sergio dal maso
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venerdì 9 ottobre 2020
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il grande passo
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“Folle è l’uomo che parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto.” William Shakespeare
Nella calda notte d’estate di quel lontano luglio di cinquant’anni fa, nel momento in cui Neil Armstrong muoveva il primo piccolo ma grande passo sulla Luna, un bambino, seduto sulle ginocchia del padre, guardava estasiato le incredibili immagini in bianco e nero trasmesse dalla televisione.
Dario crescerà con l’ossessione di quel ricordo, col sogno impossibile di calpestare anche lui, un giorno, il suolo lunare. Un’ossessione che lo porterà a isolarsi dal resto della comunità del piccolo paesino sul delta del Po dove vive, tanto da diventare per i compaesani Dario “luna storta”, il matto del paese.
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“Folle è l’uomo che parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto.” William Shakespeare
Nella calda notte d’estate di quel lontano luglio di cinquant’anni fa, nel momento in cui Neil Armstrong muoveva il primo piccolo ma grande passo sulla Luna, un bambino, seduto sulle ginocchia del padre, guardava estasiato le incredibili immagini in bianco e nero trasmesse dalla televisione.
Dario crescerà con l’ossessione di quel ricordo, col sogno impossibile di calpestare anche lui, un giorno, il suolo lunare. Un’ossessione che lo porterà a isolarsi dal resto della comunità del piccolo paesino sul delta del Po dove vive, tanto da diventare per i compaesani Dario “luna storta”, il matto del paese.
Finirà col mettersi nei guai. Per convincerlo ad accettare il ricovero in una struttura psichiatrica verrà chiesto al fratellastro Mario, che vive a Roma e che aveva visto solo una volta, di venire a parlargli.
Figli dello stesso sventurato padre, Mario e Dario sono diversi in tutto: l’uno romano de Roma, placido e bonario, l’altro cresciuto nel Polesine e con un carattere burbero e solitario. Fisicità a parte, non hanno niente in comune, se non il trauma di essere stati abbandonati dal padre, inetto e bugiardo.
Abbandono a cui hanno reagito in modo diverso: Mario l’ha accettato da tempo e ormai dimenticato, Dario invece ha idealizzato la figura paterna, spera ancora che possa ritornare e di potergli dimostrare il suo valore come ingegnere aerospaziale, compiendo la promessa fatta da bambino.
Dopo l’iniziale diffidenza, al limite dell’ostilità, i due fratelli impareranno a conoscersi. Scopriranno di avere bisogno l’uno dell’altro, il primo per avere più coraggio e non lasciarsi vivere senza sogni e ambizioni, l’altro per elaborare il lutto dell’abbandono e potersi riconciliare con il passato.
Definito una “commedia lunare”, Il grande passo, pur senza inventare niente di nuovo, porta una ventata d’aria fresca nel cinema italiano. Ci sono diverse scene spassose, con battute che strappano la risata, inserite in modo funzionale in un racconto intimo e delicato. E’ un cinema leggero e profondo al tempo stesso, capace di raccontare con rara sensibilità e una velata malinconia storie di antieroi, di perdenti che non si arrendono, della dignità di chi, ferito dalla vita, non rinuncia ai propri sogni.
L’accoppiata Giuseppe Battiston e Stefano Fresi è semplicemente straordinaria. Tra i due attori c’è un affiatamento notevole e una complementarietà nei ruoli che ne esalta la recitazione. Non è un caso che al Torino Film Festival abbiano vinto il premio per il Miglior Attore ex-aequo. Ma sono azzeccati anche i personaggi minori come, ad esempio, Roberto Citran che interpreta l’avvocato di provincia e Camilla Filippi, l’amica d’infanzia di Dario, oltre al compianto Flavio Bucci, nella sua ultima interpretazione, nel ruolo del padre.
Antonio Padovan, già apprezzato all’esordio con Finchè c’è prosecco c’è speranza, fa centro anche con il secondo film. Il regista trevigiano, oltre alla bravura registica, dimostra di avere le idee chiare. Sa porsi dei limiti, senza mai strafare, rendendo così credibili le sue storie stralunate ed apparentemente inverosimili.
Anche le complesse scene dei preparativi della “missione lunare” sono verosimili e di grande efficacia, rese emozionanti dall’evocativa colonna sonora di Pino Donaggio.
Per l’umanità e l’ironia dei personaggi e per il grande affetto nei confronti della terra veneta, Il grande passo ricorda molto il cinema di Carlo Mazzacurati, il cui esordio - Notte italiana - era ambientato, tra l’altro, proprio nel Polesine. Alla stesura della sceneggiatura, inoltre, ha collaborato Marco Pettenello, storico sceneggiatore dell’indimenticato maestro.
Parafrasando l’epica frase di Neil Armstorng, Il grande passo è certamente un film riuscito, un piccolo ma importante passo nel cammino di innovazione e rinnovamento del cinema autoriale italiano.
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ellebi
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domenica 5 luglio 2020
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una ingenuità fantastica
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Trovo che la storia sia tanto reale quanto divertente,fantastica ed ingenua, ma di una ingenuità che ci prova a porsi come valore aggiunto.
Ci aiuta così a comprendere quanto, all'interno di dinamiche personali e famigliari, sia fondamentale :
riuscire a guardare avanti,giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, puntare lo sguardo oltre i limiti di una vita che non ce la fa a decollare. Questo grazie alla granitica consapevolezza di portare con noi un sogno da realizzare, qualcosa di grande da continuare ad inseguire. ( "fare o non fare, non esiste provare" ).
Con umiltà, mettersi in ascolto, imparare a scindere la figura di un fratello e di un padre per scoprire, dietro quei ruoli pre-costituiti, che tipo di uomo le esperienze di vita, col loro accadere, abbiano forgiato.
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Trovo che la storia sia tanto reale quanto divertente,fantastica ed ingenua, ma di una ingenuità che ci prova a porsi come valore aggiunto.
Ci aiuta così a comprendere quanto, all'interno di dinamiche personali e famigliari, sia fondamentale :
riuscire a guardare avanti,giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, puntare lo sguardo oltre i limiti di una vita che non ce la fa a decollare. Questo grazie alla granitica consapevolezza di portare con noi un sogno da realizzare, qualcosa di grande da continuare ad inseguire. ( "fare o non fare, non esiste provare" ).
Con umiltà, mettersi in ascolto, imparare a scindere la figura di un fratello e di un padre per scoprire, dietro quei ruoli pre-costituiti, che tipo di uomo le esperienze di vita, col loro accadere, abbiano forgiato...
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francesca meneghetti
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giovedì 20 agosto 2020
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l''autoironia veneta: non più un ossimoro
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Antonio Padovan è un giovane regista (poco più che trentenne) formatosi a New York, che ha però mantenuto salde le sue radici venete (non venetiste!). Si è rivelato al pubblico con il film “Finché c’è prosecco c’è speranza”, ambientato tra le colline solighesi e di Conegliano, che allude a ciò che sta sotto la favola del Veneto efficiente e del vino con le bollicine.
Anche in questo lavoro il Veneto, più precisamente il Polesine, fa da scenario della storia, e veneti sono parecchi degli attori (che già hanno fatto squadra nel primo film: Giuseppe Battiston, Roberto Citran, Vitaliano Trevisan e Mirko Artuso, a cui si potrebbe aggregare per osmosi il caratterista francese Teco Celio).
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Antonio Padovan è un giovane regista (poco più che trentenne) formatosi a New York, che ha però mantenuto salde le sue radici venete (non venetiste!). Si è rivelato al pubblico con il film “Finché c’è prosecco c’è speranza”, ambientato tra le colline solighesi e di Conegliano, che allude a ciò che sta sotto la favola del Veneto efficiente e del vino con le bollicine.
Anche in questo lavoro il Veneto, più precisamente il Polesine, fa da scenario della storia, e veneti sono parecchi degli attori (che già hanno fatto squadra nel primo film: Giuseppe Battiston, Roberto Citran, Vitaliano Trevisan e Mirko Artuso, a cui si potrebbe aggregare per osmosi il caratterista francese Teco Celio). Ma la componente affettiva della scelta si intreccia con quella razionale e programmatica: omaggiare la Trilogia del Po di Carlo Mazzacurati, ma anche Spielberg, come ha dichiarato l’autore, e Fellini, aggiungiamo noi, che evapora insieme alle nebbie, alle nuvole che coprono la luna, ai paesaggi fluviali.
Detto questo, si può parlare di un altro Veneto in senso diverso al primo film (un giallo che portava a indagare su spregiudicati affari indifferenti al bene comune). Un Veneto alternativo, dove si può praticare l'autoironia (udite, udite!) e dove possono sbocciare, sia pure a fatica, ostacolate da incredulità e perbenismo, persone che sanno sognare e guardare oltre i piatti orizzonti della loro terra, oltre i schei.
Dario (Giuseppe Battiston) è infatti un sognatore, che, folgorato dall’allunaggio del 1969, ha sempre coltivato il sogno di emulare Neil Amstrong (cui si deve l’espressione “Il grande passo”). Ha studiato ingegneria aerospaziale, ha creato un laboratorio fantascientifico in un capanno agricolo: vuole arrivare sulla luna. Solo che il primo tentativo di auto-lancio fallisce, con un conseguente incendio che danneggia un vicino e allerta la comunità, già ostile a Dario “luna storta”. Viene così contattato un fratello, figlio dello stesso padre (a sua volta visionario, ma fanfarone: da anziano lo interpreta Flavio Bucci), e di madre diversa che vive a Roma e ha un negozio di ferramenta. Stefano Fresi, che interpreta la parte, è una sorta di doppione di Battiston in versione romana, alla Mastandrea. Sono due omoni dal viso dolce e buono e finiscono per intendersi, dopo le difficoltà iniziali dovute all’impulsività di Dario.
Attorno alla coppia protagonista, una corte di personaggi, in buona parte caricaturali, rende bene l’atmosfera paesana. Il film è veramente godibile e dotato di una freschezza che induce alla risata spontanea. Si esce dalla sala ridendo. Il che non è poco, specie di questi tempi.
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giovanni tonon
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domenica 23 agosto 2020
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fratellanza che commuove fra leggerezza e fantasia
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In quell’età evolutiva, pur affaccendato come aiuto cameriere in un locale del litorale adriatico come buona parte degli studenti che si procuravano un lavoretto durante le vacanze estive fui travolto dal quel vissuto emozionale che mi segnò per il resto della vita. Era il 20 luglio 1969, tutto si era fermato, il ristorante dove lavoravo era pressocché deserto e quei pochi avventori erano fagocitati dalla piccola televisione bianco e nero, la navicella spaziale Apollo 11 toccò il suolo lunare. La Luna, fino a quel momento, era stata fantascienza: all’improvviso divenne realtà. Sulle tracce di questa avventura leggendaria che ancora oggi fa sognare mi addentro nel lungometraggio di Antonio Padovan.
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In quell’età evolutiva, pur affaccendato come aiuto cameriere in un locale del litorale adriatico come buona parte degli studenti che si procuravano un lavoretto durante le vacanze estive fui travolto dal quel vissuto emozionale che mi segnò per il resto della vita. Era il 20 luglio 1969, tutto si era fermato, il ristorante dove lavoravo era pressocché deserto e quei pochi avventori erano fagocitati dalla piccola televisione bianco e nero, la navicella spaziale Apollo 11 toccò il suolo lunare. La Luna, fino a quel momento, era stata fantascienza: all’improvviso divenne realtà. Sulle tracce di questa avventura leggendaria che ancora oggi fa sognare mi addentro nel lungometraggio di Antonio Padovan.
Alcune inquadrature riprendono un paesaggio polesano scandito dal colore. Dal blu del fiume Po delimitato dagli argini, alle distese verdi della pianura padana e al grigio impenetrabile della nebbia.
Una storia di due fratelli dai tratti somatici simili ma diversi nel carattere come spesso accade. Separati da tempo si incontrano e imperversano rivalità e litigi, con delle modalità passionali che possono esprimere solidarietà seppur da madre diversa. Solo un sogno avverso ha portano i due fratelli a confrontarsi, a relazionarsi e a capire le diversità. Uno sfondo intimista, tenero e quando il loro l rapporto sembrava ingestibile è sfociato in un’alleanza e una complicità atta a difendere il proprio sogno e se stessi sfidando il mondo dei “grandi”. Gli attori non interpretano imprese eroiche né scene eccezionali ma predilige la rappresentazione della vita di tutti i giorni, sfumature attraverso ambienti di provincia: il bar, il casolare di campagna, la comunità terapeutica, i carabinieri, il matto e i bulli del paese. Un affresco malinconico con un pizzico di retorica commovente.
Un aforisma da sottolineare che ricalca un pensiero profondo “La sai la differenza tra gli uomini e gli animali?… Sono i sogni. Noi uomini sappiamo guardare avanti perché abbiamo dei sogni da realizzare… andiamo in cerca di qualcosa di grande.” Quanto di più vero!. Nella storia quante invenzioni e scoperte scientifiche ispirate dai sogni che hanno cambiato il mondo.
Una pellicola che potremo inserirla nel genere sci-fi-humor suggestiva, inusuale, avvincente che nel mio caso fatal coincidenza non ha trovato miglior location cinematografica di un multisala fino a ieri intitolato a G. Méliès pioniere del film di fantascienza per l’appunto “Voyage dans la lune “(1902).
Sperando che sia di buon auspicio perché una sceneggiatura così genuina, intimista , una storia di fratellanza dal genere fantasy con ingredienti divertenti non si vedeva da parecchio tempo!. Un lieto epilogo rispecchia l’essere umano che deve lottare fino alla fine per guadagnarsi un posto nel mondo, pardon, sulla Luna. Nel finale giusta esaltazione al decollo con la musica del compositore Pino Donaggio. Da vedere.
Gio.To.
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alice88
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martedì 1 settembre 2020
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una bella commedia che racconta la forza dei sogni
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Prima di essere una bella commedia, scritta con intelligente leggerezza guardando un po' al cinema di Spielberg e un po' al cinema di Mazzacurati, "Il grande passo" è un film coraggioso. È un film, cioè, che non ha paura di essere poetico e non ha paura di raccontare la forza dei sogni e della tenerezza. Fresi e Battiston, per la prima volta assieme, rivaleggiano in bravura e il mitico Pino Donaggio firma un'altra colonna sonora da ricordare. Insomma: cinque stelle, senza esitazioni!
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marco
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martedì 1 settembre 2020
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la concretezza del sogno
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Il cinema italiano riparte da qui. Con un così nobile compito, il titolo di quest’opera di Antonio Padovan risuona ancor più solenne. Il grande passo è però un film che (per fortuna) mai si sarebbe immaginato di vedersi attribuire tale responsabilità, sicuramente la sua poetica ne avrebbe risentito. Il grande passo non vuole far rumore, è un film tenero, ricco di buoni sentimenti, che si muove con estrema delicatezza. È una storia che parte da una suggestione altisonante (raggiungere la Luna) per poi soffermarsi su un piano assai più terreno, umano ed emozionale; in altre parole decide di non spettacolarizzare lo spettacolare ma pone l’accento sui rapporti umani e su quanto essi incidano sull'essere dell’individuo, sui suoi comportamenti e sul suo modo di guardare al futuro, che è anche, talvolta, un modo per sognare.
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Il cinema italiano riparte da qui. Con un così nobile compito, il titolo di quest’opera di Antonio Padovan risuona ancor più solenne. Il grande passo è però un film che (per fortuna) mai si sarebbe immaginato di vedersi attribuire tale responsabilità, sicuramente la sua poetica ne avrebbe risentito. Il grande passo non vuole far rumore, è un film tenero, ricco di buoni sentimenti, che si muove con estrema delicatezza. È una storia che parte da una suggestione altisonante (raggiungere la Luna) per poi soffermarsi su un piano assai più terreno, umano ed emozionale; in altre parole decide di non spettacolarizzare lo spettacolare ma pone l’accento sui rapporti umani e su quanto essi incidano sull'essere dell’individuo, sui suoi comportamenti e sul suo modo di guardare al futuro, che è anche, talvolta, un modo per sognare. E il sogno è chiaramente un tema cardine del film: i sogni non sono una valvola di sfogo, sono il motore della vita. Ecco come Padovan da corpo ad un concetto che non è solo astratto, anzi: se è vero che i sogni condizionano la nostra vita, ecco che sognare diventa un’azione concreta (il titolo del film non è “il grande sogno”, ma “Il grande passo”!!!). Il film nasce da un soggetto (anch'esso di Padovan) complesso, difficile e molto rischioso che, grazie ad una sceneggiatura ben equilibrata e ad una coppia d’attori straordinaria, giunge sul grande schermo in forma smagliante. Giuseppe Battiston e Stefano Fresi, un duo che tutto il pubblico (ma immagino anche gli addetti ai lavori) attendeva da tempo, condiscono il film con un’ulteriore brillantezza data da due personaggi distanti ma legati da una figura paterna che ne condiziona l’esistenza sin da piccoli, uno con un obbiettivo che “è tutta la sua vita”, l’altro, il suo obiettivo l’ha perso per strada. Un incontro/scontro, quello dei due protagonisti, nel quale la fuga dalla realtà porta comunque con sé la necessità di poggiare su basi concrete e l’amara disillusione fa di tutto per trovare rifugio nell'irrazionale. Il grande passo è dunque un elogio del sogno e all'effetto che esso ha sugli altri, in un mondo in cui il risultato è meno importante della passione e dell’impegno che vi si pone nel perseguirlo. Ecco la bellezza del sogno, anzi, del sognare, perché l’accezione all'infinito meglio si confà a quest’opera.
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frankmoovie
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martedì 25 agosto 2020
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il grande passo: cinema e poesia
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Il film di questo weekend ci ha dimostrato come il cinema non è fatto solo di violenza, sentimentalismi, azioni convulsive, thrilling, sesso e parolacce ... ma può essere altamente "poetico". I sogni si possono avverare? E gli affetti si possono ritrovare? Da cosa dipende quella volontà quasi folle di raggiungere obiettivi impossibili. O tutti gli obiettivi sono possibili? E perché chi sogna, spesso, è preso in giro quando decide di realizzare il sogno? Qui, due fratelli quasi sconosciuti, uno cresciuto a Roma e l'altro nel Nord est, si trovano dopo anni con idee ed esperienze diverse, si devono confrontare con una realtà difficile e una situazione psicologica che sembra incomprensibile, si muovono in un paesaggio e tra persone più che normali mentre, insieme, arrivano a combattere il cammino piatto della vita, la monotonia.
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Il film di questo weekend ci ha dimostrato come il cinema non è fatto solo di violenza, sentimentalismi, azioni convulsive, thrilling, sesso e parolacce ... ma può essere altamente "poetico". I sogni si possono avverare? E gli affetti si possono ritrovare? Da cosa dipende quella volontà quasi folle di raggiungere obiettivi impossibili. O tutti gli obiettivi sono possibili? E perché chi sogna, spesso, è preso in giro quando decide di realizzare il sogno? Qui, due fratelli quasi sconosciuti, uno cresciuto a Roma e l'altro nel Nord est, si trovano dopo anni con idee ed esperienze diverse, si devono confrontare con una realtà difficile e una situazione psicologica che sembra incomprensibile, si muovono in un paesaggio e tra persone più che normali mentre, insieme, arrivano a combattere il cammino piatto della vita, la monotonia. Tutta la storia è raccontata con ritmi tranquilli, con momenti di grande simpatia, una colonna sonora non invadente avvolta in un'atmosfera di alta poesia. Conferma per i due, già famosi interpreti principali, simili in stazza e bravura: Stefano Fresi e Giuseppe Battiston, circondati da un cast all'altezza, tra cui Roberto Citran, Camilla Filippi, Teco Celio e il contributo di Flavio Bucci. La regia del giovane Antonio Padovan è tipica del cinema all'italiana, con l'aiuto di ottimi primi piani e lunghi silenzi. Peccato che in questo periodo difficile le sale sono quasi vuote: questo film merita di essere visto perché regala sogni, serenità, sorrisi sfiorando problemi quotidiani familiari e sociali (non a caso i due fratelli hanno vissuto in Regioni lontane ...) e portando il pubblico piano piano sulla Luna ...
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eugenio
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giovedì 4 febbraio 2021
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extraterrestre…portami via
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Film d’altri tempi con due personaggi assai caratteristici nella loro mole e perché no, nella vagheggiata dolcezza. Il grande passo, come già Tito e gli alieni, mischia fantascienza e commedia per raccontare la storia, tutta umana, di una ricerca identitaria oltre la semplice conformazione linguistica.
Sin dalle prime inquadrature con un deciso Giuseppe Battiston che interpreta il solitario Dario, le atmosfere sembrano quelle di un film “americano” con tanto di astronauta pronto a partire da una base missilistica sui generis, il nord-est nebbioso, salvo poi tradursi in un nulla di fatto e provocare “qualche piccolo problemino incendiario” ai campi.
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Film d’altri tempi con due personaggi assai caratteristici nella loro mole e perché no, nella vagheggiata dolcezza. Il grande passo, come già Tito e gli alieni, mischia fantascienza e commedia per raccontare la storia, tutta umana, di una ricerca identitaria oltre la semplice conformazione linguistica.
Sin dalle prime inquadrature con un deciso Giuseppe Battiston che interpreta il solitario Dario, le atmosfere sembrano quelle di un film “americano” con tanto di astronauta pronto a partire da una base missilistica sui generis, il nord-est nebbioso, salvo poi tradursi in un nulla di fatto e provocare “qualche piccolo problemino incendiario” ai campi. Poi piano, piano, il piano sequenza ci porta in un negozio di ferramenta di Roma che un pacioccone Stefano Fresi (Mario), gestisce con la madre con cui condivide l’appartamento. L’indole assai mite dell’uomo costituisce un contrasto con l’animo arcigno di Dario, perché, ecco, i due sono fratelli nati da madre diversa ma dallo stesso padre che li ha abbandonati da piccoli.
Quando Mario viene chiamato dall’avvocato di uno sperduto paesino del nord-est, a causa del rischio assai certo di un trattamento sanitario obbligatorio a cui il fratello potrà essere sottoposto, ecco che Il grande passo di Antonio Padovan, si instaura nei binari consolidati della commedia drammatica, nel confronto/scontro tra due ambizioni fallite, quelle di due fratelli che impareranno a conoscersi e chissà a decollare insieme verso il lato oscuro della luna del loro carattere, ritrovandone la luce perduta.
A tre anni di distanza da Finché c’è prosecco c’è speranza, Padovan torna a girare un film “locale” che per la natura stessa dei paesaggi e dell’ambiente agreste affascina e colpisce per la ricercatezza di una sfumatura di distese verdissime, intinte da una selvaggia brughiera manco fossimo in Inghilterra. E in esso, è prezioso scoprirne una valenza universale, una ricercatezza a raggiungere, come in una canzone di venata nostalgia e amara delusione di Eugenio Finardi, un pianeta sconosciuto, qui rappresentato dal nostro satellite, dai numerosi misteri nel suo lato oscuro.
Ad esso, ermeticamente e ostinatamente come fossero scelte eccentriche si oppone la luce della ragione del sosia di Battiston, Stefano Fresi, Mario, che bambinone goloso di gelato all’amarena, cerca di portare il “gemello diverso”, sulla retta via, quella conformistica e assai osteggiata dagli stessi abitanti del paesino che non vedono di buon occhio, quell’Archimede Pitagorico sui generis che è Dario. Ma non c’è solo questo, per fortuna: Il grande passo, pur cadendo più volte in scene enfatiche e retoriche, è un inno alla voglia di sognare, a guardar in alto, a cercar di scoprire il mistero che circonda noi stessi, invitandoci ad agire e perché no (ri)partire.
E dove quindi, se sulla Terra si è considerati come dei reietti? Oltre alla natura intima del proprio ego, è necessario un cambio di rotta e chissà forse di prospettiva, per riuscire a cogliere meglio la linea d’ombra dalle volte più oscure della galassia. Nulla che lo spazio, per sua stessa definizione, non possa offrirci. A patto di essere capaci di costruire un razzo. Ma chi l’ha detto che ci riesce solo la NASA? Suvvia, sogniamo!
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lizzy
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sabato 21 agosto 2021
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un grande film
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Finalmente un film con i "gemelli" Fresi/Battiston" assieme.
Lo aspettavo da tanto...
Diciamo che era inevitabile, come inevitabile la buona riuscita della coppia.
Questo film è un grande film non tanto per gli effetti speciali (comunque notevoli per un film sicuramente a bassissimo costo) o l'idea in se, ma perchè ci riporta alla vera vita quotidiana.
Qua dei due fratelli non è ben chiaro chi vincerebbe una gara in ingenuità: il romano forse ha anche più fisime del veneto. Basti pensare alla coppetta di gelato all'amarena, usata dal Fresi quasi come la coperta di Linus.
E l'astronave del Battiston non è così aliena come si potrebbe pensare: chi di noi non ha mai avuto di queste pensate, sia da piccolo che anche da più grande?
E chi decide quando cresciamo e perchè dobbiamo farlo?
Ovviamente nel mio mondo vale più una persona come Dario, schietta e senza peli sulla lingua, che mille altri personaggi che lasciano pur il tempo che trovano.
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Finalmente un film con i "gemelli" Fresi/Battiston" assieme.
Lo aspettavo da tanto...
Diciamo che era inevitabile, come inevitabile la buona riuscita della coppia.
Questo film è un grande film non tanto per gli effetti speciali (comunque notevoli per un film sicuramente a bassissimo costo) o l'idea in se, ma perchè ci riporta alla vera vita quotidiana.
Qua dei due fratelli non è ben chiaro chi vincerebbe una gara in ingenuità: il romano forse ha anche più fisime del veneto. Basti pensare alla coppetta di gelato all'amarena, usata dal Fresi quasi come la coperta di Linus.
E l'astronave del Battiston non è così aliena come si potrebbe pensare: chi di noi non ha mai avuto di queste pensate, sia da piccolo che anche da più grande?
E chi decide quando cresciamo e perchè dobbiamo farlo?
Ovviamente nel mio mondo vale più una persona come Dario, schietta e senza peli sulla lingua, che mille altri personaggi che lasciano pur il tempo che trovano.
E che dire degli altri attori: tutti nella loro parte. Anche il grande Bucci in un insospettabile (chiamiamolo) cameo: solo lui poteva addossarsi quella parte pesante esibendo tutta la (vera) leggerezza del personaggio. Leggerezza poi ereditata dal figliolo Dario che, con una punta di incoscienza sconosciuta al genitore, ha "fatto" invece che "provato".
Bellissimo film: fossero tutte così le prossime uscite italiane si potrebbe pensare ad un nuovo rinascimento del Cinema Italico.
Ma non m'illudo certo (e sono sicura che saremo veramente pochi, alla fine, ad aver visionato questo piccolo gioiellino).
P.S. Spero in un "sequel" con ricaduta sulla terra del Temerario Dario munito di mega paracadute con magari, perchè no, un gesto di ordinaria incoscenza questa volta da parte del fratello Mario, magari alla ricerca a sua volta di una propria identità per emulare il più coraggioso (per ora) fratellone.
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