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martedì 28 maggio 2019
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border: varcando il confine.
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Border si presenta come un ottimo lungometraggio, un prodotto finemente stratificato e curato nei minimi dettagli, capace di trasportare lo spettatore nel vivo di questa storia strana e peculiare, così lontana dal nostro vissuto eppure, in qualche modo, concretamente vicina a noi. Agassi avvalendosi anche del fascino malinconico e talvolta tetro generato dal panorama scandinavo oscuro, freddo e misterioso, crea la giusta atmosfera nella quale siamo invitati ad immergerci, confezionando un'opera narrativamente articolata, complessa ed interessante ma accessibile a tutti, dove il simbolo, la metafora, l'allegoria prendono vita e costruiscono una fiaba eterodossa e singolare in grado di spiazzarci emotivamente e portarci in terreni inesplorati.
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Border si presenta come un ottimo lungometraggio, un prodotto finemente stratificato e curato nei minimi dettagli, capace di trasportare lo spettatore nel vivo di questa storia strana e peculiare, così lontana dal nostro vissuto eppure, in qualche modo, concretamente vicina a noi. Agassi avvalendosi anche del fascino malinconico e talvolta tetro generato dal panorama scandinavo oscuro, freddo e misterioso, crea la giusta atmosfera nella quale siamo invitati ad immergerci, confezionando un'opera narrativamente articolata, complessa ed interessante ma accessibile a tutti, dove il simbolo, la metafora, l'allegoria prendono vita e costruiscono una fiaba eterodossa e singolare in grado di spiazzarci emotivamente e portarci in terreni inesplorati. Il costante uso della simbologia e della metafora costituisce la vera colonna portante del film che ci chiede di mettere da una parte le nostre certezze, i nostri pregiudizi, e varcare quel confine invisibile oltre il quale c'è "l'altro", quella potente e ricorrente figura narrativa che si contrappone al "noi" e rappresenta il mistero, l'oscuro, l'ignoto e spesso il nemico. Perchè l'altro rappresenta a prescindere la diversità nella sua accezione più ampia e la quale diventa, a discrezione dell'ottica in cui viene inquadrata e analizzata, un ostacolo o una minaccia da mantenere sotto controllo con ogni mezzo possibile (inclusa la repressione) oppure una scoperta, curiosa e intrigante che induce al contatto, alla conoscenza dell'altro, all'abbattimento dei confini spesso mentali e illusori che ci imponiamo, che ci spinge a scoprire somiglianze, identificare punti in comune ed infine accettare e rendere possibile una convivenza armoniosa. Noi umani, istintivamente agiamo in entrambi i modi e se dapprima risulta un'istinto o un riflesso naturale quello di opporci a ciò che riteniamo diverso ed estraneo a noi, per preservare le nostre abitudini ed usanze, è altrettanto vero che la diversità esercita una forza magnetica, ci chiama e ci invita a conoscere una parte nuova di noi stessi e del mondo. Ci invita quindi ad abbattere i muri e attraversare i confini grazie ai quali è possibile raggiungere una nuova consapevolezza.
Ed è esattamente su questo aspetto che investe Agassi proponendoci di lasciarci andare e trasportare in questo perturbante racconto, questa fiaba nera che rappresenta una storia di scoperta delle proprie origini, un'orgogliosa riaffermazione e rivendicazione della propria identità e appartenenza (minoritaria) ma anche una riflessione crudele e intesa su ciò che contraddistingue l'essere umano dalla bestia, la moralità e il senso di giustizia dalla pericolosa deriva di dissolutezza e perversione che infestano il nostro mondo.
In questo modo, grazie ad un abile incastro di ogni singolo tassello che compone la storia, Agassi ci porta all'interno di questo mondo fiabesco, magico ed etereo ma anche concretamente sinistro al tempo stesso, invitandoci a familiarizzare con Tina e Vore, quei protagonisti così diversi da noi ma simili l'uno all'altra; protagonisti che faticano a inserirsi nella nostra società e ne restano ai margini volontariamente o meno, indipendentemente dall'approccio in cui scelgono di affrontarla. Dall'aperto e inequivocabile disprezzo e rinnego che Vore nutre nei confronti degli esseri umani e della società in generale, agli inutili sforzi di preservare un'apparente normalità, socialmente imposta ma fragile e fittizia, come nel caso di Tina (e del suo rapporto inesistente e via-via incrinato con Roland). Vore infatti, non solo accetta pienamente la sua natura e la sua consapevole diversità lasciandosi guidare dai suoi istinti, da quelle pulsioni inconsuete e devianti secondo la nostra ottica, ma il suo ultimo scopo in realtà è assai più inquietante, crudele e diabolico poichè prevede la vendetta, e contemporaneamente la punizione, degli umani servendosi nonostante tutto degli stessi per attuare il suo malevolo piano. Tina, invece, si sforza ad adattarsi a un concetto di normalità che le sta stretto ma nel quale è cresciuta, vive e lavora, nonostante capisca che con Vore ha finalmente trovato l'anima gemella con la quale può sentirsi libera di esprimersi ed esplorare liberamente senza remore, vergogna o inibizioni la propria natura, riscoprendo il suo "io" e trovando risposta a tutti quegli interrogativi rimasti in sospeso nel corso della vita. Sentendosi ormai libera e rinata, finalmente appartenente ad una comunità e avendo trovato il suo posto nel mondo, un mondo tanto nuovo quanto inesplorato, Tina si lascia abbagliare dal fascino oscuro di Vore, tanto da rischiare di intralciare il suo coinvolgimento in una sensibilissima indagine di polizia alla quale partecipa grazie ad una sua peculiare caratteristica; l'olfatto. Un senso talmente sviluppato in grado di smascherare colpe e vergogne indicibili e che le permette di svolgere impeccabilmente il proprio lavoro arrivando persino a prestare il suo aiuto per una delicata indagine di pedofilia. Il suo carisma, quella caratteristica così intrinseca che indirettamente rimanda gli spettatori sin dalle prime sequenze alla diversità di Tina e la sua appartenenza più al regno animale che quello umano, la rendono una protagonista perspicace, audace e coraggiosa, un'antieroina la cui storia incuriosisce e affascina. E laddove la sua ritrovata vitalità ed energia sprigionata dal lato intimo della sua relazione con Vore s'intreccia indissolubilmente con l'indagine dai risvolti inquietanti, i tasselli del puzzle entrano al loro posto e i nodi vengono al pettine. Il ruolo di Vore verrà rivelato e la sua presenza nella vita di Tina risulterà tutt'altro che accidentale. Allora emergono anche i ponderanti quesiti e le delicate questioni sollevate dal regista stesso: Cos'è che ci rende effettivamente umani? Quali sono i reali limiti, e talvolta sottili confini, tra la compassione, la moralità, il senso del giusto e la bestialità, la grettezza e l'amoralità più dissoluta? Sono veramente caratteristiche proprie di una specie e non di altre? La diversità è imputabile soltanto alle caratteristiche fisiche, e magari all'appartenenza ad una specie diversa oppure l'unica vera differenza che conta e dovrebbe contare riguarda l'assenza di empatia, umanità, moralità ? Ovvero di quelle caratteristiche che indiscutibilmente ci differenziano dalle bestie guidate soltanto dalle loro primitive pulsioni e bisogni.
E in questa sublime favola nera non vi è nulla di scontato, di bianco o nero; i confini tra coppie di opposti come "buono e cattivo", "umano e disumano" sono labili e sfuggenti, indefiniti. Il codice di valori che ogni protagonista decide di adottare e seguire, a seconda del suo condizionamento, è un'immensa zona grigia ricca di sfumature e contrasti dove scegliere da che parte schierarsi, chi aiutare e chi tradire, è tutt'altro che semplice. Ancor di più se si tratta della ormai sicura e rinata Tina che si vedrà posta davanti a un bivio dalle notevoli implicazioni. Quello tra il scegliere le sue origini, la sua specie e seguire il sentimento più forte di tutti, l'amore, oppure se porsi con logica e distacco dinanzi ai fatti, espliciti, brutali e inequivocabili e scegliere la strada della giustizia. Il finale comunque non risulta affatto banale o scontato ma funzionale e coerente col racconto costruito, fine a ristabilire gli equilibri e l'armonia tra il nostro mondo e il loro facendo risaltare il senso di giustizia per entrambe le parti in causa.
Resta così l'impressione di aver assistito ad un prodotto suggestivo, dirompente, incisivo e potente, un'armonica miscela tra dramma, fantasy, poliziesco e thriller. Un film magistralmente supportato dalle avvolgenti atmosfere fiabesche, magiche e oniriche, misteriose e talvolta primordiali ma sempre eloquenti costituite da foreste (sempre portatrici di simbologie mistiche ed evocative), muschi, stagni, piogge e incontri inconsueti con bellissimi animali, i veri abitanti di questi luoghi incantati, quali volpi, alci, cervi.
Tutto volto a ricordarci che la natura di per sè contiene qualcosa di magico e mistico che ci incanta e ci appartiene, ma anche e sopratutto fine a ricollegare puntualmente il racconto alla sua dimensione fantastica e surreale. La meraviglia ha il sopravvento anche in una storia d'amore atipica e singolare dove regna la divergenza, la bruttezza, la diversità in ogni sua singola declinazione ma che spinge contemporaneamente noi spettatori e protagonisti a varcare il confine delle nostre certezze e cogliere la vera bellezza laddove, superficialmente, non c'è. La bellezza della scoperta delle proprie origini e radici, il raggiungimento della piena consapevolezza di sè, il ritrovarsi con un partner che ti capisce e ti accetta per come sei, il rendersi finalmente partecipi del sentimento più potente di tutti che da solo risulta un'esperienza travolgente e devastante per Tina (come per ognuno di noi che si innamora per la prima volta).
Una storia unica, affascinante, amara, cinica e stratificata che conquista per l'eloquenza delle bellissime immagini e per la sua trama cosi cupa e tetra che si sviluppa all'interno di un ambiente da sogno. Nota di merito, oltre che al regista, va certamente agli attori i quali abilmente "deformati" grazie a trucchi prostetici trasmettono tutta la gamma di emozioni provate dai loro personaggi senza, è il caso di dirlo, sfigurare. Imperdibile: 4,5/5.
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cinefoglio
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sabato 23 marzo 2019
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istantanea di border – creature di confine
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Nella stagione primaverile, si fa strada sul grande schermo una storia di confine e di «confinati», a tratti evocativa della fiaba con elementi grotteschi, a tratti in pieno stile detective, inserita in un landscape tutto nordico, dominato dalla natura diafana, dal sottobosco muschioso e dalle alci.
Il giovane regista Ali Abbasi, di origini iraniane, confeziona un secondo lungometraggio coerente in tutti i suoi elementi, dotato di una storia semplice da seguire, ma essenziale nelle sue parti, con quel gusto fisionomico del tutto peculiare che gli è valso il premio Un Certain Regarde allo scorso Festival di Cannes.
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Nella stagione primaverile, si fa strada sul grande schermo una storia di confine e di «confinati», a tratti evocativa della fiaba con elementi grotteschi, a tratti in pieno stile detective, inserita in un landscape tutto nordico, dominato dalla natura diafana, dal sottobosco muschioso e dalle alci.
Il giovane regista Ali Abbasi, di origini iraniane, confeziona un secondo lungometraggio coerente in tutti i suoi elementi, dotato di una storia semplice da seguire, ma essenziale nelle sue parti, con quel gusto fisionomico del tutto peculiare che gli è valso il premio Un Certain Regarde allo scorso Festival di Cannes.
La narrazione vede coinvolta Tina, interpretata da una «truccatissima» Eva Melander, operatrice della dogana, all’interno di un’indagine di polizia a seguito della scoperta di materiale pedopornografico trasportato in un telefonino, scovato proprio grazie al fiuto innato della protagonista. Nell vita personale di Tina, si aggiungerà la conoscenza di Vore, interpretato dall’attore finlandese (terra tanto anelata dal personaggio) Eero Milonoff, uomo misterioso anch’egli «benedetto» dalla forma bestiale.
La narrazione procede spedita e ben organizzata, dotata solo degli elementi necessari alla costruzione dell’intreccio tra la vita personale e quella professionale di Tina, valorizzando ogni inquadratura ed ogni informazione visiva e uditiva prodotta.
Il film Border, possedendo un’architettura semplice e solida, racconta sì una storia coerente ed efficace, che colpisce però per l’estetica facciale ed animale dei personaggi. Una fisicità bestiale, che man mano diventa sempre più presente nella vita di Tina, scontrandosi, o meglio amalgamandosi, con l’esperienza umana acquisita, che a volte cede il posto ad un exploit selvaggio (non considerato incivile quanto prossimo al primordiale), altre volte alla morale tipica degli «animali sociali», in grado di discernere (qui si evince la speranza ma anche tutta l’ineluttabilità della perversione umana) tra il bene e la malvagità delle azioni.
La pellicola affronta trasversalmente diverse tematiche, tra le quali (d’impatto è l’analisi del nudo e del sesso) si dipinge il ritratto di una femminilità, trascurata nella forma, ed alla ricerca di una sensibilità non tanto nell’aspetto esteriore, assimilato ed accettato, quanto nelle viscere del grembo materno infertile della protagonista.
La sfera della nascita e della prole è il leit motiv collante della vicenda: l’abuso di bambini per la produzione di materiale illegale parallelamente all’abuso fisico e psicologico, che Tina, Vore ed i loro genitori biologici (gli essere ai confini della società), hanno dovuto sperimentare dalla nascita; la perdita ed il rapimento del nascituro della giovane coppia (e delle molte altre), contrapposto all’essere embrionale auto-generatosi, privo di una fecondazione genitoriale, ma in grado di sopravvivere, ponendo le basi alla formazione di una nuova famiglia ed al proseguimento della discendenza.
Border è sia confine morale che geologico, dove, nello spazio fiabesco e grottesco, dotato di colori anonimizzanti, le specie lottano per la sopravvivenza e per il riconoscimento, per la vendetta personale o per la morale sociale, in un contesto denso di pregiudizi e pietismi che lasciano il posto tanto rapidamente a questioni ben più importanti: la ricerca della propria natura e la raison d'être, in oscillazione tra umanità ascritta ed animalità innata.
23/03/2019
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lunedì 1 aprile 2019
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originale... sì e no
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E’ ormai lungo tempo che dal bacino tematico della diversità si attinge a piene mani, come da una fonte sicura e inesauribile di energia e di ispirazione. Oggi, dopo numerose variazioni sul tema, se da un lato ne constatiamo la perpetua validità “educativa”, dall’altro possiamo chiederci quanto, dal punto di vista puramente creativo, approvvigionarsi alla sempiterna questione delle differenze tra soggetti interagenti sia necessariamente garanzia di un buon risultato.
Border ben si presta a sollevare il quesito, soprattutto perchè dopo la presentazione dei protagonisti, due soggetti ibridi metà umano e metà animale potenzialmente molto interessanti da indagare, si ha la sensazione che il film proceda senza sapere bene dove andare a parare, a parte veicolare un generico messaggio di rivendicazione da parte di un gruppo minoritario oppresso e di biasimo indistinto per un gruppo maggioritario/dominante.
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E’ ormai lungo tempo che dal bacino tematico della diversità si attinge a piene mani, come da una fonte sicura e inesauribile di energia e di ispirazione. Oggi, dopo numerose variazioni sul tema, se da un lato ne constatiamo la perpetua validità “educativa”, dall’altro possiamo chiederci quanto, dal punto di vista puramente creativo, approvvigionarsi alla sempiterna questione delle differenze tra soggetti interagenti sia necessariamente garanzia di un buon risultato.
Border ben si presta a sollevare il quesito, soprattutto perchè dopo la presentazione dei protagonisti, due soggetti ibridi metà umano e metà animale potenzialmente molto interessanti da indagare, si ha la sensazione che il film proceda senza sapere bene dove andare a parare, a parte veicolare un generico messaggio di rivendicazione da parte di un gruppo minoritario oppresso e di biasimo indistinto per un gruppo maggioritario/dominante. Parere personale come sempre, ma forse sarebbe stato più curioso rimanere in ambito realistico indagando in quale diversa misura la componente istintiva e primitiva può verosimilmente presentarsi nella natura umana, riconoscendo così ad alcuni individui (uomini e donne) una peculiare e neutra (neutra nel senso di né positiva né negativa) vicinanza alla terra e agli animali, piuttosto che avventurarsi nel fantastico e immaginare addirittura un genocidio perpetrato da una maggioranza di prevaricatori di turno (che siamo sostanzialmente “noi”) ai danni di creature innocenti prese a prestito dalla mitologia nordeuropea.
Per ovviare all’atteggiamento autolesionista nei confronti del genere umano la scrittura diventa contraddittoria (“gli umani sono cattivi”... “gli umani non sono tutti cattivi”, “se ti senti diversa è perchè sei superiore a loro”... “non devi dire così”, selvaggio è bello ma non troppo...), in parte restituendo la reale difficoltà psicologica di porsi nei confronti degli altri restando se’ stessi e in parte riflettendo l’altrettanto reale difficoltà di dire ancora qualcosa di stimolante su temi già ampiamente navigati.
Difficile, ma non impossibile, evitare le trappole del didattico/già visto, forse un’alternativa possibile alla consumata rappresentazione di maggioranza-prevaricatrice e minoranza-prevaricata - con tutti i suoi passaggi obbligati - potrebbe essere quella di indagare il gruppo meno noto dal suo interno, mettere la penna e la macchina da presa dalla parte di chi è più in ombra e liberarsi dell’obbligo di confronto con la maggioranza antagonista (ammesso che quest’ultima sia effettivamente sempre nemica, in tutti i casi, anche in quelli di invenzione), rinunciare a definire per differenza, dare voce approfondendo anzichè soltanto contrapponendo.
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giovedì 11 aprile 2019
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film vicino al capolavoro.
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Border è un film di confine e sui confini, stratificato, complesso e semplice allo stesso tempo, che tratta molteplici temi. Non solo la diversità, ma anche la deformità e la difformità, la scoperta di un sé altro non codificato dentro convenzioni sociali, il transgender, e ancora l'opportunità e la legittimità della vendetta, il rapporto con la natura e l'ambientalismo, il senso della presenza dell'animale uomo sul pianeta. E' un film di confini tra corpi diversi e corpi uguali, tra i corpi delle creature che si incontrano e si riconoscono, e poi tra il loro corpo e quello multiforme della terra e dei suoi abitanti animali, che con la loro presenza incarnano e richiamano un fascino misterioso, arcaico, archetipico.
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Border è un film di confine e sui confini, stratificato, complesso e semplice allo stesso tempo, che tratta molteplici temi. Non solo la diversità, ma anche la deformità e la difformità, la scoperta di un sé altro non codificato dentro convenzioni sociali, il transgender, e ancora l'opportunità e la legittimità della vendetta, il rapporto con la natura e l'ambientalismo, il senso della presenza dell'animale uomo sul pianeta. E' un film di confini tra corpi diversi e corpi uguali, tra i corpi delle creature che si incontrano e si riconoscono, e poi tra il loro corpo e quello multiforme della terra e dei suoi abitanti animali, che con la loro presenza incarnano e richiamano un fascino misterioso, arcaico, archetipico. La regia è puntuale, precisa, minuziosa, nel cogliere i difetti della carnagione, così come la fondamentale importanza di un insetto, o le incredibili metamorfosi interpretative tra bestialità e umanità dei due bravissimi attori, capaci di espressività estrema pur indossando un trucco prostetico molto pesante e ingombrante, tanto quanto geniale e credibile. La fotografia è volutamente sporca, come i corpi delle creature, i paesaggi che abitano e le acque in cui nuotano, predilige i colori muschiati, tra il verde e il marrone, a richiamare continuamente il primigenio stato di natura. E' un film che ti chiede di abbandonare le tue certezze, perché la possibilità di goderne appieno deriva proprio da questo. E se riesci a farlo direi che ti ripaga ampiamente. L'accoppiata Lindqvist - Abbasi ad ora è una garanzia.
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gianleo67
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venerdì 5 aprile 2019
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l'uomo di neanderthal è vivo e lotta insieme a noi
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Ispettrice doganale dal fiuto infallibile, Tina è una donna dall'aspetto ferino che vive con un addestratore di cani perdigiorno in una baita al confine dei boschi. Il suo incontro con un essere deforme simile a lei, le farà scoprire la sua vera natura e le sue reali origini, ma al contempo la renderà testimone di un abbrutimento morale che accomuna i due mondi di cui sente da sempre di far parte. Storia di recinti e di cattività, quella dell'omonimo romanzo di John Ajvide John Lindqvist da cui il film è tratto, sembra proseguire il discorso sull'ambiguità sottesa alla natura stessa di creature che si riconoscono diverse eppure uguali, separate da esigenze fisiologiche inconciliabili (il bambino di Lasciami entrare e la sua giovane innamorata succhiasangue) ma accomunate tanto da un trasporto empatico che sfida l'istinto di autoconservazione, quanto dalla brutalità di perversioni morali che demarcano il reale confine del lecito e del tollerabile.
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Ispettrice doganale dal fiuto infallibile, Tina è una donna dall'aspetto ferino che vive con un addestratore di cani perdigiorno in una baita al confine dei boschi. Il suo incontro con un essere deforme simile a lei, le farà scoprire la sua vera natura e le sue reali origini, ma al contempo la renderà testimone di un abbrutimento morale che accomuna i due mondi di cui sente da sempre di far parte. Storia di recinti e di cattività, quella dell'omonimo romanzo di John Ajvide John Lindqvist da cui il film è tratto, sembra proseguire il discorso sull'ambiguità sottesa alla natura stessa di creature che si riconoscono diverse eppure uguali, separate da esigenze fisiologiche inconciliabili (il bambino di Lasciami entrare e la sua giovane innamorata succhiasangue) ma accomunate tanto da un trasporto empatico che sfida l'istinto di autoconservazione, quanto dalla brutalità di perversioni morali che demarcano il reale confine del lecito e del tollerabile. Connotato in misura minore dalla deriva fantasy che caratterizzava il film precedente, quest'ultimo soggetto adattato per il grande schermo, sottolinea in modo più evidente le sue riflessioni allegoriche sulle reali implicazioni sociali che sottendono alla vera natura della diversità, intesa tanto come deviazione più o meno marcata dai caratteri somatici che definiscono il canone estetico della normalità quanto quella più sottile e subdola che ne qualifica una mostruosità etica tanto più pericolosa quanto meno evidente. Se la variabilità filogenetica che consente ad una coppia (e pochi altri esemplari) di neanderthaliani di sopravivere fino ai giorni nostri è solo il plausibile relitto di un passato di convivenza tra specie diverse del genere Homo e più ancora la manifestazione di una duttilità genomica che ha segnato il prevalere casuale di alcuni caratteri su molti altri, il vero traguardo della specie Sapiens sembra essere invece quel tratto distintivo che si chiama umanità; ovvero la capacità di rispetto ed empatia verso gli altri uomini e, in un'accezione più universale, verso tutte le creature viventi, compreso l'altro da sè che potrebbe essere il cugino sfortunato a cui far recidere chirurgicamente un atavismo caudale ancora nella culla od i cui esemplari sottoporre a crudeli esperimenti biologici nel segreto di oscuri laboratori scientifici, salvo adottarne i cuccioli per le proprie esigenze affettive e familiari. Il confine in cui vive la protagonista è quindi molteplice e diversificato, reale e allegorico allo stesso tempo: è una guardia di frontiera dai tratti ferini, dotata di un fiuto infallibile perfino per le esalazioni feromoniche della paura e della vergogna ma anche l'accomodante compagna di un cinofilo inetto con cui divide una baita isolata sul limitare dei boschi, la figlia amorevole di un padre adottivo con molti scheletri nell'armadio e la vicina cordiale di una civilissima coppia di vicini sensibili, la tollerante destinataria dell'inveterata intolleranza della specie umana ma anche la inflessibile fustagatrice delle sue inaccettabili perversioni, la passionale amante di un partner brutale con cui condividere una complementare intersessualità ma anche la integerrima delatrice delle sue malefatte; un essere speciale cioè le cui imperfezioni ed i cui adattamenti (a metà tra la natura bestiale della sua fisiologia e quella morale della sua umanità) hanno reso un essere perfetto e superiore, in grado di fustigare le malefatte degli uomini ma che non esita a tradire i propri simili, reietti e perseguitati dall'alba dei tempi (come Troll), se a loro volta responsabili di odiosi crimini contro natura. Sviluppato come una fiaba drammatica sospesa tra il realismo delle allegorie sociali (il regista è un cittadino svedese di origini iraniane che ha dichiarato di essere stato ispirato da una indiretta esperienza di discriminazione e di intolleranza) ed i richiami favolistici alla mitologia norrena, tra l'apologo morale sulla diversità e la parabola naturale sulla meravigliosa variabilità della vita, si chiude significativamente nel segno della contraddizione con la scoperta di una maternità quale dono insperato dell'inganno e della violenza che si puo' perpetrare sulla purezza e l'innocenza dell'infanzia. Contributi tencnici di valore, tra cui bella fotografia del sodale Carlsen e soprattutto il trucco e l'acconciatura (con relativa canditatura agli Oscar 2019) in grado di trasformare gli aitanti Eva Melander ed Eero Milonoff in due mostruose creature dei boschi. Un Certain Regard al Festival di Cannes 2018 ed una pletora di altri premi in giro per il mondo.
...mia davvero ah fosse vero ma chi son io uno scimmione... uno scimmione uno scimmione senza ragione tu fuggiresti, tu fuggiresti...
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carlosantoni
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domenica 28 aprile 2019
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confini da attraversare
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Tra i cinque sensi di cui disponiamo, l’olfatto è considerato il più atavico e il più ferino: dalla notte dei tempi, è l’olfatto che prima della vista e dell’udito mette in guardia gli animali contro possibili aggressori nelle vicinanze, e che specularmente informa i predatori della presenza di prede da azzannare. L’olfatto è poi l’unico senso in base al quale molte specie animali stabiliscono un reciproco riconoscimento e apprezzamento tra maschio e femmina.
Tina, che lavora come dipendente della polizia a un varco svedese di frontiera, ha un olfatto straordinario, qualcosa come quei cani che avvertono la presenza di droghe nei bagagli dei viaggiatori aeroportuali, ma molto, molto più raffinato e potente: lei, delle persone, sa “annusare” perfino i sentimenti.
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Tra i cinque sensi di cui disponiamo, l’olfatto è considerato il più atavico e il più ferino: dalla notte dei tempi, è l’olfatto che prima della vista e dell’udito mette in guardia gli animali contro possibili aggressori nelle vicinanze, e che specularmente informa i predatori della presenza di prede da azzannare. L’olfatto è poi l’unico senso in base al quale molte specie animali stabiliscono un reciproco riconoscimento e apprezzamento tra maschio e femmina.
Tina, che lavora come dipendente della polizia a un varco svedese di frontiera, ha un olfatto straordinario, qualcosa come quei cani che avvertono la presenza di droghe nei bagagli dei viaggiatori aeroportuali, ma molto, molto più raffinato e potente: lei, delle persone, sa “annusare” perfino i sentimenti. Tina, per esempio, avverte se quella tale persona in questo momento sta provando un sentimento di vergogna (molto indicativo!) o di odio, così come avverte chiarissimamente se qualcuno dentro quell’appartamento sta facendo violenza a un bambino. Non è una sensitiva, non è un’indovina: è una ferina.
Ed è terribilmente deforme. Dopo aver visto il film, sono andato a vedere chi mai fosse quella straordinaria interprete femminile (ma il ragionamento vale anche per Eero Milonoff, l’interprete maschile) e sono rimasto letteralmente allibito nel constatare che l’attrice, Eva Melander, non solo non è affatto deforme, ma è addirittura una donna piuttosto bella! Merito dunque dei trucchi e/o degli effetti speciali, se nel film appare come appare, poiché è così che deve apparire.
Fin qui però non ho che menzionato le circostanze, le “condizioni” del film, della cui trama dirò il meno possibile per non guastare la possibile visione di coloro che ancora non l’hanno visto. Dirò che la sostanza, in fondo già dichiarata nel titolo, sta nel mostrarci un mondo, il nostro mondo, che oscilla tra un centro che appare familiare e rassicurante, e un extra-mondo che se ne sta oltre confine, che turba, inquieta le nostre false certezze. Perché è drammaticamente evidente che le nostre certezze sono false, così come la presupposta olimpica armonia di ciò che sta al di qua del confine: vedremo presto, prestissimo anzi, che ciò che sta all’interno del “Border” non è affatto sempre e per sua natura buono, anzi…
Il film c’invita a gettare lo sguardo oltre il confine, in particolare oltre il confine di ciò che è generalmente ritenuto umano (per cui, per differenza, oltre il confine dovrebbe risiedere il non-umano, il disumano). E così vedremo due strani esseri, Tina e Vore, umani e disumani, senz’altro dei “diversi” nella più ampia accezione del termine, innocentemente attratti dalla natura in tutte le sue più umili e universali declinazioni (i muschi, l’acqua di una gora silenziosa in cui immergersi, il silenzio notturno, gl’insetti, gli animali della foresta, e al tempo stesso inaspettatamente spaventati da fenomeni naturali come i lampi: proprio come esseri ferini.
Il sentimento che un po’ alla volta finisce per unire Tina e Vore supera barriere che sembrerebbero veramente impenetrabili, insieme scoprono una dimensione che è solo loro, il loro mondo; e qui trovo che il racconto filmico sia perturbante e al tempo stesso meravigliosamente superbo: si prova simpatia e perfino invidia per quei due orchi che s’immergono nell’acqua cupa della gora, alla ricerca della felicità nel loro mondo infero.
Del film, che mescola la dimensione drammatica con quella poliziesca e quella fantasy, è quest’ultima che mi appare indigesta, e a mio modo di vedere perfino inutile: il film sarebbe stato più pulito e più sconvolgente di quanto già non sia, se il regista ne avesse fatto a meno.
Nel finale mi ricorda molto un altro e assai famoso film perturbante, quale fu “Rosemary’s Baby”, un’allusione così esplicita, secondo me, da farmi immaginare che il regista Ali Abbasi l’abbia decisamente voluta.
“Borders” è un film potente, perfino violento, fortemente perturbante, e a suo modo profondamente romantico. Non posso che consigliarne la visione.
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peer gynt
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sabato 3 agosto 2019
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una favola moderna
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Film di rara potenza espressiva, nel contempo apologo sulla diversità e sulla consapevolezza della propria identità e conte philosophique capace di interrogarsi in modo non banale su cosa sia l'umanità. Questo e tanto altro in questo "Border" dello svedese di origine iraniana Ali Abbasi, che si avvale di un'ottima interpretazione ferina di due attori aiutati da un trucco pesante ma credibile e di una location nordica veramente efficace.
Tina, impiegata alla dogana e cosciente della sua originale diversità (che lasciamo allo spettatore scoprire), ha un particolare feeling con gli animali, una dote quasi da supereroe (riesce ad annusare i sentimenti delle persone che le passano davanti) e un desiderio di vincere la sua diversità giocando sulla capacità di integrazione.
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Film di rara potenza espressiva, nel contempo apologo sulla diversità e sulla consapevolezza della propria identità e conte philosophique capace di interrogarsi in modo non banale su cosa sia l'umanità. Questo e tanto altro in questo "Border" dello svedese di origine iraniana Ali Abbasi, che si avvale di un'ottima interpretazione ferina di due attori aiutati da un trucco pesante ma credibile e di una location nordica veramente efficace.
Tina, impiegata alla dogana e cosciente della sua originale diversità (che lasciamo allo spettatore scoprire), ha un particolare feeling con gli animali, una dote quasi da supereroe (riesce ad annusare i sentimenti delle persone che le passano davanti) e un desiderio di vincere la sua diversità giocando sulla capacità di integrazione. Ma sarà difficile, immersa in un'umanità quasi sempre colpevole, prendere posizione. Bisogna interrogarsi su cosa sia l'"umanità". Tina lo fa quando incontra Vore, una persona che sembra molto simile a lei, ma quanto diversa nel profondo!
Abbasi ha la capacità di costruire un film di genere che non sembra tale (horror realistico ma intessuto di fantastico) che ci fa riflettere anche dopo che la pellicola è finita. E scusate se è poco!
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maramaldo
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giovedì 11 aprile 2019
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lusus naturae
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Una volta, oggi non si scherza più con le varietà offerte dalla natura (entità, comunque , da ripensare alla luce di nuove istanze sociali). Nonostante la nobiltà dell'assunto, scorretto quest'Alì Abbasi, persiano, che vi raffigura i "diversi" perseguitati in una favola tetra e repulsiva.
I due protagonisti li vuole emblematici. Accontentato dalla critica che, se impegnata, ha più inventiva degli oggetti in esame.
Vore (il lappone Eero Milonoff), all'apparenza un hippy schizzato come ce n'erano un tempo. Dieta ecosostenibile ma inquina lo stesso disperdendo nell'ambiente pupattoli opalescenti che produce non si sa come.
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Una volta, oggi non si scherza più con le varietà offerte dalla natura (entità, comunque , da ripensare alla luce di nuove istanze sociali). Nonostante la nobiltà dell'assunto, scorretto quest'Alì Abbasi, persiano, che vi raffigura i "diversi" perseguitati in una favola tetra e repulsiva.
I due protagonisti li vuole emblematici. Accontentato dalla critica che, se impegnata, ha più inventiva degli oggetti in esame.
Vore (il lappone Eero Milonoff), all'apparenza un hippy schizzato come ce n'erano un tempo. Dieta ecosostenibile ma inquina lo stesso disperdendo nell'ambiente pupattoli opalescenti che produce non si sa come.
Tina, per lei - racconta Abbasi - si cercò una faccia brutta. Dopo 18 mesi gli iperborei non gliela fecero trovare. Si ripiegò truccando pesantemente il viso latteo, e non solo, di una connazionale di Greta Garbo, Eva Melander. Oltre all'olfatto prodigioso, Tina dispone di un atout che, se esposto nei trailer invece dei due neanderthaler impalati, avrebbe fruttato a Border un successo mondiale. Per qualcuno, momenti esaltanti quando i due, in uzzolo, si avventano in un corpo a corpo "come tigri che volessero sbranarsi". Pezzo di bravura, il duetto di ululati. Trendy la congiunzione in immersione. Ricorda La Forma dell'Acqua, manca la fiaba (spia buona, guerrafondaio cattivo).
Il rampollo di una remota civiltà non ama quel Nord che pure lo ha accolto. Squallore e detriti. Ivi compresi, il marito, respinto da Tina che non ha bisogno di tutto il suo naso per avvertire sentore di cani e relative zecche; il padre che chiude in bellezza avendo a badante un gioviale giovanottone nero, l'unica faccia che sorride, chissà perchè.
Un certo sguardo, certo, ma con disgusto (anche nostro). Un rischio per Alì se motivato ideologicamente. La ripugnanza è fatto viscerale, disturba l'intendimento. Distoglie dal tema fino a fartelo detestare. Imparerà.
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cardclau
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martedì 23 aprile 2019
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il fantastico inquieto o l'inquietudine fantastica
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Ci troviamo di fronte a qualcosa che il regista iraniano, Ali Abbasi, ama e sente intensamente, e che può esprimere, trovandosi a suo agio nel frigido, calvinista, e contraddittorio ambiente scandinavo: il fantastico indivisibile dall’inquietudine, che ha a che fare con l’onnipresenza del maligno (che immaginiamo come soprannaturale, mentre potremmo covarcelo dentro). Così come ci aveva provato col primo film, Shelley (che non ha niente a vedere con Mary Shelley, autrice diciannovenne di Frankenstein), così ci prova adesso con Border – Creature di confine.
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Ci troviamo di fronte a qualcosa che il regista iraniano, Ali Abbasi, ama e sente intensamente, e che può esprimere, trovandosi a suo agio nel frigido, calvinista, e contraddittorio ambiente scandinavo: il fantastico indivisibile dall’inquietudine, che ha a che fare con l’onnipresenza del maligno (che immaginiamo come soprannaturale, mentre potremmo covarcelo dentro). Così come ci aveva provato col primo film, Shelley (che non ha niente a vedere con Mary Shelley, autrice diciannovenne di Frankenstein), così ci prova adesso con Border – Creature di confine. Anche se troppo facile sia l’accostamento, ne convengo, mi permetto di suggerire che Ali Abbasi deve essere stato folgorato (come d’altronde i suoi trolls, loro fisicamente) dal film di Roman Polansky, Rosemary’s Baby. Per aiutare la comprensione, è probabile che questi sia stato dominato dalla necessità di elaborare l’inelaborabile, prima l’assoluto orrore dell’invasione nazista della Polonia, quindi il massacro di Bel Air da parte di Charles Manson e accoliti, in cui morì la sua donna, Sharon Tate, incinta di otto mesi. Cosa attiri magneticamente Abbasi verso queste cose non è dato da sapere, l’importanza è non stare dalla parte sbagliata. Può darsi che sia la versione moderna di “panem et circentes”, potremmo essere molto attirati dalla violenza, dalla cattiveria, dal bullismo, dalla noia, dalla mancanza di amore, ovviamente degli altri, con effetto di scotomizzare la consapevolezza terrorizzante del nostro nonsense. La storia ci fa vedere due realtà, due mondi diversi, in parte dialetticamente, in parte realmente (pensiamo alla prole della controparte) contrapposti, tutto sommato entrambi un po’ bruttini, gli umani verso i trolls, in cui le forze dell’amore si trovano però (sorprendentemente? misteriosamente?) da entrambe le parti, nell’umano padre adottivo, e nella figlia troll adottata. Devo aggiungere però che i troll neanderthaliani che non sono mai stati dal dentista, non mi hanno molto convinto, con tutto quel digrignare. Il mondo animale, differentemente da tutto il resto (lasciamo stare i cani feroci antropizzati), quali l’apparizione dell’alce, la visita della volpe, l’attraversamento dei daini, suggerisce la sacralità della natura, che l’essere umano rischia di smarrire.
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