writer58
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venerdì 31 ottobre 2014
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"i focus on the pain"
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Le foto di Salgado sono un evento, un'esperienza: dalle miniere a cielo aperto dove migliaia di persone seminude cercano l'oro in un ambiente dantesco che richiama fortemente "il giardino delle delizie" di Bosch o le opere di Peter Bruegel, alle cataste di morti trasportati da una ruspa e ammassati in una fossa comune ruandese, dalle popolazioni indigene che vivono da sempre in qualche remoto recesso dell'Amazzonia con una discrezione tale che l'intera umanità li aveva dati per estinti alle lande sterminate e orizzontali della Siberia artica, gli scatti di Salgado hanno la capacità di guardare la realtà con una pregnanza di significati e di sfumature da apparire quasi surreali, espressioniste e liriche, come se l'autore avesse la possibilità di mettere a fuoco, con il suo obiettivo, dimensioni inesplorate che arrichiscono l'immagine di una nuova verità.
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Le foto di Salgado sono un evento, un'esperienza: dalle miniere a cielo aperto dove migliaia di persone seminude cercano l'oro in un ambiente dantesco che richiama fortemente "il giardino delle delizie" di Bosch o le opere di Peter Bruegel, alle cataste di morti trasportati da una ruspa e ammassati in una fossa comune ruandese, dalle popolazioni indigene che vivono da sempre in qualche remoto recesso dell'Amazzonia con una discrezione tale che l'intera umanità li aveva dati per estinti alle lande sterminate e orizzontali della Siberia artica, gli scatti di Salgado hanno la capacità di guardare la realtà con una pregnanza di significati e di sfumature da apparire quasi surreali, espressioniste e liriche, come se l'autore avesse la possibilità di mettere a fuoco, con il suo obiettivo, dimensioni inesplorate che arrichiscono l'immagine di una nuova verità.
La vita di Salgado, narrata nel film "Il sale della terra" attraverso le sue composizioni fotografiche, si è tradotta in un continuo pregrinare, dal Brasile a Parigi, Da Parigi in Africa, dall'Africa alla Nuova Guinea, dall'Indonesia alla Siberia, all'Antartide, sempre alla ricerca della bellezza del pianeta piagata dalla ferocia degli umani, alla ricerca di un senso per un'umanità martoriata da guerre, povertà, fame e conflitti interetnici. L'opera di Wenders riesce a fondere in modo mirabile le testimonianze fotografiche di Salgado con gli spezzoni filmici che recuperano la stessa potenza evocativa degli scatti del fotografo brasiliano. Come Gandolfi scrive, Wenders da' il meglio di sé come documentarista quando affronta personaggi che ama (Lo straordinario film su Pina Bausch ne è un esempio). Su questo registro-insieme epico e lirico- il regista tedesco si muove alla perfezione e ci consegna un'opera potente, visionaria, esteticamente splendida, che contiene un messaggio finale di speranza e di vita.
Messaggio che va salvaguardato in questa epoca di spersonalizzazione, derive feticistiche e di follie ideologiche che appestano il pianeta.
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hidalgo
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sabato 25 ottobre 2014
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il mondo di salgado
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Il sale della terra è un viaggio incredibile per il mondo visto dagli occhi e dall'obiettivo di Sebastiao Salgado, raccontanto da lui stesso, da suo filgio e da Wim Wenders attraverso una serie di fotografie a dir poco magnifiche. Forse è anche riduttivo chiamarle solo "fotografie"; le immagini che Salgado ha immortalato nel corso del suo girovagare da una parte all'altra del pianeta, sono un ritratto della bellezza del mondo e una testimonianza del male che il genere umano ha fatto (e continua a fare) ai doni del Creato; Salgado ha visitato e immortalato sconfinati territori inesplorati, foreste che sembrano incantate e regioni sperdute in capo al mondo, ma lungo il suo cammino è stato anche testimone di genocidi, carestie e brutalità di ogni genere.
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Il sale della terra è un viaggio incredibile per il mondo visto dagli occhi e dall'obiettivo di Sebastiao Salgado, raccontanto da lui stesso, da suo filgio e da Wim Wenders attraverso una serie di fotografie a dir poco magnifiche. Forse è anche riduttivo chiamarle solo "fotografie"; le immagini che Salgado ha immortalato nel corso del suo girovagare da una parte all'altra del pianeta, sono un ritratto della bellezza del mondo e una testimonianza del male che il genere umano ha fatto (e continua a fare) ai doni del Creato; Salgado ha visitato e immortalato sconfinati territori inesplorati, foreste che sembrano incantate e regioni sperdute in capo al mondo, ma lungo il suo cammino è stato anche testimone di genocidi, carestie e brutalità di ogni genere. Wenders ne ha fatto un collage delle esperienze in fotogarfie di Salgado, scatenando nello spettaore emozioni e sentimenti forti e contrastanti. Grazie anche al supporto, fondamentale, della voce narrante del fotografo stesso, ci si commuove fino alle lacrime, si prova vergogna assistendo a quello che i nosti simili sono stati capaci di fare al mondo e agli esseri umani, si resta a bocca aperta davanti alla maestosità di certi paesaggi, si avvertono strette al cuore al passaggio di immagini esplicite ma mai gratuite e si finisce con il coraggio di nutrire ancora una speranza; se esistono uomini come Sebastiao Salgado e i suoi famigliari e collaboratori, non tutto è ancora perduto. Un documentario emozionante, poetico e scioccante. Un'opera che resta impressa nel cuore e nella testa.
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[+] un altro grande documentario di wenders
(di antonio montefalcone)
[ - ] un altro grande documentario di wenders
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alerosi89
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lunedì 3 novembre 2014
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un film che tutti dovrebbero vedere
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La luce è per Salgado l'inchiostro dello scrittore, strumento
imprescindibile con cui plasma le sue opere. Dall'insieme di fotoni
nascono i suoi capolavori, i quali ci consentono di vedere il mondo con
i suoi occhi. Attraverso la settima arte Wenders racconta le esperienze
di questo incredibile fotografo, permettendo allo spettatore di
assistere ad una mostra fotografica sul grande schermo, condita dal
sapiente commento dell'autore degli scatti. Dalle numerose foto che
scorrono durante la proiezione emerge il viso di Salgado, segnato dalle
brutalità e dagli orrori di cui è stato testimone. Alcune scene di
guerra e di devastazione, soprattutto quelle in Rwanda, lo turbano a
tal punto da farlo ammalare nell'animo.
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La luce è per Salgado l'inchiostro dello scrittore, strumento
imprescindibile con cui plasma le sue opere. Dall'insieme di fotoni
nascono i suoi capolavori, i quali ci consentono di vedere il mondo con
i suoi occhi. Attraverso la settima arte Wenders racconta le esperienze
di questo incredibile fotografo, permettendo allo spettatore di
assistere ad una mostra fotografica sul grande schermo, condita dal
sapiente commento dell'autore degli scatti. Dalle numerose foto che
scorrono durante la proiezione emerge il viso di Salgado, segnato dalle
brutalità e dagli orrori di cui è stato testimone. Alcune scene di
guerra e di devastazione, soprattutto quelle in Rwanda, lo turbano a
tal punto da farlo ammalare nell'animo. Solo grazie alla natura,
soggetto della sua ultima raccolta (Genesi), recupera la speranza nel
genere umano, che le immagini a cui aveva assistito avevano quasi
estirpato. Speranza che rimane sempre l'ultima risorsa per l'uomo,
ultima dea.
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fabiofeli
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lunedì 27 ottobre 2014
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rispetto genera rispetto
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Il sale della terra di Wim Wenders e Juliano Ricardo Salgado
Si può fare un film interessante e coinvolgente alternando le fotografie di Sebastiấo Salgado e le interviste al grande fotografo e a suo padre, un uomo che sembra lo stesso Sebastiấo con trenta anni di più?
La risposta è sì, se le fotografie sono dense di significati al punto da raffigurare pensieri e riflessioni quasi fossero pagine di un romanzo.
L’opera resta comunque un film anche se sembra contraddire il principio che cinema e fotografia sono due mezzi di rappresentazione diversa, vale a dire l’uno utilizza l’immagine in movimento e l’altro l’immagine fissa? La risposta è ancora sì, sempre per il motivo che quasi tutte le foto di Salgado congelano un momento significativo nel quale sono racchiuse la storia precedente e quella successiva.
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Il sale della terra di Wim Wenders e Juliano Ricardo Salgado
Si può fare un film interessante e coinvolgente alternando le fotografie di Sebastiấo Salgado e le interviste al grande fotografo e a suo padre, un uomo che sembra lo stesso Sebastiấo con trenta anni di più?
La risposta è sì, se le fotografie sono dense di significati al punto da raffigurare pensieri e riflessioni quasi fossero pagine di un romanzo.
L’opera resta comunque un film anche se sembra contraddire il principio che cinema e fotografia sono due mezzi di rappresentazione diversa, vale a dire l’uno utilizza l’immagine in movimento e l’altro l’immagine fissa? La risposta è ancora sì, sempre per il motivo che quasi tutte le foto di Salgado congelano un momento significativo nel quale sono racchiuse la storia precedente e quella successiva. Sono un modo di narrare, spesso poetico e, oserei dire, letterario nel senso migliore, costruito pian piano attraverso la frequentazione di luoghi e persone, conquistando poco per volta la fiducia di chi apparirà nella foto in modo naturale e non “in posa”. Traspare così tutta l’umanità e la profondità delle immagini scattate.
Nel film di Wenders e del figlio del fotografo si compie la complessa operazione di trasformazione di molte immagini fisse in una sequenza, un racconto; Wenders è da sempre affascinato dalla dimensione tempo riprodotto nella sua durata reale attraverso la tecnica del piano-sequenza, cara a Sergio Leone, Abbas Kiarostami e Nuri Bilge Ceylan; una tecnica che dilata i tempi cinematografici alla loro durata reale (indimenticabile in tal senso “Nel corso del tempo” del regista tedesco). Le parole di Salgado spiegano le tematiche delle fotografie suddivise in periodi lavorativi ben definiti. La lunga intervista che ricorda il modo di filmare del Jean Luc Godard degli anni ’60 riprende in primo piano il volto invecchiato del fotografo, valorizzando l’umanità del suo sguardo: i suoi occhi attenti hanno colto la drammaticità delle migrazioni umane e scrutato l’orrore della guerra fratricida nella ex-Jugoslavia. Penetriamo nell’abisso della disumanità e dell’abiezione, sentendoci alieni disperati; ma l’ultimo lavoro di Salgado (Genesi) ci riporta sulla terra con immagini dell’ambiente naturale e della vita degli animali: ci ricorda che il mondo è nostro, ma anche delle creature che ci vivono assieme a noi. Ritrovare l’equilibrio e l’umanità attraverso il rispetto della natura è ancora possibile; rispetto genera rispetto e comprensione dei propri simili e di se stessi. Torniamo umani e restiamo umani: un messaggio di speranza e non solo una utopica fantasia. Uno splendido film-documentario da vedere e ri-vedere.
Valutazione ****
FabioFeli
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antonietta dambrosio
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venerdì 21 novembre 2014
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salgado come ulisse
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Il sale della terra - recensione
Se la parola ha in sé la magia di dar forma a stati d'animo e sentimenti, il potere di catturare il tempo e dilatarlo, di rendere eterno un momento, il Cinema che si esprime in gran parte attraverso le immagini, per mano di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, con Il sale della terra compie il miracolo, e rendendo omaggio a chi ha saputo scrivere sulla luce, ci offre il ritratto artistico ed umano di Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano che ha saputo trasformare l'immagine in poesia.
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Il sale della terra - recensione
Se la parola ha in sé la magia di dar forma a stati d'animo e sentimenti, il potere di catturare il tempo e dilatarlo, di rendere eterno un momento, il Cinema che si esprime in gran parte attraverso le immagini, per mano di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, con Il sale della terra compie il miracolo, e rendendo omaggio a chi ha saputo scrivere sulla luce, ci offre il ritratto artistico ed umano di Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano che ha saputo trasformare l'immagine in poesia. La forza della sua fotografia è tale che ogni parola potrebbe essere un insulto al cospetto dell'immensità; scrivere di questo film è come profanare qualcosa di sacro, perché viverlo è un'esperienza quasi mistica, è un percorso attraverso il dolore, è guardare con un occhio cosmico la vita e la morte in una dimensione che va oltre la prospettiva di ognuno di noi, è saper vedere attraverso lo sguardo di un bambino adagiato in una bara, spento ma ancora vibrante, cosa c'è al di là di quel limite oscuro, è l'attimo di felicità nel sorriso e nella complicità di due amici su un barcone tra l'orrore di una migrazione di massa, è l'uomo nella realtà di ogni continente che si misura con il suo ambiente e col tempo, che accelera il passo o lo ferma. Wim Wenders come Omero e Juliano Ribeiro Salgado come Telemaco, attraverso la sua arte ed ascoltando la sua stessa voce, sono testimoni dell'infinito viaggio di Sebastião Salgado, di cui ne seguono la partenza dalla terra di origine, e spingendosi verso le foreste tropicali dell'Amazzonia, passano dall'Indonesia alla Nuova Guinea, dal Congo, dalla Jugoslavia al Kuwait, attraversano i ghiacciai dell'Antartide, indugiano in Rwanda di cui ogni fotografia è il nero sul bianco dell'orrore del genere umano sull'uomo, è lo spettacolo di come l'uomo operi alla distruzione del suo stesso genere, si fermano su guerre e schiavitù, sono occhi nei suoi occhi perché "una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di chi ritrae". Ed attraverso i suoi occhi ci fermiamo tutti sull'evoluzione di ogni specie animale scoprendo che siamo cellule di una stessa cellula, ospiti di una meravigliosa terra che non sempre siamo in grado di amare e l'orrore ci scava l'anima fino a consumarla ed un magone di impotenza e sfiducia nel nostro genere ci pervade finché Salgado stesso ci conduce verso la cura con il suo ritorno alle origini, dove la vita irrompe e ci circonda. La circolarità del suo viaggio fino al recupero dei valori di origine ci regalano conoscenza, consapevolezza, nuova fiducia, e la riconquista definitiva di ogni valore che ci lega alla vita. L'impegno nella riforestazione di una terra resa brulla dalla siccità è la sfida della luce dell'esistenza sulle tenebre della morte, è il senso dell'eternità. Sebastião Salgado come Ulisse torna dal suo Telemaco, nella sua terra e dalla sua donna che ha sostenuto il suo viaggio tessendo la tela della sua rinascita. L'umanità è Il sale della terra ed è anche un'opera grandiosa, è arte che si concede all'arte, e scava l'anima fino a levigarla e renderla migliore.
Antonietta D'Ambrosio
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antonietta dambrosio
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lunedì 17 novembre 2014
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salgado come ulisse
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Il sale della terra - recensione
Se la parola ha in sé la magia di dar forma a stati d'animo e sentimenti, il potere di catturare il tempo e dilatarlo, di rendere eterno un momento, il Cinema che si esprime in gran parte attraverso le immagini, per mano di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, con Il sale della terra compie il miracolo, e rendendo omaggio a chi ha saputo scrivere sulla luce, ci offre il ritratto artistico ed umano di Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano che ha saputo trasformare l'immagine in poesia.
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Il sale della terra - recensione
Se la parola ha in sé la magia di dar forma a stati d'animo e sentimenti, il potere di catturare il tempo e dilatarlo, di rendere eterno un momento, il Cinema che si esprime in gran parte attraverso le immagini, per mano di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, con Il sale della terra compie il miracolo, e rendendo omaggio a chi ha saputo scrivere sulla luce, ci offre il ritratto artistico ed umano di Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano che ha saputo trasformare l'immagine in poesia. La forza della sua fotografia è tale che ogni parola potrebbe essere un insulto al cospetto dell'immensità; scrivere di questo film è come profanare qualcosa di sacro, perché viverlo è un'esperienza quasi mistica, è un percorso attraverso il dolore, è guardare con un occhio cosmico la vita e la morte in una dimensione che va oltre la prospettiva di ognuno di noi, è saper vedere attraverso lo sguardo di un bambino adagiato in una bara, spento ma ancora vibrante, cosa c'è al di là di quel limite oscuro, è l'attimo di felicità nel sorriso e nella complicità di due amici su un barcone tra l'orrore di una migrazione di massa, è l'uomo nella realtà di ogni continente che si misura con il suo ambiente e col tempo, che accelera il passo o lo ferma. Wim Wenders come Omero e Juliano Ribeiro Salgado come Telemaco, attraverso la sua arte ed ascoltando la sua stessa voce, sono testimoni dell'infinito viaggio di Sebastião Salgado, di cui ne seguono la partenza dalla terra di origine, e spingendosi verso le foreste tropicali dell'Amazzonia, passano dall'Indonesia alla Nuova Guinea, dal Congo, dalla Jugoslavia al Kuwait, attraversano i ghiacciai dell'Antartide, indugiano in Rwanda di cui ogni fotografia è il nero sul bianco dell'orrore del genere umano sull'uomo, è lo spettacolo di come l'uomo operi alla distruzione del suo stesso genere, si fermano su guerre e schiavitù, sono occhi nei suoi occhi perché "una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di chi ritrae". Ed attraverso i suoi occhi ci fermiamo tutti sull'evoluzione di ogni specie animale scoprendo che siamo cellule di una stessa cellula, ospiti di una meravigliosa terra che non sempre siamo in grado di amare e l'orrore ci scava l'anima fino a consumarla ed un magone di impotenza e sfiducia nel nostro genere ci pervade finché Salgado stesso ci conduce verso la cura con il suo ritorno alle origini, dove la vita irrompe e ci circonda. La circolarità del suo viaggio fino al recupero dei valori di origine ci regalano conoscenza, consapevolezza, nuova fiducia, e la riconquista definitiva di ogni valore che ci lega alla vita. L'impegno nella riforestazione di una terra resa brulla dalla siccità è la sfida della luce dell'esistenza sulle tenebre della morte, è il senso dell'eternità. Sebastião Salgado come Ulisse torna dal suo Telemaco, nella sua terra e dalla sua donna che ha sostenuto il suo viaggio tessendo la tela della sua rinascita. L'umanità è Il sale della terra ed è anche un'opera grandiosa, è arte che si concede all'arte, e scava l'anima fino a levigarla e renderla migliore.
Antonietta D'Ambrosio
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vanessa zarastro
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lunedì 10 novembre 2014
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bidimensione e movimento
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«Una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di ritrae» una frase del film che è un po’ la chiave di questo viaggio modellato nella luce e nello spazio. Il regista Wim Wenders con il figlio del famoso fotografo Sebastião Salgado sono coautori di questo documentario sulla sua opera e vita. Un’operazione mastodontica coraggiosa e ambiziosa perché inserire il movimento nello spazio fotografico e raccontare la terza dimensione dell’immagine bidimensionale e statica è sempre un rischio. A mio avviso, Wenders – anch’esso fotografo oltre che regista – riesce a farlo.
In alcuni punti il fim si presenta come uno sfogliare di fotografie con voce narrante fuori campo che si alterna, una volta è lo stesso Sebastião (ripreso mentre riprende!), un’altra Wenders un’altra ancora Juliano.
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«Una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di ritrae» una frase del film che è un po’ la chiave di questo viaggio modellato nella luce e nello spazio. Il regista Wim Wenders con il figlio del famoso fotografo Sebastião Salgado sono coautori di questo documentario sulla sua opera e vita. Un’operazione mastodontica coraggiosa e ambiziosa perché inserire il movimento nello spazio fotografico e raccontare la terza dimensione dell’immagine bidimensionale e statica è sempre un rischio. A mio avviso, Wenders – anch’esso fotografo oltre che regista – riesce a farlo.
In alcuni punti il fim si presenta come uno sfogliare di fotografie con voce narrante fuori campo che si alterna, una volta è lo stesso Sebastião (ripreso mentre riprende!), un’altra Wenders un’altra ancora Juliano. In altre, specialmente dove c’è un alto punto di vista e dove c’è una visione ampia - ad esempio nelle migrazioni o nei disastri della mano dell’uomo - la telecamera si sostituisce alla camera fissa. Così anche nel ritrarre le popolazioni indigene siano essi gli Awà Guajà in Amazonia o i Nenet in Siberia. A tale proposito Salgado fa un’interessante descrizione del ritratto che per riuscire non può essere una semplice descrizione anaffettiva, ma deve cogliere, in un certo senso, l’anima del soggetto da ritrarre.Tra le innumerevoli opere che Salgado ha realizzato nel corso della sua carriera, emergonoi grandi progetti di lungo periodo: La mano dell’uomo una pubblicazione di 400 pagine del 1993 sui settori di base della produzione,Workers, che documenta le vite quasi impercettibili dei braccianti di tutto il mondo, Migrations (2000), una rappresentazione delle migrazioni di massa causate dalla carestia, dai disastri naturali, dal degrado ambientale e dalla pressione demografica, e l’ultima opera, Genesis che è il risultato di un’esplorazione durata otto anni alla scoperta di montagne, oceani, deserti, animali e popolazioni con terre e vite incontaminate.La Terra è vista come una magnificarisorsa da conoscere, contemplare e raccontare, ma anche da salvaguardare in modo più rispettoso nei confronti della natura e dell’ambiente circostante. Genesis è una sorta di grande antropologia planetaria, un omaggio visivo ma anche un grido di allarme; è un viaggio fotografico fatto di oltre 200 immagini, in un liricobianco e nero, di mondi in cui natura, animali ed esseri viventi vivono ancora in equilibrio con l’ambiente: dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia.
Personalmente sono rimasta molto colpita dalle foto degli anni ‘90 dove Salgado, attraverso la sua macchina fotografica, porta alla ribalta la vastità del fenomeno delle migrazioni delle popolazioni in Africa. Sono veramente impressionanti le immagini delle popolazioni in Congo così come i cadaveri accatastati in Rwanda. Vedere la fuga d’intere popolazioni, osservarle morire di stenti, di malattie in modo così massiccio è proprio ciò che ha portato Salgado a non voler più fotografare e a cadere in uno stato di depressione che solo con l’intervento della vera eroina del film (della vita?) e cioè Lelia Wanickla geniale e collaborativa moglie di Sebastião. Da lei parte l’idea di riforestare la fazenda familiare ereditata dai genitori di Salgado che gli darà di nuovo linfa vitale e desiderio di ricominciare a fotografare la natura.
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nerone bianchi
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giovedì 27 novembre 2014
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fascino, significato e bellezza
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E' un film? Un documentario? Un documento?
Sono tentativi di definizioni che ho letto prima di vedere quest'ultima opera che Wenders ha realizzato insieme a Juliano Ribeiro Salgado, figlio di Sebastiao Salgado, fotografo e viaggiatore. L'opera le contiene tutte , è certamente un film, anche un documentario ma soprattutto è un documento. La testimonianza di una vita intensa, spesa a seguire intenzioni profonde, nel tentativo di raccontare il senso della nostra presenza su questo mondo. E' uno sguardo totale quello che ci viene proposto, crudo e nudo nella sua immensa verità, quella di una specie irrequieta che in duemila anni è stata capace di modificare pesantemente gli equilibri millenari del posto in cui vive, della sua indole violenta e intollerante, come pure della sua capacità unica di avere un pensiero poetico, un senso infinito di solidarietà e di appartenenza, di pensiero libero, di forza smisurata.
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E' un film? Un documentario? Un documento?
Sono tentativi di definizioni che ho letto prima di vedere quest'ultima opera che Wenders ha realizzato insieme a Juliano Ribeiro Salgado, figlio di Sebastiao Salgado, fotografo e viaggiatore. L'opera le contiene tutte , è certamente un film, anche un documentario ma soprattutto è un documento. La testimonianza di una vita intensa, spesa a seguire intenzioni profonde, nel tentativo di raccontare il senso della nostra presenza su questo mondo. E' uno sguardo totale quello che ci viene proposto, crudo e nudo nella sua immensa verità, quella di una specie irrequieta che in duemila anni è stata capace di modificare pesantemente gli equilibri millenari del posto in cui vive, della sua indole violenta e intollerante, come pure della sua capacità unica di avere un pensiero poetico, un senso infinito di solidarietà e di appartenenza, di pensiero libero, di forza smisurata. L'opera (così mi piace chiamarla) è un percorso nel labirinto della vita umana, un giro nel luna park dell'esistenza e della creazione. La riforestazione di casa Salgado in Brasile chiude con una bella finestra di speranza che ci voleva, perchè di questa abbiamo bisogno, di azioni che rinforzino la volontà di dimostrare che anche noi siamo capaci di vivere su questo pianeta come tutte le altre specie. L'opera scorre su un registro di puro fascino e bellezza, attraverso le foto di Salgado e del suo potente e delicato racconto. Merito di un regista che ha saputo trattare un materiale così fragile e apparentemente così poco cinematografico.
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scriptavolant
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martedì 9 dicembre 2014
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l'occhio dell'umanità
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Se ad un opera d'arte chiedete non meno che vi cambi la vita, oggi come oggi siete in difficoltà ma non disperati: andate a vedere 'Il sale della terra' scritto (insieme a David Rosier e Camile Delafon) e diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, il film sulla vita e l'opera di Sebastiao Salgado e della sua famiglia, in primis della moglie Leila.
Definire Salgado un fotografo è quanto meno riduttivo. La poetica che percorre tutta la sua opera è monumentale, un'opera di assoluto genio dal respiro universale. Il film ripercorre la vita di Salgado seguendo il percorso dei suoi progetti artistici e quello che ne viene fuori è una sinfonia di immagini dalla potenza creatrice annichilente.
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Se ad un opera d'arte chiedete non meno che vi cambi la vita, oggi come oggi siete in difficoltà ma non disperati: andate a vedere 'Il sale della terra' scritto (insieme a David Rosier e Camile Delafon) e diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, il film sulla vita e l'opera di Sebastiao Salgado e della sua famiglia, in primis della moglie Leila.
Definire Salgado un fotografo è quanto meno riduttivo. La poetica che percorre tutta la sua opera è monumentale, un'opera di assoluto genio dal respiro universale. Il film ripercorre la vita di Salgado seguendo il percorso dei suoi progetti artistici e quello che ne viene fuori è una sinfonia di immagini dalla potenza creatrice annichilente.
Lo sguardo di Salgado ha penetrato l'umanità nel suo intimo fino a sollevarsi e ritrarre il teatro delle sue vicende, il mondo. Uno sguardo orbitale, totale, che restituisce nella fotografia e nella narrazione per immagini movimenti dell'anima, del corpo e della materia di cui sono fatti gli uomini e che è la medesima, ci dice Salgado, di cui è fatta la natura e la vita. Una fotografia che ha saputo cogliere oltre alla luce anche un elemento difficilmente catturabile nella sua essenza dalle immagini: il tempo. Il tempo nelle fotografie di Salgado non è l'istante, non è il tempo dell'umanità, è il tempo geologico, totale, scolpito nella plasticità della materia ritratta, sia essa, la pelle di uomo, la corteccia di un albero, i corrugati della terra, il moto dell'acqua. E se Wenders da cineasta si deve essere posto il problema di come rendere 'cinema' la fotografia, deve aver superato facilmente il dilemma scegliendo di 'ritrarsi' (o farsi ritrarre da Salgado) e far parlare l'arte dell'amico e la dinamica eterna della sua fotografia.
La poetica di Salgado è Omerica, Dantesca, mitopoietica; con la sua opera, ha scritto un testo 'sacro' della fotografia. Se in principio era il verbo, per Salgado, la massima non vale; In principio fu la luce. E se oltre la fotografia, seguiamo la vicenda umana, dalla discesa agli inferi per testimoniare i genocidi delgi ultimi trent'anni, fino alla risalita, la parabola di Salgado non ci restituisce l'immagine di un creativo ma di un creatore. La famiglia Salgado è riuscita a far ricrescere letteramente la foresta sulla terra arida e sterile sulla quale una volta sorgeva la rigogliosa Fazenda del padre di Sebastiao. Fino ad Oggi, in quindici anni, L'Instituto Terra ha piantato quattro milioni di alberi di foresta subtropicale, restituendo al mondo un pezzo di natura così com'era allo stato prima dell'antropizzazione che ne aveva determinato la morte per 'erosione'. L'arte genera la vita.
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vincenzo ambriola
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domenica 23 novembre 2014
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un magistrale ossimoro
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Un film fatto di foto è una contraddizione in termini. Realizzarlo è stata un'impresa che ha visto l'impegno di due grandi maestri, Wenders come regista, Salgado come fotografo. Il risultato è notevole e stupisce per la dinamicità delle immagini, spesso mantenute staticamente sullo schermo per trenta lunghi secondi. Sono quei lunghi secondi che fanno riflettere, mentre la voce narrante fuori campo parla di ciò che Salgado aveva intenzione di fare, dei suoi stati d'animo, delle riflessioni profonde sull'umanità, troppo spesso disumana, che ha osservto, studiato, fotografato nel suo interminabile viaggio. La trama è semplice, la vita di un fotografo che decide deliberatamente di diventarlo, lasciando un lavoro sicuro e una famiglia che lo adorava, per andare dove nessuno osava avventurarsi, non solo per il pericolo ma per la paura di vedere ciò che non doveva essere visto.
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Un film fatto di foto è una contraddizione in termini. Realizzarlo è stata un'impresa che ha visto l'impegno di due grandi maestri, Wenders come regista, Salgado come fotografo. Il risultato è notevole e stupisce per la dinamicità delle immagini, spesso mantenute staticamente sullo schermo per trenta lunghi secondi. Sono quei lunghi secondi che fanno riflettere, mentre la voce narrante fuori campo parla di ciò che Salgado aveva intenzione di fare, dei suoi stati d'animo, delle riflessioni profonde sull'umanità, troppo spesso disumana, che ha osservto, studiato, fotografato nel suo interminabile viaggio. La trama è semplice, la vita di un fotografo che decide deliberatamente di diventarlo, lasciando un lavoro sicuro e una famiglia che lo adorava, per andare dove nessuno osava avventurarsi, non solo per il pericolo ma per la paura di vedere ciò che non doveva essere visto. Una vita che passa attraverso drammi di cui si è sentito parlare ma che in pochi hanno veramente conosciuto. Le due ore trascorrono lente, cadenzate da immagini che rapiscono e incatenano, immagini che per fortuna sono state catturate per sempre a memoria futura.
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