eugenio
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domenica 22 novembre 2020
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libertà è donna
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Film semplice, quasi dicotomico, alterna un bene femmineo al male ostracista maschile. Un maschio, chiuso, incoerente, oppressore, ignorante, una donna, spesso vittima del potere “sovversivo” femminile ma capace forse di rivalutare la vita in maniera differente a una mentalità retrograda e incapace di valutare il sesso opposto.
In Macedonia, terra millenaria di Alessandro il Grande, l’audace regista Teona Strugar Mitevska, descrive una storia quasi “assurda” per quanto terribilmente vera con un titolo che chiama allo sberleffo e alla satira: Dio è donna e si chiama Petrunya. Sceglie appunto una donna come protagonista, Petrunya (Zorica Nusheva), trentaduenne sovrappeso laureata in storia e disoccupata, incerta ancora nella sua precisa direzione da prendere nella vita, sola in tutte le sue idiosincrasie, alle prese con una famiglia assai conservatrice.
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Film semplice, quasi dicotomico, alterna un bene femmineo al male ostracista maschile. Un maschio, chiuso, incoerente, oppressore, ignorante, una donna, spesso vittima del potere “sovversivo” femminile ma capace forse di rivalutare la vita in maniera differente a una mentalità retrograda e incapace di valutare il sesso opposto.
In Macedonia, terra millenaria di Alessandro il Grande, l’audace regista Teona Strugar Mitevska, descrive una storia quasi “assurda” per quanto terribilmente vera con un titolo che chiama allo sberleffo e alla satira: Dio è donna e si chiama Petrunya. Sceglie appunto una donna come protagonista, Petrunya (Zorica Nusheva), trentaduenne sovrappeso laureata in storia e disoccupata, incerta ancora nella sua precisa direzione da prendere nella vita, sola in tutte le sue idiosincrasie, alle prese con una famiglia assai conservatrice. A seguito dell’ennesimo colloquio in cui le viene candidamente annunciato dal proprietario, amico di famiglia, di una società che impiega donne a cucire camice, che è troppo grassa, inutile per una professione come quella di segretaria, troppo “brutta pure per essere scopata”, insomma, che fa? Tornando a casa, assistendo alla usuale manifestazione religiosa della cittadina di Stip in cui nell’epifania del calendario ortodosso, il prete lancia una croce di legno nel fiume, e centinaia di uomini si tuffano sfidando neve e freddo intenso per ripescarla, ecco decide di parteciparvi ben sapendo che non è consentito.
Lei donna. Lei con tutti gli abiti si butta e recupera quella croce, simbolo divino di fortuna e prosperità. E anche passione. Perché sarà una specie di passione quella che Petruyna, con un gesto apparentemente futile solleverà nella bigotta comunità. L’atto di prendere in mano il crocifisso, per i fieri maschi di Stip, rappresenta un affronto, che la donna, volontariamente, per una sorta di riscatto sociale e mentale, non ha intenzione di consegnare né alle istituzioni né tantomeno alla polizia, intervenuta per sedare una folla inferocita.
Da questo assunto, il film Dio è donna e si chiama Petrunya, palesa tutta la sua satira nei confronti di una realtà patriarcale, fuori dal tempo, in cui la religione pesa più dello stato e la donna è spesso relegata a semplice appendice “domestica” priva di una sua autonomia e dignità. Petruyna, goffa e stordita dagli eventi, non ci sta e nella macchina da presa della Mitevska, palesa tutta l’ipocrisia di una società balcanica fortemente oppressiva nei confronti della donna, donna appunto che assume il veicolo di una “libertà che guida il popolo” con tutte le sue insicurezze e dogmi (in primis dettati dai genitori) contro l’ostruzionismo maschilista.
E lo fa, con l’aiuto di una giovane giornalista che anche lei cerca di dare visibilità alla lotta, in accordo alla solidarietà femminista, senza necessità di emigrare, là oltre quella Macedonia, assai poco meritocratica e chissà forse dai comportamenti similari ad alcune zone del nostro caro Occidente evoluto.
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[+] l''intelligenza di petrunya
(di lucas)
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francesca meneghetti
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mercoledì 8 gennaio 2020
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da neet frustrata a guerriera, avvocata di se stessa
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Avete presente l’episodio napoletano di Paisà, quando il soldato nero ubriaco, assistendo al teatro dei pupi che mette in scena la secolare battaglia di Orlando contro i mori, decide di parteggiare per i confratelli di colore e fa a pugni con le marionette bianche e cristiane? Beh, ci è mancato poco che anch’io, vedendo questo film, mi alzassi dalla poltrona per fare a cazzotti con il capo di un branco violento e maschilista (qui diremmo sovranista, ma forse sarebbe più corretto parlare di poveretti succubi del testosterone). Diciamo che, visto il trailer, a digiuno di recensioni, mi sarei aspettata un film più leggero, mentre sono stata risucchiata da emozioni forti, incluse paura e apprensione per la sorte della protagonista (per quanto si tratti di un personaggio, dunque di una finzione).
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Avete presente l’episodio napoletano di Paisà, quando il soldato nero ubriaco, assistendo al teatro dei pupi che mette in scena la secolare battaglia di Orlando contro i mori, decide di parteggiare per i confratelli di colore e fa a pugni con le marionette bianche e cristiane? Beh, ci è mancato poco che anch’io, vedendo questo film, mi alzassi dalla poltrona per fare a cazzotti con il capo di un branco violento e maschilista (qui diremmo sovranista, ma forse sarebbe più corretto parlare di poveretti succubi del testosterone). Diciamo che, visto il trailer, a digiuno di recensioni, mi sarei aspettata un film più leggero, mentre sono stata risucchiata da emozioni forti, incluse paura e apprensione per la sorte della protagonista (per quanto si tratti di un personaggio, dunque di una finzione). E chiedo scusa per la soggettività e la prima persona. La storia: c’è una ragazza “neet” di nome Petrunya, laureata in storia, che vive a Štip, in Macedonia, e che trascina la sua vita e i suoi kili di troppo, accumulati forse a causa della disistima di una madre opprimente. La interpreta Zorica Nusheva, dotata di un viso bello e radioso, che mette in ombra l’opulenza del corpo. Ma qui è imbruttita a causa dell’abbigliamento sciatto. Fallito l’ennesimo colloquio di lavoro (nessuno vuole un laureato in storia: del resto la disoccupazione sembra il primo problema di quel Paese), si trova per caso ad assistere a un rito ortodosso in cui confluiscono fede (pochina), superstizione e riti tribali maschilisti. Infatti sarà baciato dalla fortuna per un anno chi si getterà nel fiume gelato a Natale per catturare una croce di legno lanciata dal culmine del ponte da un prete ortodosso. Solo che i maschi fanno solo confusione e Petrunya, presa da un raptus, si butta in acqua vestita, prende il “tesoro” e lo trattiene benché l’orda dei maschi scornati la pretenda, fino ad arrivare a casa, dove si scontrerà con la madre. L’episodio, che accadde realmente nel 2014, suscita una forte reazione tra i suddetti giovani maschi, e per questa ragione Petrunya viene portata nella centrale di polizia, benché non abbia violato alcuna legge dello stato. Ed è proprio qui, su un terreno estremamente insidioso e pericoloso controllato da uomini di potere, che inizia la metamorfosi di Petrunya: prima rassegnata al ruolo di sfigata, protagonista di un gesto istintivo, un po’ folle, ora avvocata lucida di se stessa, capace di utilizzare le sue competenze storiche, che le consentono di distinguere tra ciò che è legge e ciò che è precetto religioso, ovvero reato e peccato, ciò che è diritto da ciò che è abuso, ciò che è giustizia dall’ingiustizia. Nello spazio chiuso della centrale di polizia, che a un certo momento viene assediata dall’orda dei buzzurri di Štip, per niente diversi dai fanatici del Ku Klux Klan, si aggirano diversi personaggi maschili, assai diversi tra loro: l’ipocrita pope, l’astuto (fino a un certo punto) commissario, il poliziotto cattivo, brutto e bruto, il procuratore sornione, il poliziotto buono e gentile, finito in polizia solo per sfuggire alla disoccupazione. Lui mostra compassione e ammirazione per Petrunya e per il suo coraggio. Si abbozza delicatamente il disegno di una possibile relazione futura. Petrunya annusa la speranza, cede al pope la croce, che prima teneva gelosamente come trofeo ed amuleto, e si avvia verso un nuovo giorno. Anche se non ci sarà mai un vero incontro, la battaglia solitaria di Petrunya viene affiancata da quella parallela, ugualmente solitaria, di una giornalista, interpretata dalla sorella della regista Teona Strugar Mitevska (colei che rilevò il fatto di cronaca del 2014, liquidato rapidamente dalla stampa). La giornalista del film, in crisi con il marito, in difficili rapporti con il cameraman e con il direttore della sua rete televisiva, che alla fine la licenzia, comprende la portata simbolica del gesto di Petrunya: una ribellione verso una società immobile, rimasta ferma al medioevo e profondamente misogina. Non è un film rilassante, d’evasione: è un film che ti fa desiderare di entrare nella scena per dare un cazzotto, se possibile, a certi prepotenti. Originali le angolazioni delle riprese.
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[+] l' intelligenza di una donna
(di merilois)
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stefano capasso
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mercoledì 18 novembre 2020
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emanciparsi nel mondo delle istituzioni maschili
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Petrunya è una donna di 32 anni, vive a Stip con i genitori, non ha un lavoro, non è mai stata fidanzata ed è laureata in storia. Durante la cerimonia religiosa del 6 gennaio, rompe la tradizione che vuole che solo gli uomini possano gettarsi nelle acque del fiume per recuperare la croce di legno che il sacerdote vi aveva tirato. Petrunya raccoglie per prima la croce di legno, e questa scatena le ire del manipolo di uomini che l’aspettano fuori del commissariato dove nel, frattempo, è stata condotta. Non ha infranto nessuna legge, ma il potere delle istituzioni e quello della chiesa la trattengono per tentare di recuperare la croce.
Il racconto di Teona Strugar Mitevska ricostruisce una storia che fondamentalmente, dopo il prologo iniziale, si sviluppa lungo un’unica notte nel commissariato.
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Petrunya è una donna di 32 anni, vive a Stip con i genitori, non ha un lavoro, non è mai stata fidanzata ed è laureata in storia. Durante la cerimonia religiosa del 6 gennaio, rompe la tradizione che vuole che solo gli uomini possano gettarsi nelle acque del fiume per recuperare la croce di legno che il sacerdote vi aveva tirato. Petrunya raccoglie per prima la croce di legno, e questa scatena le ire del manipolo di uomini che l’aspettano fuori del commissariato dove nel, frattempo, è stata condotta. Non ha infranto nessuna legge, ma il potere delle istituzioni e quello della chiesa la trattengono per tentare di recuperare la croce.
Il racconto di Teona Strugar Mitevska ricostruisce una storia che fondamentalmente, dopo il prologo iniziale, si sviluppa lungo un’unica notte nel commissariato. Quasi un kammerspiel, vagamente mockumentary, girato con piani sempre ravvicinatissimi fino ad arrivare al fuori quadro, e sempre con macchina a mano, il film centra la sua attenzione sul percorso di emancipazione della protagonista. Le sue ataviche insicurezze, che provengono da una famiglia che non crede in lei, e forse dal suo essere sovrappeso, vengono messe alla prova quando, istintivamente decide di tuffarsi e prendere la croce, nella speranza di avere un po’ di fortuna. Il confronto con le istituzioni più forti, lo stato, la chiesa, in genere il mondo maschile, fa emergere in lei una inaspettata capacità di determinazione e coraggio. Il solo fatto di essere riuscita nell’impresa cambia qualcosa in lei, che guadagna spazio, anche fisicamente, in quel mondo dove fino a poco prima non le lasciava spazio. Nel sostenere le sue posizioni, riceverà il sostegno di un poliziotto, con il quale, nasce un sentimento.
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