taty23
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lunedì 1 aprile 2019
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mai lasciarsi sopraffare
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Il film Una giusta causa si ispira alla storia di Ruth Bader Ginsburg.
Nel 1956 Ruth Bader Ginsburg è stata una delle nove donne ammesse all’Università di Harvard, ma nonostante la sua intelligenza e il suo talento venne rifiutata da molti studi legali in quanto donna.
Aiutata dal marito Martin Ginsburg e supportata dall’avvocato Dorothy Kenyon accetta un difficilissimo caso di discriminazione di genere. Contro l’opinione di tutti Ruth riuscirà a vincere la causa, creando un grandissimo precedente che cambiò la storia sulla parità dei diritti negli Stati Uniti.
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Il film Una giusta causa si ispira alla storia di Ruth Bader Ginsburg.
Nel 1956 Ruth Bader Ginsburg è stata una delle nove donne ammesse all’Università di Harvard, ma nonostante la sua intelligenza e il suo talento venne rifiutata da molti studi legali in quanto donna.
Aiutata dal marito Martin Ginsburg e supportata dall’avvocato Dorothy Kenyon accetta un difficilissimo caso di discriminazione di genere. Contro l’opinione di tutti Ruth riuscirà a vincere la causa, creando un grandissimo precedente che cambiò la storia sulla parità dei diritti negli Stati Uniti.
La pellicola Una giusta causa ci porta in una storia con dei richiami biografici, alternati a momenti di procedural.
Ci racconta di un personaggio che diventerà un’icona di speranza, di progresso, d’indipendenza e di uguaglianza.
Soprattutto tenta di esplorare le varie sfaccettature di Ruth; piena di ambizione, ferocemente devota allo studio, alla legge e al concetto di giustizia. Alla ricerca del giusto equilibrio tra i suoi obiettivi e il suo ruolo di moglie e madre che i dettami dell’epoca esigevano.
Attraverso una narrazione classicheggiante ritroviamo i punti salienti della vita della protagonista e vediamo la sua continua lotta in un mondo fatto di uomini, pieno di preconcetti e limitazioni.
Ad incarnare il personaggio di Ruth troviamo Felicity Jones che con grande abilità riesce a trasmettere forza d’animo, caparbietà, coraggio e nello stesso tempo una certa frustrazione per la società che la circonda. Armie Hammer interpreta Martin Ginsburg marito di Ruth e avvocato, un personaggio che appoggia completamente la moglie che tenterà di aiutare in tutti i modi.
Da sottolineare l’incontro che Ruth avrà con il suo mito, l’avvocato progressista Dorothy Kenyon interpretata da una magistrale Kathy Bates, sempre a suo agio in questi ruoli molto schietti e quello con Justin Theroux nei panni del misogino direttore legale dell’UCLA Mel Wulf.
Il film Una giusta causa è un omaggio ad una donna che con la sua tenacia ha cercato di non arrendersi mai. Una storia attuale che ci ricorda di chi ha combattuto ieri, per formare i diritti di oggi indipendentemente dal genere di discriminazione.
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loland10
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martedì 9 aprile 2019
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liberi da harvard...
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“Una giusta causa” (On the Basis of Sex),2018) è il quinto lungometraggio della regista di Mimi Leder.
Film di fruizione non semplice e di amalgama non perfettamente riuscito.
Nel 1956 essere in dote all’università prettamente maschile, in controtendenza e di sesso opposto sembrava una pena già indicibile prime di ogni processo. Essere donna e iscritta ad Harvard tra centinaia di galoppanti maschi e tre sole sedere tra sguardi arroganti, inferociti, o per lo meno sognanti. Ecco che il sesso femminile muove le prime armi in una battaglia lunga e per nulla facile.
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“Una giusta causa” (On the Basis of Sex),2018) è il quinto lungometraggio della regista di Mimi Leder.
Film di fruizione non semplice e di amalgama non perfettamente riuscito.
Nel 1956 essere in dote all’università prettamente maschile, in controtendenza e di sesso opposto sembrava una pena già indicibile prime di ogni processo. Essere donna e iscritta ad Harvard tra centinaia di galoppanti maschi e tre sole sedere tra sguardi arroganti, inferociti, o per lo meno sognanti. Ecco che il sesso femminile muove le prime armi in una battaglia lunga e per nulla facile. Tutt’altro. Anche se la ‘Columbus’ offre a Ruth il suo sogno .
Film implosivo, poco accattivante, linearmente assonnato, idealmente retorico e, in sincera goduria visiva, leccato al gusto invero di sale insufficiente.
Parte con musica altisonante, da fanfara, esclusivo e senza code dietro: ecco una vista particolare su una ‘provincia’ americana che attende una rivincita, una famiglia che aspetta e una madre che vuole ridisegnare un diritto comune. Parità uomo-donna e giustizia dei diritti per tutti/e.
Certo è non un film appassionate con una tenuta non sempre all’altezza; ma l’idea centrale riesce a spalmarsi lungo il racconto per cercare di tenere viva l’attenzione dello spettatore (non molti in una sala d’essai per una serata ordinaria).
Diviso tra situazione familiare, racconto biopic e atti processuali. Non sempre la miscela riesce lasciando lo spettatore ora preso, ora sognante di altro, ora infreddolito e ora partecipe per un finale non certo entusiasmante.
Una donna avvocato, Ruth Bader Ginsburg, che fa giurisprudenza per un figlio adulto, non sposato che accudisce la propria madre in stato semi vegetativo. I diritti equanimi tra chi custodisce i genitori a casa per avere una legge giusta non fa differenza tra una donna e un uomo. I risarcimenti morali e poi quelli economici: così la storia di due persone qualsiasi della provincia americana ha il destino di essere apripista per una signora che dibatte il caso, con suo marito anche lui avvocato, presso il tribunale di alta corte di New York. Senza giuria: è un confronto diretto tra i fatti e le leggi vigenti, la vita cambiata e gli emendamenti della costituzione a stelle e strisce.
Comodo e senza grandi salti, con discussioni e stile ‘investigativo’ che conosciamo. Con un aggiustamento lungo il percorso: la figlia in lite, il padre Marty che risolve e la madre con toni perentori sembrano situazioni che non lasciano molto segno come la preparazione del processo in casa, con aiuti esterni importanti e finte approvazioni familiari. E quando Jane risponde in modo perentorio e ‘volgare’ a certi beceri richiami di alcuni operai, Ruth pare bagnata, non dalla pioggia che cade fortemente, ma dalla ‘foga’ filiale e dalla schiena diritta di un marito che ha superato una prima avvisaglia di malattia pericolosa.
Dal 1956 ai giorni nostri le cose sono cambiate molto e la giurisprudenza ‘statunitense’ mette un altro tassello ai diritti del ‘genere’ umano. Ecco la parola di distinzione ‘sessuale’ sembrava un modo orrendo di giudicare e di equiparare.
I titoli finali con foto reali, storie, vite, percorsi e personaggi danno il giusto senso a tutto.
Si ripete un film anche necessario ma non sempre ficcante nella riuscita degli intenti.
Felicity Jones (Ruth Ginsburg) appare brava e impacciata, lieve e idonea come il personaggio richiede, non affiacata da una scrittura importante.
Regia quasi monocorde e non sempre in volo, angusta e volitiva,
Voto: 6 (**½)
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vanessa zarastro
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lunedì 15 aprile 2019
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emancipazione femminile
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In linea come molti film americani degli ultimi anni, prodotti principalmente da Partecipant Media, “On the Basis of Sex”, titolo originale, è tratto da una storia vera e come gli altri è predatato. I film cui mi riferisco sono quelli che hanno il compito di evidenziare le battaglie per i diritti civili, che siano donne, o neri oppure ebrei. Il recente “Green Book” che ha vinto l’Oscar 2019 per il miglior film, è ambientato nel 1962, tre anni prima dell'abrogazione delle leggi segregazioniste in vigore negli Stati ex-Confederati, “Diritto di contare” di Theodore Melfi racconta una vicenda del 1961, “I Lovings” di Jeff Nichols, invece del 1963, solo per citarne alcuni recenti.
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In linea come molti film americani degli ultimi anni, prodotti principalmente da Partecipant Media, “On the Basis of Sex”, titolo originale, è tratto da una storia vera e come gli altri è predatato. I film cui mi riferisco sono quelli che hanno il compito di evidenziare le battaglie per i diritti civili, che siano donne, o neri oppure ebrei. Il recente “Green Book” che ha vinto l’Oscar 2019 per il miglior film, è ambientato nel 1962, tre anni prima dell'abrogazione delle leggi segregazioniste in vigore negli Stati ex-Confederati, “Diritto di contare” di Theodore Melfi racconta una vicenda del 1961, “I Lovings” di Jeff Nichols, invece del 1963, solo per citarne alcuni recenti. Molti cineasti probabilmente si concentrano sui problemi di razzismo e discriminazione all’epoca della fine degli anni ’50 o dell’inizio dei ’60, per non affrontare quelli di oggi che presentano un’incredibile involuzione.
“Una giusta causa” è un film biografico che narra la storia degli esordi di Ruth Bader Ginsburg, poi diventata la seconda donna a essere nominata Giudice della Corte Costituzionale, dopo Sandra Day O’Connor, da Bill Clinton nel 1993. Nel 2009 Bader Ginsburg stata inserita tra le 100 donne più potenti dalla prestigiosa rivista di economia e finanza Forbes. La sceneggiatura del film era già stata scritta da Daniel Stiepleman, nipote di Ruth, e inserita nella Blacklist, cioè nella lista delle migliori sceneggiature non ancora realizzate. Aveva l’intento di presentare un tributo a una figura femminile che ha contribuito alle battaglie di parità di genere, e ha costituito un invito a non farsi sopraffare.
Ruth Bader (una bravissima Felicity Jones) sposata con Martin Ginsburg (un espressivo Armie Hammer), è stata una delle nove donne ammesse nel 1956 agli studi di giurisprudenza presso l’Università di Harvard. Sarà la prima della classe sia lì, sia all’Università alla Columbia, dove nel 1959 si laurea con merito. Ruth è riuscita a sostenere gli studi universitari nonostante avesse già una bambina piccola Jane (Cailee Spaeny), e più tardi anche un secondo figlio James, in quanto coadiuvata dal marito con cui divideva la cura dei bambini e della casa.
Trasferitasi a New York negli anni ’70, nonostante il suo talento, non riuscì a trovare lavoro negli studi legali come avvocato, in quanto donna. Si dedicò pertanto all’insegnamento della legge alla Rutgers University, dove si concentrò sull’approfondimento dei casi di discriminazione. Un giorno le capitò sotto mano (grazie al marito) una causa di discriminazione al contrario: Charles Moritz, sessantenne, aveva accudito la mamma malata e pagato una badante per farsi aiutare. Aveva quindi detratto le spese dalle tasse, ma nella giurisprudenza statunitense non era previsto che fosse un uomo, e per di più single, a doversi occupare della madre, quindi era stata bocciata dalla Commissione Tributaria. Ne avrebbe avuto diritto solo se fosse stato donna, perché si presumeva che il ruolo di caregiver fosse adatto solo al genere femminile.
A questo punto Ruth capì che questa occasione sarebbe stata la “giusta causa” per rilevare la discrepanza tra Costituzione che afferma la parità dei diritti, al di là del genere, e la giurisprudenza che invece li nega. Sostenuta, oltre che dal marito, dagli avvocati Mel Wulff (Justin Theroux), e Dorothy Kanyon (Kathy Bates) e dall’ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili), nel 1972 Ruth vincerà, incredibilmente la causa, creando in tal modo, un precedente nella storia legale statunitense.
Peccato che il film invece di mettere in evidenza la straordinarietà della donna, risulti essere una classica confezione americana di processo giudiziario a fin di bene, come ad esempio, tanto per citarne un paio, “Erin Brockovich” di Steven Sodenbergh del 2000 interpretato da una battagliera Julia Roberts, e “L’uomo della pioggia” di Francis Coppola del 1998, dove con Matt Demon si rappresenta l'eterno scontro tra Davide e Golia.
Il film, inoltre, è girato in maggioranza in interni – ricostruiti peraltro a Montreal - e la ricostruzione dell’epoca è affidata prevalentemente ai vestiti e soprattutto alla pettinatura della protagonista, mentre è quasi del tutto evitata l’ambientazione urbana. La Boston degli anni ’50, anche se nella parte universitaria di Cambridge, e la Manhattan degli anni ’70, avrebbero costituito di per sé una contraddizione interessante. La regista ci fa intravedere Manhattan attraverso la ripresa delle macchine in fila, schiacciate dal teleobiettivo. In quegli anni New York è stata piuttosto vitale e teatro di variopinte manifestazioni di ogni tipo: dalla pace nel Vietnam ai cortei antirazzisti. Pensiamo anche a come sia rappresentata nel recente film “La stanza delle meraviglie” di Todd Haynes, dove la New York in bianco e nero è una città in fieri, quasi in costruzione, mentre negli anni ’70 è al massimo del suo splendore, la più grande città che si possa ancora considerare “europea”, ed è lì che si può trovare il massimo di tutto: i migliori direttori d’orchestra (Leonard Bernstein), i migliori locali di jazz (il Village Vangard), i migliori architetti al M.O.M.A. (i Five Architects) e così via.
Nel finale “Una giusta causa” da dramma giudiziario diventa un feel-good-movie: ciò non toglie che il film sia godibile e rassicurante. La regista Mimi Leder racconta in un’intervista che ha scelto questa storia perché ha sentito molte affinità con le esperienze della Bader, entrambe madri, entrambe di origini ebraiche e con alle spalle una lunga storia d’amore, di cui si parla nel film. La figura di Martin Ginsburg infatti è ben descritta nel suo essere collaborativo in casa e nel lavoro: un attento padre e marito, un intelligente avvocato, che fa di tutto per incoraggiare la moglie. Addirittura potremmo affermare, per assurdo, che “dietro una grande donna c’è un grande uomo”.
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felicity
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lunedì 15 febbraio 2021
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una vita spesa per i diritti delle donne
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Una giusta causa esalta la sua protagonista, la Ginsburg che ha messo in atto una quieta rivoluzione, fondata sulla parola, sul controllo delle emozioni, sul duro lavoro, e trascina anche la platea.
Sensibilizza su tematiche importanti, attualizza il dibattito sul femminismo. Una vicenda di movimenti e di movimento. Con sullo sfondo il Sessantotto, il cambiamento. In una società in fibrillazione, che aveva bisogno di rinnovarsi.
Ma la regista Mimi Leder non vuole mettere in scena un comizio. Si innamora della Ginsburg, ne tratteggia le debolezze, i fallimenti, per poi accompagnarla fino al successo. Da professoressa a esempio per le nuove generazioni, attraverso i decenni.
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Una giusta causa esalta la sua protagonista, la Ginsburg che ha messo in atto una quieta rivoluzione, fondata sulla parola, sul controllo delle emozioni, sul duro lavoro, e trascina anche la platea.
Sensibilizza su tematiche importanti, attualizza il dibattito sul femminismo. Una vicenda di movimenti e di movimento. Con sullo sfondo il Sessantotto, il cambiamento. In una società in fibrillazione, che aveva bisogno di rinnovarsi.
Ma la regista Mimi Leder non vuole mettere in scena un comizio. Si innamora della Ginsburg, ne tratteggia le debolezze, i fallimenti, per poi accompagnarla fino al successo. Da professoressa a esempio per le nuove generazioni, attraverso i decenni. Con tanto di apparizione finale della vera Ginsburg.
E poco importa se a volte la costruzione sembra troppo hollywoodiana o lo spirito edificante rischia di prendere il sopravvento.
I canoni da solido legal movie vengono rispettati, lo scontro pirotecnico in aula è assicurato.
Negli ultimi ann questione di genere è stata ampiamente sfruttata dal cinema, ma non per questo si può dire che abbia perso appiglio, interesse o necessità di esistere.
Esempi recenti rilanciano le figure femminili verso nuove prospettive autoriali, così come avviene nel cinema di genere con le rivincite delle donne, film che vivono del loro coraggio e della loro forza anticonformista, caratteri totalmente estranei a questo film, ma cercando di essere più pertinenti rispetto al genere biografico, un prodotto come Una giusta causa ha poco o nulla in comune.
Il film di Mimi Leder non riesce a restituire l’opera al soggetto da cui è tratta: è troppo esplicitamente orchestrato e propone una fotografia dai colori pastello che rispecchia l’intreccio più con l’epoca in cui è ambientata (o con i vestiti della Ginsburg), che con la vicenda in sè.
La vita di Ruth Bader Ginsburg è raccontata con attenzione e cura del dettaglio, ricorrendo anche a un linguaggio giuridico specifico, ma è abbellita, epicizzata e vittima di superficialità che riguardano il conflitto con la figlia o la malattia del marito.
Restano gli attori, Felicity Jones e Armie Hammer, le belle parole romantiche che annebbiano gli ideali; la retorica e gli stereotipi che rendono più tollerabili le questioni di genere.
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fabio 3121
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martedì 20 aprile 2021
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film tv con troppi tecnicismi giuridici
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il film è ispirato alla vita di Ruth Ginsburg, studentessa ammessa ad Harward per il corso di giurisprudenza conseguita poi alla Columbia University. Nonostante sia una avvocatessa molto preparata troverà tante difficoltà a trovare lavoro presso uno studio legale a New York per il fatto di essere donna e quindi ripiegherà nell'insegnamento. Poi accetta di aiutare il marito avvocato nel difendere un cliente in un caso per una piccola evasione fiscale ma che alla base presenta una discriminazione di genere. Entrambi ribalteranno le sorti della sentenza dinanzi la Corte di Appello convincendo i giudici della incostituzionalità della legge. La pellicola, che ha il format di un film tv con protagonista assoluta Felicity Jones, non riesce a coinvolgere pienamente lo spettatore in quanto i dialoghi della sceneggiatura sono eccessivamente caratterizzati da troppi tecnicismi giuridici e, quindi, alla fine appiattiscono la visione anche per gli addetti ai lavori del settore giudiziario.
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il film è ispirato alla vita di Ruth Ginsburg, studentessa ammessa ad Harward per il corso di giurisprudenza conseguita poi alla Columbia University. Nonostante sia una avvocatessa molto preparata troverà tante difficoltà a trovare lavoro presso uno studio legale a New York per il fatto di essere donna e quindi ripiegherà nell'insegnamento. Poi accetta di aiutare il marito avvocato nel difendere un cliente in un caso per una piccola evasione fiscale ma che alla base presenta una discriminazione di genere. Entrambi ribalteranno le sorti della sentenza dinanzi la Corte di Appello convincendo i giudici della incostituzionalità della legge. La pellicola, che ha il format di un film tv con protagonista assoluta Felicity Jones, non riesce a coinvolgere pienamente lo spettatore in quanto i dialoghi della sceneggiatura sono eccessivamente caratterizzati da troppi tecnicismi giuridici e, quindi, alla fine appiattiscono la visione anche per gli addetti ai lavori del settore giudiziario. Buone scenografie, costumi e fotografia, ma il risultato finale è appena sufficiente. Voto: 6/10.
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