Il Signor Diavolo

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Signor Diavolo tra buio, poesia e qualche brivido Valutazione 4 stelle su cinque

di matteo niero


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sabato 31 agosto 2019

E' appannaggio solo dei grandi cineasti, registi o attori che siano, spaziare tra generi diversi con identica padronanza, ritagliandosi con merito un posto di rilievo nella storia del cinema. Pupi Avati aveva già ampiamente dimostrato di saper navigare a suo agio sia nella commedia sofisticata che nel giallo/thriller/fastastico, e di trovare in ogni caso una formula espressiva di successo.
A 80 anni il regista bolognese chiude con Signor Diavolo una immaginaria trilogia dell'orrore, più rappresentato che esposto, iniziata 43 anni fa con l'indimenticabile e insuperato La casa dalle finestre che ridono, e proseguita con l'inquietante Zeder.
Italia, 1952: un  giovane funzionario del ministero di Grazia e Giustizia è inviato da Roma in Veneto per indagare su uno caso di omicidio sui generis: un ragazzino quattordicenne ha ucciso un giovane del suo paese con un colpo di fionda al volto, e siccome il delitto pare sia maturato nell'ambiente della parrocchia, c'è il rischio che sia messa a repentaglio la reputazione della Chiesa, che in Veneto è istituzione forte e rispettata, ma specialmente decisiva per assicurare voti al potere democristiano dell'epoca. Dunque, bisogna assolutamente mettere a tacere preoccupanti illazioni sul coinvolgimento di uomini di chiesa e capire cosa sta realmente accadendo, o depistare se serve: il ragazzo ucciso, dotato di una dentatura animalesca, sarebbe stato ritenuto diabolico perché deforme, e su di lui aleggiava lo spettro di aver ucciso a sua volta per gelosia la sorellina in culla. La madre della giovane vittima è donna ricca e influente, che non ha mai accettato la versione dei fatti versione e ora, a processo in corso, potrebbe creare uno scandalo che a Roma non possono permettersi...
Da questo preambolo storico e dalle spiegazioni iniziali, rese nei primi minuti in maniera anche troppo didascalica, si sviluppa una storia che parte su due piani narrativi e temporali disgiunti - l'omicidio del ragazzo nelle campagne venete e il viaggio in treno dell'ispettore da Roma a Venezia, durante il quale il solerte funzionario legge le carte del processo - che arrivano ad intrecciarsi a metà pellicola, quando il protagonista giunge al Tribunale, e inizia ad indagare nella vicenda.
La mano sapiente di Avati si vede tutta nella direzione degli attori e nella scelta delle inquadrature, con molti grandangolari a far risaltare il meraviglioso e a tratti poetico paesaggio della campagna veneta, nel lento aggrovigliarsi della trama in un vortice di sospetti, nel progressivo definirsi della psicologia dei personaggi, a partire dal piccolo protagonista fino alle molte figure di contorno, tra tutti Lino Capolicchio nei panni del parroco e di Gianni Cavina nei panni del sacrestano, redivivi dal capolavoro del 1976.
Rispetto ai precedenti horror gotico-padani di Avati ci sono evidenti tratti in comune: innanzitutto l'ambientazione nella campagna veneta, in questo caso la minuscola comunità di Lio Piccolo, che restituisce l'atmosfera del Veneto rurale anni '50, intriso di superstizione e credulità popolare e territorio perfetto per fare risaltare il contrasto tra il buio orrore delle vicende umane e la stupefacente bellezza di un ambiente da cartolina; l'assenza di particolari effetti gore, che non sono funzionali al racconto avatiano, essendo la tensione resa piuttosto da inquadrature, porte che cigolano nel buio, pianti di neonati nella notte, culle sanguinanti che sembrano uscire da Shining; la fotografia, livida, buia e tumefatta, che regala inquadrature e volti che ricordano immagini dell'espressionismo pittorico; infine uno sguardo per nulla pietoso sulla chiesa cattolica e i suoi araldi, spesso al centro di intrighi, menzogne, reticenze.
Se c'è un appunto che si può fare al regista è invece che un horror in cui non si salta almeno una volta sulla sedia e non si prova un senso di fastidioso disagio non è un horror del tutto riuscito: e Signor Diavolo è infatti opera di confine, che più che colpire allo stomaco ti irretisce nelle sabbie mobili, le stesse in cui il protagonista va a incespicare. Si poteva, forse, ricavarne addirittura una serie, tanto affastellata e ricca di spunti risulta la trama, tra cui alcuni appena accennati come la corrispondenza d'amorosi sensi tra il giovane funzionario e l'infermiera della casa di cura che ospita il padre.
Il Male, infine: alla fine è lui negli horror il protagonista. Per Avati si annida nell'ignoranza, forse nello stesso potere spirituale quando alimenta le superstizioni e usa gli stessi strumenti del "signor Diavolo", nella ricerca del capro espiatorio per spiegare l'inspiegabile.
E il suo contraltare, il Bene, non sempre vince, specialmente se si è giovani e inesperti alle cose del mondo, e si mette il naso dove non si dovrebbe; si rischia di rimanere invischiati nel buio denso, sembra suggerire una finale aperto davvero spaventoso e sorprendente.

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