenti, ha una sceneggiatura più complessa e raffinata: mentre i precedenti horror di Avati sono più lineari, lo svolgimento della trama di questo film avviene lungo più piani temporali e adotta, man mano che il protagonista procede nell’inchiesta interrogando coloro che sono coinvolti, i punti di vista di alcuni dei personaggi maggiormente coinvolti. Questo stratagemma invita lo spettatore a seguire attentamente la storia: Avati non è un regista interessato a costruire film horror basati sui facili spaventi e sulle efferatezze (un pugno di immagini cruente ci sono, ma solo dove la narrazione le richiede e si avvalgono dell'ottimo lavoro del grande Sergio Stivaletti), ma punta molto sull’intreccio, sulle psicologie dei personaggi e sulla costruzione (sempre efficace e qui addirittura più che altrove) di un’atmosfera minacciosa dove, dietro una quiete apparente, si nasconde l’orrore. Pupi Avati e i suoi collaboratori sono riusciti a costruire, con questo film (che è anche molto più politico dei precedenti), un meccanismo complesso, inquietante e intrigante nel quale è difficile distinguere la verità dalla menzogna e, nello stesso tempo, un vero horror capace di inquietare muovendosi lungo i binari, per quello che riguarda la presenza demoniaca costantemente chiamata in causa e mai esibita troppo apertamente, dell’inspiegabile. “Il signor Diavolo” può tranquillamente essere inserito nel filone “demoniaco” del genere horror perché Avati è abilissimo nel suggerire, attraverso piccoli tocchi, la presenza diabolica senza dare (volutamente) troppe spiegazioni: tuttavia, è riduttivo definirlo come un semplice film sul Diavolo. Il regista (che ha tratto questo film da un suo romanzo) e i suoi sceneggiatori sanno benissimo che l’ignoto, per far davvero paura, deve rimanere tale: qui è solo uno dei tanti elementi che dirottano il film dove fa più paura e inquieta davvero. Nonostante il titolo (ironico) e gli elementi horror messi in campo (incluso un esorcista ma, differentemente da tanti altri film sul Diavolo, qui si accenna, in un dialogo, ad un esorcismo ma non viene mai mostrato questo rituale), “Il signor Diavolo” è anche e soprattutto un film sulla crudeltà umana e sulla falsità delle apparenze. Per trattare questi temi, il film usa, come elemento scardinante, proprio il Diavolo e la maniera in cui viene tratteggiato nella cultura contadina. Ed è attraverso quest’ultima che il film approda, infine, ad una visione sul Male (quello con la “M” maiuscola) che chiama in causa non soltanto eventuali presenze demoniache, ma anche (e soprattutto) la cattiveria umana.
“Il signor Diavolo” è quindi un horror in piena regola, ma gli elementi psicologici (che tengono anche in conto l’epoca in cui il film è ambientato) e le relazioni tra i vari personaggi sono aspetti fondamentali. Anche e soprattutto per questo, come in tutti i film di questo regista, dove le relazioni tra i personaggi (anche quando sono volutamente grotteschi) costituiscono l’ossatura portante della trama, Avati si è riconfermato come un ottimo direttore di attori: a parte Lino Capolicchio e Gianni Cavina, frequenti presenze nei suoi film (soprattutto il secondo) e qui entrambi in abiti talari, il cast comprende anche Andrea Roncato (credibilissimo, conferma un’altra abilità di Avati: prendere un attore comico e calarlo perfettamente in un personaggio dentro un contesto non ironico) e un efficace Alessandro Haber nel ruolo di un esorcista. Gabriel Lo Giudice, nel ruolo di Furio Momenté, si rivela una scelta assai azzeccata e memorabili sono anche i giovani Filippo Franchini e Lorenzo Salvatori (rispettivamente nei panni di Carlo e di Emilio). Tutti sanno far scorrere, illuminati da una tenebrosa fotografia nella quale predominano il nero e varie tonalità di grigio, profondi brividi lungo la schiena dello spettatore: ma rimane nella memoria soprattutto Clara Vestri Musy, la madre di Emilio, interpretata da Chiara Caselli. Pupi Avati ha richiamato su un set la Caselli (assente da parecchi anni nel mondo del cinema) e le ha messo, fra le mani, un personaggio bellissimo e l’attrice gli ha dato vita in maniera equilibrata, senza strafare: una vera e propria maschera di dolore e di amarezza che si aggira, vestita di nero, come una presenza funebre, nel film. Un film che richiede un grande attenzione da parte dello spettatore, perché è nei suoi particolari che si nasconde il Diavolo.
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toty bottalla
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mercoledì 12 febbraio 2020
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un horror d'autore!
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Un horror in stile Avati che tanti di noi preferiscono: "La Casa Dalle Finestre Che Ridono", " Zeder" E "L'arcano Incantatore".
La trama un po' troppo ingarbugliata e i dialoghi spesso bisbigliati e a tratti inafferrabili rendono il film un po' pesante, l'ambientazione datata è necessaria alla storia che, raccontata ai nostri tempi non verrebbe nemmeno ascoltata tanto è l'orrore quotidiano, suggestive le locations che sembrano raccontare da sole il mistero e l'ambiguità della storia stessa con un finale mica tanto a sorpresa.
Il Signor Diavolo comunque è uno di quei film che richiamano una seconda visione per recuperare qualcosa sfuggita al primo impatto.
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Un horror in stile Avati che tanti di noi preferiscono: "La Casa Dalle Finestre Che Ridono", " Zeder" E "L'arcano Incantatore".
La trama un po' troppo ingarbugliata e i dialoghi spesso bisbigliati e a tratti inafferrabili rendono il film un po' pesante, l'ambientazione datata è necessaria alla storia che, raccontata ai nostri tempi non verrebbe nemmeno ascoltata tanto è l'orrore quotidiano, suggestive le locations che sembrano raccontare da sole il mistero e l'ambiguità della storia stessa con un finale mica tanto a sorpresa.
Il Signor Diavolo comunque è uno di quei film che richiamano una seconda visione per recuperare qualcosa sfuggita al primo impatto. Saluti.
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elgatoloco
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venerdì 20 marzo 2020
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un altro"horror"del maestro avati
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Senz'altro l'ultimo rimasto dei Maestri italiani di cinema, Pupi Avati ha realizzato questo"Il Signor Diavolo"(2019, scritto con il fratello Antonio e il figlio Tommaso, ma il cui soggetto è totalmente suo,in quanto è il plot del suo romanzo dal titolo omonimo del 2016, da cui il film è tratto. Un film di tutto rispetto, che da un lato si riallaccia ai suoi horror"d'antan"(anni 1970), come"La casa delle finestre che ridono"(1976)e"Tutti defunti...tranne i morti"(non mi esprimo nè sui film precedenti, che non ho visto per motivi anagrafici, né su"Il nascondiglio", che comunque non ho visto , anchee perché proposto ben raramente, a quanto mi risulta).
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Senz'altro l'ultimo rimasto dei Maestri italiani di cinema, Pupi Avati ha realizzato questo"Il Signor Diavolo"(2019, scritto con il fratello Antonio e il figlio Tommaso, ma il cui soggetto è totalmente suo,in quanto è il plot del suo romanzo dal titolo omonimo del 2016, da cui il film è tratto. Un film di tutto rispetto, che da un lato si riallaccia ai suoi horror"d'antan"(anni 1970), come"La casa delle finestre che ridono"(1976)e"Tutti defunti...tranne i morti"(non mi esprimo nè sui film precedenti, che non ho visto per motivi anagrafici, né su"Il nascondiglio", che comunque non ho visto , anchee perché proposto ben raramente, a quanto mi risulta). Qui, tra l'atlernanza di campi lunghi e primi piani, tra esterni e interni, con soluzioni fotografiche particolarissime, sequenze sbieche e dall'alto, il clima culturale di un paesino veneto dei primi anni 1950 viene messo a fuoco tramite una vicenda particolare: l'uccisione di uno scolaro deforme(che il clericalismo bigotto del paese identifica tout court, appunto, con il"signor diavolo")da parte di un suo compagno di classe, che a sua volta vendica un altro compagno e grande amico, rimasto vittima di uno scherzo blasfemo del"mostro", che tra l'altro è rampollo di una famiglia novile veneziana. Parallela, anzi no, tangente(ma parallela, poi, nel finale, per una circostanza che non si può ovviamente svelare)la vicenda del giovane magistrato inviato da Roma per riequilibrare le cose, che sembrano pendere a favore di un partito avverso alla DC, partitto di riferimento del luoogo e dell'allote presidente del Consiglio(De Gasperi), che però rimane vittima, vista anche la sua proverbaile timidezza, di circostanze che gli ricordano le infantili reprressioni da parte del padre, orami"vegetale"ricoverato da anni in un ospedale romano. Come oramai da tempo, Avati rinuncia alla coloritura dialettale(l'unico psedo.veneto è quello usato da Chiara Caselli, nella parte della madre del"diavolo"), lavora con gli amici.collaboratori di sempre(Gianni Cavina, Alessandro Haber, Andrea Roncato, Lino Capolicchi, la stessa Caselli e altri/e), oltre che con Gabriel Lo Giudice, che è il giovane magistrato e con il ragazzino Filippo Franchini, che è l'"assassino". Stupendo anche nel finale con un coup de thea^tre non da poco). , pur trattando anche il tema socio-politico delle contese famose in Italia nell'immediato dopoguerra(elezioni del 1948, slogan DC pare inventato, però, da Zuanìn Guareschi, che"democristiano"non era per nullla, ma voleva argianre il"comunismo"del PCI, "Nel silenzio dell'una Dio ti vede, Stalin no"), , Avati non prende direttamente posizione, preferendo narrare e mosrrare- e non è posizione pilatesca(né ce lo saremmo aspettati dal bravissimo coordinatore di Tele 2000 di qualche anno fa)ma una prova di grande onestà e correttezza professionale. El Gato
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noia1
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martedì 19 maggio 2020
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pupi avati porta avanti le sue idee, perverso.
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Un giovane funzionario si dirige in un piccolo paese per indagare sulla morte di un ragazzino per mano del coetaneo, tra strane scoperte ed incoerenti analessi la vicenda sfocerà nel sovrannaturale.
Pupi Avati ci ha abituati al suo cinema altalenante, spesso imperfetto, un cinema che però ha saputo affermarsi rendendolo a tutt’oggi una delle autorità italiane in quest’ambito, a me personalmente piace quando si lascia andare a queste discese personalissime in quella provincia padana a quanto pare sede di orrori patologici ed ineluttabili, orrori sottopelle che fanno parte di quelle comunità come un braccio o un occhio fanno parte del corpo umano.
Questo è il film di un autore, un vero e proprio autore che quando è lasciato libero di esprimersi narra sempre quella storia eccetto che per un misero dieci per cento, fondamentale per espletare l’avanzamento del pensiero rispetto alle opere precedenti (un po’ come Tarantino, Bergman, Wan, Rodriguez, Fellini). Lo stile è riconoscibile, c’è un concetto qui ulteriormente approfondito rispetto ad altri suoi prodotti come Zeder, L’arcano incantatore, La casa dalle finestre che ridono; e la storia è la limatura, la rivisitazione, proprio di quelle opere che forse più delle sue tante commedie faranno parlare di lui le prossime generazioni.
Pellicola da non dormirci la notte, al di là della tremenda scena iniziale è proprio quel senso di perverso a restarti addosso, visi inquadrati quasi fossero quelli di veri e propri demoni si mescolano alle storie dei paesani, le turbe di ragazzini alle porte dell’adolescenza vengono immerse in atmosfere esasperate, quasi fossimo caduti in un gigantesco manicomio.
Vari tipi di male si susseguono, dal demonio nascosto nella provincia quasi come una disgrazia, all’omertà di una comunità che protegge una verità dolorosa, antintuitiva; un film difettoso non più di altri in realtà ma sofferente piuttosto della mancanza di mezzi, malgrado tutto comunque devastante e coinvolgente.
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lucaguar
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domenica 3 dicembre 2023
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il cinema di avati è questo!
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Il signor Diavolo è, a mio avviso, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, e non è "solamente" incasellabile nel genere horror. E' un film tipicamente avatiano, benchè, si sa, il nostro grande regista si sia negli anni cimentato in molti generi. Il "gotico padano" è ciò per cui sarà maggiormente ricordato Pupi Avati, anche se forse (e questo è un peccato) non dal "grande pubblico" e dalla stampa generalista. Penso che "Il signor Diavolo" sia la summa del cinema gotico avatiano perchè ne compendia tutte le caratteristiche migliori a un grado di maturità forse mai raggiunto prima: atmosfere sinistre, ambientazione rurale (sempre del nord Italia), fotografia suggestiva, "oscura" e sinistra, un forte contrasto luce-ombra soprattutto per quanto riguarda la dialettica ambiente naturale lucente/"ambiente umano" cupo e tetro.
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Il signor Diavolo è, a mio avviso, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, e non è "solamente" incasellabile nel genere horror. E' un film tipicamente avatiano, benchè, si sa, il nostro grande regista si sia negli anni cimentato in molti generi. Il "gotico padano" è ciò per cui sarà maggiormente ricordato Pupi Avati, anche se forse (e questo è un peccato) non dal "grande pubblico" e dalla stampa generalista. Penso che "Il signor Diavolo" sia la summa del cinema gotico avatiano perchè ne compendia tutte le caratteristiche migliori a un grado di maturità forse mai raggiunto prima: atmosfere sinistre, ambientazione rurale (sempre del nord Italia), fotografia suggestiva, "oscura" e sinistra, un forte contrasto luce-ombra soprattutto per quanto riguarda la dialettica ambiente naturale lucente/"ambiente umano" cupo e tetro.
Il ritmo della storia è forse un po' lento, ma la prima mezz'ora di film è davvero godibile e potente, rimane nella memoria, così come il finale senza redenzione e crudo, dove il protagonista, il funzionario Momentè che indaga sulla intricata questione (il tema dell'indagine è riccorrente in Avati, basti pensare a "Zeder"), viene rinchiuso nella cripta della chiesa dal sagrestano, e subito dopo appare il bambino-assassino che ha acquisito un tratto fisico del demonio, i denti (tema anche questo ricorrente in Pupi Avati, che ritroviamo anche ne "L'arcano incantatore").
La grandezza di questo film sta nel convolgimento che Avati "pretende" dallo spettatore, lo spinge all'interpretazione, lo interroga su un tema abissale quale quello del Male. Carlo ha ucciso il "mostruoso" Emilio, che si diceva fosse stato responsabile dell'omicidio della neonata sorellina, sbranata viva, e che era tacciato, secondo le superstizioni locali, di essere nato da un rapporto della madre con un maiale, il quale era considerato un animale demoniaco. Anche Carlo ritiene che questo ragazzo sia il demonio: ma questo suo giudizio è giustificato, come sembra confermare qualche tratto della storia, oppure è proprio il male che si impossessa del bambino Carlo il "responsabile" dell'omicidio, e quelle relative ad Emilio erano davvero delle superstizioni? La questione è controversa e complessa ma a mio parere la risposta di Avati è abbastanza chiara: sembra che il male si trasmetta e si diffonda nutrendosi della violenza e della malvagità, ma anche del sospetto e della superstizione appunto; il diavolo è tale proprio per questa sua ambiguità, per questa sua capacità di confondere, di sviare, di non farsi mai riconoscere fino in fondo come male e di mostrarsi nascondendosi.
Queste grandiose tematiche non sono nuove nel cinema avatiano, ma qui sono affrontate con una finezza e una potenza uniche. Dobbiamo essere orgogliosi di avere in Italia un regista come Avati.
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