Il prigioniero coreano

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Un film di Kim Ki-Duk. Con Ryoo Seung-Bum, Gwi-hwa Choi, Jo Jae-Ryong, Won-geun Lee.
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Titolo originale Geumul. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 114 min. - Corea del sud 2016. - Tucker Film uscita giovedì 12 aprile 2018. MYMONETRO Il prigioniero coreano * * * - - valutazione media: 3,48 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Impigliato nella Rete. Valutazione 4 stelle su cinque

di Ashtray_Bliss


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lunedì 9 aprile 2018

Dopo due anni finalmente Il Prigioniero Coreano giunge sui nostri schermi offrendosi di aprire un dibattito di natura sociale e politica estremamente attuale e scottante. Kim Ki Duk torna nuovamente ad esplorare il territorio natio, questa volta affondando le mani nelle questioni più sottili e controverse, quelle che hanno contribuito a mantenere alta la tensione tra le due Coree; quelle politiche, ideologiche ed infine sociali. Costruendo un fitto e intenso dramma politico-sociale Ki-Duk riesce a fotografare e mettere in scena le differenze, ma sopratutto, le somiglianze che uniscono più che dividere il regime nordcoerano con la repubblica democratica di Seoul.
Un ritratto angosciante e rigoroso che mette a fuoco tutte le contraddizioni di entrambi i sistemi e sopratutto evidenzia la sconcertante pressione che ambedue esercitano sui soggetti provenienti dall'altro lato del confine. Perchè se nel paese governato dai Kim Jong sappiamo che la militarizzazione del governo e della polizia esercitano un pressing e un controllo esaustivo sulla popolazione, mostrando poca comprensione e flessibilità per i soggetti in stato di fermo o arresto, al tempo stesso notiamo che la democratica Seoul non sembra differire molto nel modus operandi nei confronti dei prigionieri provenienti dal Nord. Attivando una serie di meccanismi che non tardano a sfociare nella tortura, fisica e psicologica, la polizia federale di Seoul, pur di difendere a tutti i costi gli interessi del Paese, crea nemici e spie ad hoc anche laddove non esistono, per mezzo dei metodi impiegati. La tortura psicologica però non si arresta e non si placa nemmeno davanti ai continui, estenuanti, interrogatori alla ricerca di false confessioni di spionaggio, manifestandosi sotto forma di una pretestuosa offerta di cittadinanza, rilasciata naturalmente solo dopo aver rinnegato, in un certo senso abiurato, la propria patria; un sentiero a senso unico per acquisire un nuovo adepto e battezzarlo nell'ideologia della democrazia, del liberalismo ma anche del capitalismo, noncuranti degli affetti e delle responsabilità che legano il protagonista, Chol Woo, alla madre patria e dei devastanti effetti psicologici di tali azioni.
Attraverso le vicende di un malcapitato pescatore nord coreano, che a causa di un'incidente in barca (le reti si impigliano nel motore) e totalmente contro la sua volontà verrà trascinato dalla corrente fino alla Corea del Sud, vengono esposti tutti quei meccanismi che operano a nome d'ideologie diverse ma in che in realtà servono gli stessi identici scopi: piegare l'individuo al volere della propria ideologia, utilizzando ogni mezzo possibile, dalla coercizione psicologica alla tortura fisica, costringendolo ad accettare le condizioni da loro offerte e abbracciare il loro modo di vedere il mondo. Un'imposizione molto lontana dai reali principi e valori di una democrazia, che rivela un'immagine realistica e alquanto angosciante e sconcertante, producendo un nitido ritratto sullo scontro tra ideologie che finisce per manifestarsi nello stesso identico modo.
Il protagonista si trova cosi imbrigliato in una opprimente rete politica che non gli lascia alternative e lo mette, talvolta letteralmente, con le spalle al muro: accettare l'offerta di cittadinanza e rinunciare per sempre al proprio Paese, compresa alla possibilità di tornare indietro e ricongiungersi con la sua famiglia, oppure rischiare di essere accusato di spionaggio. Chul Woo nella sua personale battaglia di resistenza respingerà le accuse e si rifiuterà categoricamente di tradire la patria. Non solo, ma immerso nel cuore di Seoul e mantenendo fede a ciò che il regime gli ha inculcato si rifiuterà il più possibile di vedere, assistere e partecipare attivamente a quel nuovo mondo che lo circonda; non meno spietato nei confronti dei suoi cittadini o privo di limiti e difetti. Quando il protagonista dovrà, seppur brevemente, far i conti col lato oscuro della city il suo dilemma morale si acuisce arrivando a chiedersi come può esserci cosi tanta miseria e disperazione in un paese democratico, stendardo del benessere? Dove c'è una forte luce c'è una grande ombra sarà la disarmante replica e in questo contesto si evince ancor più chiaramente l'intenzione di Kim Ki Duk di fornire una dura critica verso entrambi i sistemi, di qualsiasi natura e tipologia essi siano, senza graziare nè assolvere nessuno dalle proprie colpe. La democrazia capitalistica di stampo occidentale così come la dittatura di stampo maoista mietono vittime che altri non sono se non la gente comune, quella silenziosa e talvolta invisibile maggioranza che lotta quotidianamente per sopravvivere; chi come il pescatore protagonista e chi come prostituta nei vicoli oscuri di Seoul.
La rete che dunque avvinghia il nostro protagonista è soffocante e oppressiva, resa in modo realistico e molto vivido attraverso le lunghe sequenze dell'interrogatorio che incutono un senso di claustrofobia e annientamento psicologico di notevole impatto nello spettatore. Anche quando questo interminabile incubo sembra finalmente giungere alla fine col rimpatrio dell'uomo, grazie anche al coinvolgimento dei media nella vicenda, ecco che assistiamo all'inizio di un nuovo, infernale, giro di interrogatori e pressing psicologico, questa volta da parte della polizia nord coreana.
La rete che tiene prigioniero il pescatore non si è ancora recisa e l'uomo resta incastrato, imprigionato tra due mondi diversi, guidati da ideologie e politiche agli antipodi l'una dall'altra ma assimilati dalla stessa diffidenza, dal pregiudizio e dall'odio nei confronti dell'altro che sfociano in brutali manovre che piegano ed infine svuotano completamente il soggetto. Chul Woo infatti appare completamente vuoto, esausto ed emotivamente prosciugato anche sul cammino verso casa. Rivedere la sua famiglia, le uniche persone per lui importanti e coloro che gli hanno dato la forza mentale per sopportare il suo calvario, ora non sono più in grado di dargli gioia o conforto, di farlo sentire realmente a casa, al sicuro. La peripezia da lui vissuta è stata catalitica nel trasformarlo completamente e nel svuotarlo psicologicamente e sentimentalmente. Alla fine, l'uomo tornerà all'unica attività che conosce e che sa fare: la pesca. L'unico modo per mantenere dignitosamente la famiglia e l'unica attività che gli garantisce la sopravvivenza. Ma ora le dinamiche sono totalmente cambiate e l'esito sarà inesorabile.
Un'opera estremamente politica che tuttavia non dimentica mai di fornire uno sguardo approfondito (e una critica) sociale rivolto principalmente alle estrazioni sociali maggiormente colpite e oppresse dai regimi di ogni tipologia. In questo caso, Kim Ki Duk critica duramente il regime della Corea del Nord e il modo in cui tratta i propri cittadini. Dall'altro canto tuttavia non risparmia una critica altrettanto aspra nei confronti della sua patria, la Corea del Sud, evidenziando in maniera limpida come i rapporti fra i due stati siano irreparabilmente incrinati, compromessi e dominati dal reciproco odio e pregiudizio. Una storia che rievoca ferite e ombre del passato fornendo tuttavia uno sguardo asciutto della situazione e mettendo al centro del racconto una storia di determinazione e coraggio nonchè di irremovibilità dai propri principi derivati dall'amore e dal senso di responsabilità nei confronti della propria famiglia.
Un tocco molto umano e realistico impresso nell'ennesimo ottimo film di Ki Duk che non smette comunque di stupire e conquistare. Voto: 3,5/5.

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