La contrapposizione ideologica delle due coree è al centro del nuovo film del maestro Kim Ki-duk, Il prigioniero coreano. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e dal 12 aprile al cinema.
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Agli albori dei tempi, la penisola coreana era un'unica Nazione. Non c'erano divisioni tra Nord e Sud, i coreani erano semplicemente coreani e vivevano nel paese "del calmo mattino" tra arte, cultura e commerci. La storia della Corea procede tra epoche più o meno stabili, in cui si susseguono diversi regni, spesso in lotta tra loro per il dominio della penisola. Tra il XIV e il XIX secolo, il paese attira l'interesse dei suoi potenti vicini. Cina, Giappone e Russia provano a conquistare la penisola, che cadrà soltanto nel 1905, quando prima diventa un protettorato giapponese, poi, cinque anni più tardi, una colonia dell'Impero nipponico. Fino all'agosto del 1945, la Corea dovette sopportare un'invasione straniera che le provocó ferite enormi e una grave arretratezza economica.
Sempre nell'agosto 1945, l'Armata Rossa occupa la parte settentrionale del paese, mentre gli americani rispondono un mese più tardi sbarcando a Incheon per prendere possesso della zona meridionale. Improvvisamente, la Guerra Fredda si trasferisce in Corea. Su proposta degli Stati Uniti d'America, la penisola coreana viene divisa in due Stati all'altezza del 38o parallelo. L'idea statunitense è quella di istituire una commissione bilaterale per formare un governo provvisorio prima della riunificazione del paese. Questo non avviene, e le due parti si organizzano fondando altrettanti Stati sovrani: la Corea del Sud (15 agosto 1948) e la Corea del Nord (9 settembre 1948). Inizia qui la profonda divisione che tutt'oggi separa le due Coree.
Con il passare degli anni la tensione sale, le parti restano divise e non c'è modo di raggiungere un'intesa per riunire la Corea. Arriviamo così al 25 giugno 1950, giorno in cui prende il via la Guerra di Corea. Ognuna delle parti attribuisce all'avversario il casus belli. Per la storiografia occidentale sono i nordcoreani a invadere per primi il sud, mentre fonti cinesi e nordcoreane affermano il contrario: il Nord avrebbe attaccato soltanto in risposta di un fuoco nemico. Comunque sia, l'incursione della Corea del Nord prende alla sprovvista i sudcoreani. Ben presto la situazione cambia: le Nazioni Unite votano un intervento armato di 17 paesi a fianco di Usa e Corea del Sud. Le forze statunitensi, guidate dal generale Douglas McArthutur, riescono a respingere i nordcoreani - che nel frattempo avevano conquistato la capitale Seul e gran parte della penisola - e si portano poco distanti dal confine cinese.
La Cina, che non ha nessuna intenzione di avere come vicina di casa una Corea americana e capitalista, decide di entrare in guerra a fianco dell'allora Presidente Kim Il Sung. Il contingente formato da nordcoreani e cinesi, più i mezzi offerti dall'Unione Sovietica di Stalin, contribuiscono a una nuova svolta. Gli americani sono costretti alla ritirata in Corea del Sud, dietro il 38° parallelo. L'armistizio di Panmunjeom, firmato tra le parti il 27 luglio 1953, sancisce la sospensione della guerra, ma non la sua conclusione ufficiale.
In occasione dei Giochi Olimpici invernali di Pyeongchang, andati in scena in Corea del Sud, la Corea ha partecipato sotto un'unica bandiera. Lo scorso marzo, inoltre, una delegazione di collaboratori dell'attuale presidente sudcoreano Moon Jae In è stata ricevuta in pompa magna dal Leader nordcoreano Kim Jong Un. Le parti si sono parlate, tra calorosi abbracci e strette di mano. Lo stesso Kim Jong Un, a fine marzo, ha effettuato la prima visita istituzionale ufficiale all'estero. Il "Brillante Leader" ha incontrato l'omologo cinese Xi Jinping in quel di Pechino, rimarcando e sottolineando lo stretto legame che vi è tra i rispettivi paesi. Kim Jong Un ha giocato benissimo le sue carte e, pur partendo da una posizione svantaggiata rispetto a quella degli Stati Uniti d'America, sia da un punto di vista militare che economico, è riuscito a dare uno schiaffo morale a Donald Trump e a tutti quegli analisti che lo ritenevano un folle. Il paese non naviga nell'oro ma non è neppure collassato, come invece avevano predetto alcuni analisti della Casa Bianca.
Il Pil della Corea del Nord, per quello che possiamo misurare, continua a crescere e la sua capitale, Pyongyang, assomiglia sempre di più a una moderna capitale occidentale, con palazzi moderni e all'avanguardia. Il caposaldo su cui poggia la politica nordcoreana è il Juche, l'ideologia di Stato che può essere definita un mix tra vari pensieri, tra cui socialismo, nazionalismo e confucianesimo.
Per quanto riguarda l'unificazione, le due Coree non sono mai state così vicine al grande passo. La conditio sine qua non per sbloccare la situazione, va da sè, è che il contingente americano presente in Corea del Sud lasci la penisola e tutte le basi sudcoreane. Kim Jong Un ha intuito i segnali di apertura di Moon Jae In, stanco di vedere il suo paese come un vassallo degli Stati Uniti, e ha scelto di isolare Trump anticipandone le mosse. Riallacciare i rapporti con Seul e rimarcare quelli con Pechino sono due azioni che rafforzano la legittimità di Pyongyang.
Cosa chiede la Corea del Nord? Al contrario di quanto viene fatto trapelare dai media, fin troppo senzazionalistici, Kim Jong Un lotta per raggiungere tre obiettivi: riunificare la Corea, impresa mai riuscita neppure ai suoi antenati e a portata di mano, entrare nel club dei paesi possessori dell'arma atomica, traguardo in parte raggiunto grazie ai recenti test andati a buon fine, e rafforzare il Juche per incrementare la qualità della vita dei cittadini nordcoreani.
C'è poi da capire con quale sistema politico-economico nascerà la Corea Unita, ma appare difficile, se non impossibile, prevedere come riusciranno a coesistere due stati agli antipodi per stile di vita, numero della popolazione (i nordcoreani sono la metà dei sudcoreani) e Pil pro-capite (quello della Corea del Nord è il 5% in meno rispetto a quello della Corea del Sud). C'è poi da capire se in futuro Stati Uniti e Cina vorranno avere a che fare con un'entità autonoma in grado di mettere a entrambi i bastoni tra le ruote. Certo, i costi della riunificazione sono molto elevati. Alcuni studiosi li hanno stimati in un range che va dai 400 miliardi ai 3,6 trilioni di dollari americani. Ma in certi casi non si devono considerare soltanto numeri e statistiche, perché la storia non guarda in faccia nessuno.