patex
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domenica 17 gennaio 2021
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ben fatto ma piuttosto anonimo per un kim ki duk
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Il film è ben fatto, il personaggio è convincente e appassiona nella sua profonda onestà, il plot ha momenti di suspence efficaci ma sottoutilizzati a vantaggio di un messaggio politico-morale che diventa presto prevedibile ed eccessivo con una creazione del Male assoluto bypartisan che cancella ogni tensione drammatica. Quando il protagonista torna in patria sappiamo già tutto quello che accadrà:la fotocopia di quello che è già accaduto.. possiamo spegnere
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patex
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domenica 17 gennaio 2021
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ben fatto ma piuttosto anonimo per un kim ki duk
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Il film è ben fatto, il personaggio è convincente e appassiona nella sua profonda onestà, il plot ha momenti di suspence efficaci ma sottoutilizzati a vantaggio di un messaggio politico-morale che diventa presto prevedibile ed eccessivo con una creazione del Male assoluto bypartisan che cancella ogni tensione drammatica. Quando il protagonista torna in patria sappiamo già tutto quello che accadrà:la fotocopia di quello che è già accaduto.. possiamo spegnere
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luca scialo
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sabato 19 dicembre 2020
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un pescatore impigliato tra due ideologie disumane
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Un povero pescatore nordcoreano, Nam Chul-woo, finisce involontariamente per oltrepassare le acque di competenza della Sud Corea, per una avaria del motore del suo piccolo peschereccio. Viene così arrestato e sottoposto a duri interrogatori per capire se fosse o meno una spia dell'altra parte del paese. Solo un funzionario, più giovane degli altri, cerca di aiutarlo confidando nell'involontarietà della sua situazione. Quando però sarà finalmente liberato e si ritroverà nella sua madre patria, sarà nuovamente sottoposto a pesanti interrogatori, accusato di essere un traditore della patria. Kim Ki-Duk utilizza le vicissitudini di un umile pescatore in balia di due ideologie ugualmente disumane pur essendo opposte - capitalismo e comunismo - per criticare entrambe le corree.
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Un povero pescatore nordcoreano, Nam Chul-woo, finisce involontariamente per oltrepassare le acque di competenza della Sud Corea, per una avaria del motore del suo piccolo peschereccio. Viene così arrestato e sottoposto a duri interrogatori per capire se fosse o meno una spia dell'altra parte del paese. Solo un funzionario, più giovane degli altri, cerca di aiutarlo confidando nell'involontarietà della sua situazione. Quando però sarà finalmente liberato e si ritroverà nella sua madre patria, sarà nuovamente sottoposto a pesanti interrogatori, accusato di essere un traditore della patria. Kim Ki-Duk utilizza le vicissitudini di un umile pescatore in balia di due ideologie ugualmente disumane pur essendo opposte - capitalismo e comunismo - per criticare entrambe le corree. Ancora divise malgrado ci troviamo nel Nuovo Millennio. La critica è però bipartisan e rivolta sia alla sua pseudo-libera e felice Sud Corea, che alla parte avversa, opprimente e annullatrice delle diversità. Un inno alla pace e un grido disperato in favore della riunificazione. Una critica cruda ma al contempo poetica. Con sequenze di alto impatto, che spingono alla riflessione per ambo le parti. Su tutte, il fatto che la figlia preferisca, nonostante tutto, il peluche vecchio e rotto del suo paese, a quello luccicante e moderno dell'altra parte del suo paese.
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giuseppe lombardo
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mercoledì 25 marzo 2020
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cinema senza confini...
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Film amaro, drammatico e emotivamente molto coinvolgente. La tragica storia del protagonista mette in risalto la labilità di un confine, che non necessariamente resta un qualcosa di fisico, ma come in questo caso, esso diviene un qualcosa di mentale, ideologico.
Fa cornice alla storia, la situazione politica delle due Coree. In risalto le contraddizioni dei due sistemi e di come questi possano generare eccessi e derive.
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Film amaro, drammatico e emotivamente molto coinvolgente. La tragica storia del protagonista mette in risalto la labilità di un confine, che non necessariamente resta un qualcosa di fisico, ma come in questo caso, esso diviene un qualcosa di mentale, ideologico.
Fa cornice alla storia, la situazione politica delle due Coree. In risalto le contraddizioni dei due sistemi e di come questi possano generare eccessi e derive.
La forza di questo film resta quella di farti sentire accanto alla storia del protagonista; le varie opportunità, ed occasioni, che si presentano sono percepite dallo spettatore come qualcosa di vicino. Notevole, quindi, il coinvolgimento empatico che si percepisce.
Il finale, tragico per il protagonista, sembra una liberazione dal suo unico male: l'essere l'unico ad avere dei valori saldi.
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lbavassano
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martedì 5 marzo 2019
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un film politico che fa riflettere
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Chi ha conosciuto Kim Ki-duk attraverso il giustamente celebre "Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera" resterà probabilmente sorpreso da "Il prigioniero coreano", un film molto lontano dalle atmosfere rarefatte, filosofiche, che ci hanno allora incantato. Un film fortemente politico, anche violentemente politico, ma non di parte, che anzi trova nella rappresentazione speculare delle due Coree la propria ragion d'essere, che ci fa pienamente comprendere come non esistano un meglio ed un peggio, un inferno e un paradiso, ma come l'identificazione del nemico nel proprio vicino dia comunque origine alle forme più abiette e meschine di violenza.
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Chi ha conosciuto Kim Ki-duk attraverso il giustamente celebre "Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera" resterà probabilmente sorpreso da "Il prigioniero coreano", un film molto lontano dalle atmosfere rarefatte, filosofiche, che ci hanno allora incantato. Un film fortemente politico, anche violentemente politico, ma non di parte, che anzi trova nella rappresentazione speculare delle due Coree la propria ragion d'essere, che ci fa pienamente comprendere come non esistano un meglio ed un peggio, un inferno e un paradiso, ma come l'identificazione del nemico nel proprio vicino dia comunque origine alle forme più abiette e meschine di violenza. Un film che ci costringe ad uscire dai luoghi comuni, apocalittici e grotteschi, diffusi dai telegiornali, ma che ci fa anche riflettere sulla nostra storia, su quel Muro di Berlino troppo rapidamente rimosso. Un film che ci può riconciliare con quei valori autenticamente umani che continuano a rappresentare l'unica forma di speranza.
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stefanocapasso
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lunedì 26 novembre 2018
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la famiglia al centro delle lottte di potere
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Nam Chul-woo vive sulle sponde di un fiume che collega il suo paese la Corea del Nord con quella del Sud.
Ogni mattina lascia la sua umile casa e va con la sua barca a pescare, ma un giorno il motore della barca si rompe e alla deriva finisce nell’odiato paese nemico. Viene preso dai militari e interrogato diverse volte perché sospettato di essere una spia. Il suo è un calvario, viene sottoposto a diversi trattamenti per farlo confessare o in alternativa disertare, ma Nam resiste con la ferma intenzione di tornare dalla sua famiglia. Tornato al nord questa volta è ritenuto colpevole di aver vissuto il capitalismo e di essersene innamorato. Esausto si ribella contro tutti.
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Nam Chul-woo vive sulle sponde di un fiume che collega il suo paese la Corea del Nord con quella del Sud.
Ogni mattina lascia la sua umile casa e va con la sua barca a pescare, ma un giorno il motore della barca si rompe e alla deriva finisce nell’odiato paese nemico. Viene preso dai militari e interrogato diverse volte perché sospettato di essere una spia. Il suo è un calvario, viene sottoposto a diversi trattamenti per farlo confessare o in alternativa disertare, ma Nam resiste con la ferma intenzione di tornare dalla sua famiglia. Tornato al nord questa volta è ritenuto colpevole di aver vissuto il capitalismo e di essersene innamorato. Esausto si ribella contro tutti.
Kim Ki Duk affronta un tema politico, quello eterno della suddivisione delle due Coree e cosa impedisce una possibile riunificazione. Al povero protagonista i due regimi finiscono per riservare un trattamento molto simile, anche nelle modalità corruttive che si portano dietro. Per l’individuo che ha scelto come vero punto di riferimento la sua famiglia il potere diventa persecutorio tanto al sud che al nord. Tracce del cinema del regista sud coreano disperse in una generale perdita di potenza espressiva, sua particolare cifra stilistica.
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fabio
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venerdì 7 settembre 2018
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deludente
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Quando si parla di Kim Ki-Duk le aspettative sono comprensibilmente elevate. Sfortunatamente questo film risulta abbastanza noioso: lungagini, dialoghi scialbi, poco ritmo e recitazione scarsa.
Lodevole l'intento, di fare un film che accenda la luce sulla questione Coreana, ma non giustifica le quasi due ore della durata del film.
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pierangelobucci
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venerdì 4 maggio 2018
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un film sul potere
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La paranoia e l'oppressione del potere e le sue diverse ma speculari rappresentazioni proiettate sulle due Coree. Un film bello, intenso, che deve scontentare tutti.
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zarar
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mercoledì 2 maggio 2018
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senza scampo
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Nam Chul-woo, un povero pescatore nord-coreano, passa casualmente il confine con la Corea del Sud a causa di un guasto della sua barchetta a motore, ed è catturato dalla polizia.
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Nam Chul-woo, un povero pescatore nord-coreano, passa casualmente il confine con la Corea del Sud a causa di un guasto della sua barchetta a motore, ed è catturato dalla polizia. Inizia una storia da incubo, che investe un uomo semplice, che ama senza complicazioni la sua famiglia, il suo lavoro e anche la sua patria, e che realizza prestissimo quanto sarà difficile sottrarsi ad un destino che mette in gioco tutta la sua vita, in una situazione che lo sovrasta totalmente e che quasi certamente lo stritolerà. I coreani del Sud mirano a condannarlo come spia, o a farne un convertito al capitalismo e allora le adorate moglie e figlia saranno perse per sempre o addirittura perseguitate. Nam Chul-woo non cede, resiste con tutte le sue forze e la sua dignità alle torture e alle umiliazioni così come alle lusinghe, vuole tornare a casa con la testa alta. Potrà tornare in patria, ma è lui il primo a sapere che non può aspettarsi niente di buono: anche qui sarà immediatamente sotto accusa, sospettato di essere stato liberato per aver fatto la spia. E dunque, in un processo esattamente speculare, subisce gli stessi interrogatori e le stesse sevizie, resistendo ancora una volta con tutte le sue forze, e – quel che è peggio – scoprendo la malafede e la corruzione di chi lo sta torturando senza ragione. Ne uscirà vivo, ma distrutto, incapace anche semplicemente di recuperare un rapporto con gli esseri che gli sono più cari. Un ultimo colpo porterà alla tragedia finale. Nella sua nitida durezza e semplicità, nel suo terribile schematismo, il film non ha ambizioni formali, propone apertamente una tesi, ma ci pone con forza di fronte ad una realtà spesso dimenticata e colpisce a fondo. In un momento in cui le due Coree tornano a parlarsi, ed è facile che la rimozione prevalga sulla memoria storica, vale la pena di soffermarsi a riflettere sulla storia che il regista Kim Ki- Duk propone. Tre stelle e mezzo.
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camillalavazza
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martedì 1 maggio 2018
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uguaglianza degli opposti
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Ne Il prigioniero coreano Kim Ki-Duk firma, oltre alla sceneggiatura e alla regia, anche la fotografia, come aveva già fatto in altre sue precedenti opere, rispetto alle quali si nota forse una dose inferiore di violenza fisica, compensata da un’estenuante e claustrofobica sensazione di impotenza.
L’impotenza dell’uomo comune che desidera solo vivere la sua vita, per quanto povera, che crede in quello che gli hanno insegnato, perché è tutto ciò che conosce, che spera solo di passare inosservato, perché sa che nulla di buono può venirgli dall’essere al centro dell’attenzione dei potenti.
Ma al centro dell’attenzione ci finisce, e noi siamo portati a chiederci se abbia il benché minimo senso dare tanta importanza ad un confine arbitrariamente posto in mezzo all’acqua, elemento fluido che scorre comunque da una parte all’altra (l’acqua e le barche, due temi ricorrenti nella filmografia di Kim Ki-duk) ed al fatto di oltrepassarlo senza alcuna intenzione, trascinati dalla corrente.
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Ne Il prigioniero coreano Kim Ki-Duk firma, oltre alla sceneggiatura e alla regia, anche la fotografia, come aveva già fatto in altre sue precedenti opere, rispetto alle quali si nota forse una dose inferiore di violenza fisica, compensata da un’estenuante e claustrofobica sensazione di impotenza.
L’impotenza dell’uomo comune che desidera solo vivere la sua vita, per quanto povera, che crede in quello che gli hanno insegnato, perché è tutto ciò che conosce, che spera solo di passare inosservato, perché sa che nulla di buono può venirgli dall’essere al centro dell’attenzione dei potenti.
Ma al centro dell’attenzione ci finisce, e noi siamo portati a chiederci se abbia il benché minimo senso dare tanta importanza ad un confine arbitrariamente posto in mezzo all’acqua, elemento fluido che scorre comunque da una parte all’altra (l’acqua e le barche, due temi ricorrenti nella filmografia di Kim Ki-duk) ed al fatto di oltrepassarlo senza alcuna intenzione, trascinati dalla corrente. Importanza che invece paiono attribuirgli i serissimi militari, carrieristi e corrotti da entrambi i lati, che lo interrogano, prima al Sud e poi al Nord, utilizzando i medesimi metodi, le medesime espressioni, tanto che lui stesso quasi ne sorriderebbe, se non fosse troppo sfinito e spaventato per concederselo.
Perfino i fotografi che devono immortalare la sua partenza dal Sud ed il suo ritorno al Nord, su opposte sponde, paiono identici.
Tanto diverse, eppure così uguali, queste due Coree sono uniformate anche dalla fotografia che rimane opaca e spenta anche quando si passa al Sud, regno del consumismo; non è tutt’oro e nemmeno brilla.
L’impotenza è anche quella della giovane guardia che dovrebbe vegliare sul prigioniero ma che, ultimo anello nella gerarchia, non ha altra difesa che la parola di fronte alla violenza fisica.
Il protagonista appena catturato tiene tenacemente gli occhi chiusi, rifiutando di osservare e così, anche a noi, la macchina da presa inizialmente permette solo di intravedere qualche scorcio della città. L’immaginazione del prigioniero gli fa temere chissà quali meraviglie proibite, forse teme di perdere l’anima e di certo sa che, se tornerà a casa, verrà punito per aver guardato. Costretto con l’inganno ad aprire gli occhi, ciò che vede lo stupisce, sì, per un breve momento, ma, forse, non tanto quanto lui stesso si era aspettato, tanto più che ben presto si imbatte in situazioni di miseria (la prostituta) che convivono “liberamente” accanto all’opulenza delle vie centrali.
Uomo semplice ed integerrimo non cede alla facile violenza (più volte avrebbe l’occasione con la sua forza di uccidere i suoi aguzzini ma si limita a dar loro una lezione, dura ma non letale) e non considera nemmeno una tentazione la prospettiva di un’agiata vita al Sud. Tutto ciò che desidera è tutto ciò che ha importanza davvero nella vita: i suoi affetti.
Ma quello che ha passato inevitabilmente lo trasforma, non come temeva, per il solo fatto di aver osservato un universo “altro”, ma perché ha visto quanto i due mondi contrapposti si somiglino, quanto in fondo siano uguali. La sua impotenza nei confronti del potere si traduce letteralmente nell’impotenza fisica di amare la propria donna e procurare il sostentamento alla propria famiglia con il lavoro.
Più volte nel corso del film ed anche in ultimo egli grida, disperato: “Smettetela di prendermi in giro!”. Ecco, è questo il grido dell’uomo che si accorge che quando vogliono fargli credere che qualcosa, qualsiasi cosa, un confine, la patria, l’onore, il benessere materiale, la libertà, siano più importanti dei suoi affetti, lo stanno solo prendendo in giro.
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