m.romita
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venerdì 15 novembre 2013
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venere deve essere nuda
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Polanski che supera se stesso ; un film veramente straordinario .
Sera, un teatro di terz'ordine, se ne sono andati tutti , un regista / autore, deluso, si prepara a tornare a casa dove una fidanzata l'aspetta per la cena . Una giornata pesante, passata a fare provini ad attrici aspiranti alla parte della protagonista. Parte importante , difficile, ed attrici totalmente non all'altezza, apprendiamo.
E compare una donna , un tipo ; vestita di pelle e borchie, volgare, anche .
Ma lo spettatore stupito comprende subito che è entrato in scena la Donna, il personaggio chiave , Venere in pelliccia . Ed è subito grande Teatro, la magia del teatro , e la magia del grande cinema , anche.
E dal borsone della donna escono straordinari abiti di scena , ed accessori inimmaginabili ( una pistola, ad un certo punto ).
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Polanski che supera se stesso ; un film veramente straordinario .
Sera, un teatro di terz'ordine, se ne sono andati tutti , un regista / autore, deluso, si prepara a tornare a casa dove una fidanzata l'aspetta per la cena . Una giornata pesante, passata a fare provini ad attrici aspiranti alla parte della protagonista. Parte importante , difficile, ed attrici totalmente non all'altezza, apprendiamo.
E compare una donna , un tipo ; vestita di pelle e borchie, volgare, anche .
Ma lo spettatore stupito comprende subito che è entrato in scena la Donna, il personaggio chiave , Venere in pelliccia . Ed è subito grande Teatro, la magia del teatro , e la magia del grande cinema , anche.
E dal borsone della donna escono straordinari abiti di scena , ed accessori inimmaginabili ( una pistola, ad un certo punto ). Una comunissima sciarpona di lana , lunga, ampia, diventa una pelliccia bellissima , morbida e seducente e sensuale al tatto .
Lei conosce tutte battute , si rivela pian piano attrice straordinaria , e donna straordinaria . Non più giovane, ma pienamente donna , padrona di sè che diventa padrona della situazione . E incalza il regista-autore , e i ruoli si confondono . Lei recita la parte , poi ne esce e suggerisce una nuova scena iniziale : straordinaria . E da qui in poi il personaggio femminile trascende nel Mito , diventa Venere e prende definitivamente il soppravvento . Il personaggio maschile che nella finzione dell'opera teatrale, facendosi schiavo, intendeva ottenere la posizione del Dominus , ecco che crolla : e l'uomo, il regista-autore , cede con lui ; ed è lui il suo personaggio ed è lui definitivamente dominato in una scena finale che non è possibile raccontare ma bisogna vedere.
Film straordinario , nel vero senso del termine , ma non per tutti . Se avesse il successo di pubblico che merita sarei veramente sorpreso e felice.
Massimo Romita
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aesse
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venerdì 15 novembre 2013
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in quel teatro c’e’ un mondo!
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La nuova uscita del prolifico Polanski “Venere in pelliccia”, che non so trattenermi dal definire subito come superlativa, è un adattamento cinematografico dell’omonima pièce di David Ives che è un’ennesima variazione intorno all’archetipo del masochismo, gusto sessual-esistenziale sdoganato dal barone Von Masoch alla fine dell’800.
Da allora milioni di seguaci di tale tendenza comportamentale hanno ingrassato il florido business che la accompagna. Questo film però in nessun modo appartiene a questo filone perché racconta di una cosa per dirne un’altra partendo da un archetipo, passando per il mito di Venere per approdare al mito dei miti cioè quello di Adamo ed Eva.
Proprio così perché all’interno di un teatro scalcinato, probabilmente parigino, comunque francese, si incontrano un regista che sta effettuando un casting per trovare la protagonista ideale per il suo adattamento di “La venere in pelliccia” e un’attrice che pretende quella parte.
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La nuova uscita del prolifico Polanski “Venere in pelliccia”, che non so trattenermi dal definire subito come superlativa, è un adattamento cinematografico dell’omonima pièce di David Ives che è un’ennesima variazione intorno all’archetipo del masochismo, gusto sessual-esistenziale sdoganato dal barone Von Masoch alla fine dell’800.
Da allora milioni di seguaci di tale tendenza comportamentale hanno ingrassato il florido business che la accompagna. Questo film però in nessun modo appartiene a questo filone perché racconta di una cosa per dirne un’altra partendo da un archetipo, passando per il mito di Venere per approdare al mito dei miti cioè quello di Adamo ed Eva.
Proprio così perché all’interno di un teatro scalcinato, probabilmente parigino, comunque francese, si incontrano un regista che sta effettuando un casting per trovare la protagonista ideale per il suo adattamento di “La venere in pelliccia” e un’attrice che pretende quella parte. E’ lì, con un improbabile scenario di cartapesta, memoria di tante diverse rappresentazioni, che un uomo e una donna danno origine ad un mondo. Proprio come Adamo ed Eva che, nella rivitalizzazione ironica di Polanski forse omaggio alla sua Emanuelle Seigner diventano Eva e Adamo. Questo avviene perché il tema del film è un inno al miracolo del recitare che rende possibile quel frenetico entrare e uscire non solo fra realtà e rappresentazione (e chissà quale sia l’una e l’altra!) ma anche e soprattutto fra attrice e regista, vittima e carnefice e fra uomo e donna fino al punto di consegnarci nella spelndida, tutta filmica, scena finale il regista-vittima-carnefice- uomo- donna, legato e impotente ad un grosso cactus non casualmente immagine fallica e fallocratica per eccellenza.
ANTONELLA SENSI
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(di antonio montefalcone)
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lucaapollo
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giovedì 14 novembre 2013
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la magia del teatro e thrill vero.
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Polanski mette molte belle cose in questo film: la magia del teatro nel cinema, la grande recitazione, il racconto psicologico alla Schnitzler, il tema della stanza chiusa con due persone.
Due grandi attori, un Mathieu Amalric frastornato e una Emmanuelle Seigner straordinaria e d’un erotismo possente, distillato dall’età diciamo matura. Quasi quasi non si fa caso al botox.
Si assiste alla demolizione di un uomo, Thomas, regista e autore di una pièce tratta da Sacher-Masoch, delle sue sicurezze esteriori e presuntose, da parte di Wanda, l’attrice giunta apparentemente per caso a chiedere di lavorare.
In un crescendo di identificazione tra ruoli teatrali e vere personalità, scambi di parte e accelerazioni, Wanda precipita il povero regista in un vortice nel quale perde completamente il controllo.
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Polanski mette molte belle cose in questo film: la magia del teatro nel cinema, la grande recitazione, il racconto psicologico alla Schnitzler, il tema della stanza chiusa con due persone.
Due grandi attori, un Mathieu Amalric frastornato e una Emmanuelle Seigner straordinaria e d’un erotismo possente, distillato dall’età diciamo matura. Quasi quasi non si fa caso al botox.
Si assiste alla demolizione di un uomo, Thomas, regista e autore di una pièce tratta da Sacher-Masoch, delle sue sicurezze esteriori e presuntose, da parte di Wanda, l’attrice giunta apparentemente per caso a chiedere di lavorare.
In un crescendo di identificazione tra ruoli teatrali e vere personalità, scambi di parte e accelerazioni, Wanda precipita il povero regista in un vortice nel quale perde completamente il controllo.
Wanda non è solamente padrona ma anche plasmatrice e dunque creatrice della sua vittima. Semina segni di natura divina, come il manoscritto di misteriosa provenienza e le impressionanti intuizioni sulla fidanzata del regista. E alla fine giustamente pretende di essere riconosciuta come dea.
Ci sono momenti di tensione forte e il finale è un vero climax.
Polanski, che peraltro ha ripreso un pezzo teatrale di David Ives, rovescia la lettura del libro di Sacher-Masoch (“E l’onnipotente lo colpì. E lo consegnò nelle mani di una donna”), trasformando l’onnipotente proprio nella donna. Forse, chissà, per convincerci di averne grande considerazione.
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pasquiota
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giovedì 5 dicembre 2013
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il gioco degli scambi e dei doppi
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Lei, attrice rozza e volgare. Lui, regista colto e ambizioso. Ma è lei che comprende meglio il testo, che ne scava dentro le pieghe più recondite, che se ne dimostra interprete insostituibile. E tutto attraverso uno scambio di ruoli che pone inesorabilmente il regista sotto il dominio dell'attrice e della donna.
Attraverso vertiginosi e innumerevoli piani di lettura, un Polanski che torna al cinema-teatro dopo "Carnage" ci offre un'opera incalzante nel ritmo, pur se con due soli attori, che indaga sugli abissi dell'animo.
E la Vanda (reale) / Vanda (immaginaria) lentamente si trasforma in altro, suggerendoci via via che potrebbe essere l'attrice che si rivale sul regista, poi l'impersonificazione del personaggio della pièce, ma anche la dea Venere che si vendica dell'uomo e infine il doppio della stessa Seigner, speculare al doppio Thomas/Polanski, cui l'ottimo Mathieu Amalric somiglia significativamente.
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Lei, attrice rozza e volgare. Lui, regista colto e ambizioso. Ma è lei che comprende meglio il testo, che ne scava dentro le pieghe più recondite, che se ne dimostra interprete insostituibile. E tutto attraverso uno scambio di ruoli che pone inesorabilmente il regista sotto il dominio dell'attrice e della donna.
Attraverso vertiginosi e innumerevoli piani di lettura, un Polanski che torna al cinema-teatro dopo "Carnage" ci offre un'opera incalzante nel ritmo, pur se con due soli attori, che indaga sugli abissi dell'animo.
E la Vanda (reale) / Vanda (immaginaria) lentamente si trasforma in altro, suggerendoci via via che potrebbe essere l'attrice che si rivale sul regista, poi l'impersonificazione del personaggio della pièce, ma anche la dea Venere che si vendica dell'uomo e infine il doppio della stessa Seigner, speculare al doppio Thomas/Polanski, cui l'ottimo Mathieu Amalric somiglia significativamente.
In un barlume di lucidità, il regista Thomas lo intuisce, quando balbetta fra sè, chiedendosi chi veramente sia quella Vanda arrivata dai sobborghi.
Ma forse lei è la vita reale e assieme l'eterno. E le spettacolari piano-sequenze iniziali e finali sottolineano la vita che entra ed esce dal teatro, fondendosi ineluttabilmente con lo spazio-cinema. Forse mai Polanski aveva raggiunto la metafisica come qui.
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aldot
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venerdì 22 novembre 2013
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bellezza e poesia
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Bellezza e poesia. Questo mi ha lasciato Venere in pelliccia. Film intenso e coinvolgente in cui il regista ha voluto infondere una gran cura al ritmo e al crescendo emotivo nell'intreccio finzione-realtà. Seppure la trama non è delle più originali, ripercorrendo il canovaccio del teatro per mettere a nudo le vite private dei protagonisti/attori (ci ricorda molto Kennet Branagh) , la delicatezza e l'intensità con cui vengono man mano svelate le nature più intime dei personaggi è toccante.
Anche alla fine ai titoli il pubblico rimane in silenzio come in contemplazione delle immagini delle varie Veneri della pittura.
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francesca romana cerri
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domenica 24 novembre 2013
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la magia del teatro senza l'assoluto.
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Che dire ! Polansky è un grande regista e il pretesto è ovviamente stupendo: cosa si vuole di più di un film , con un unità di tempo, azione e luogo, concentrato su due protagonisti un uomo e una donna. Tutto faceva presagire che il film avrebbe toccato l'anima, che avrebbe messo al centro l'Essere umano. E di fatto lo mette al centro, ci racconta di due che presi dal provino ( regista e attrice) e intenti a provare i personaggi cominciano a rivelare parti intime di sè, in un continuo alternarsi di realtà quotidiana e prova teatrale che a un certo punto acquista più realtà e spessore della vita normale. La magia e la potenza del Teatro c'è tutta ma.
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Che dire ! Polansky è un grande regista e il pretesto è ovviamente stupendo: cosa si vuole di più di un film , con un unità di tempo, azione e luogo, concentrato su due protagonisti un uomo e una donna. Tutto faceva presagire che il film avrebbe toccato l'anima, che avrebbe messo al centro l'Essere umano. E di fatto lo mette al centro, ci racconta di due che presi dal provino ( regista e attrice) e intenti a provare i personaggi cominciano a rivelare parti intime di sè, in un continuo alternarsi di realtà quotidiana e prova teatrale che a un certo punto acquista più realtà e spessore della vita normale. La magia e la potenza del Teatro c'è tutta ma....Mancano le sottigliezze, manca di gradualità nel rapporto, tutto sembra già intuibile dall'inizio. Manca della seduzione il mistero, è tutto un pò regalato. Manca la solitudine dei due che avrebbe reso il loro momentaneo incontro sul palco più assoluto, più esistenziale. Il ritmo del film è troppo omogeneo è un continuo dialogo senza pause tese, manca di musicalità l'orchestrazione della parola che avrebbe avuto bisogno di silenzi e respiri per reggersi. Il personaggio di lei è al limite dell'antipatico, invece doveva essere più profondo. Lui è molto umano,ma manca tragicamente di sex appel. E' un buon, forse buonissimo film, ma senti che il pretesto è talmente eccellente che tutto il resto è aldisotto.
Tuttavia fà pensare a come il momento del gioco, del teatro, il momento dell'extraquotidiano ha il potere di avvicinare mondi lontani e di farli toccare . L'incontro in quell'area libera che si chiama Teatro è L'Incontro per definizione fuori dagli schemi, fuori dai ruoli consolidati, fuori dalle regole sociali. Allora diventa un luogo, il palco dove poter mettere in discussione tutto, anche i ruoli sclerotizzati del maschio e della femmina nello scoprire quanto di maschile c'è nella donna e quanto di femminile c'è nell'uomo.
La chiusura con il balletto di lei però è un pò demenziale, si poteva chiudere meglio, forse tornando ognuno alla propria vita dopo aver sentito la Vita.
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fabiofeli
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martedì 19 novembre 2013
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donne, donne eterni dei
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Venere in pelliccia di Roman Polanski
Una lunga carrellata in un boulevard parigino, battuto da un furioso temporale conduce ad un teatro dove si rappresenterà un dramma tratto da un libro di Sacher-Masoch. E’ una soggettiva della donna che percorre il viale, Wanda (Emanuelle Seigner), per sostenere un’audizione per la parte di Venere-Wanda nella pièce teatrale in programma nel teatro.
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Venere in pelliccia di Roman Polanski
Una lunga carrellata in un boulevard parigino, battuto da un furioso temporale conduce ad un teatro dove si rappresenterà un dramma tratto da un libro di Sacher-Masoch. E’ una soggettiva della donna che percorre il viale, Wanda (Emanuelle Seigner), per sostenere un’audizione per la parte di Venere-Wanda nella pièce teatrale in programma nel teatro. Il regista e sceneggiatore di Venere in pelliccia, Thomas (Mathieu Amalric), sta per andarsene e cerca di liquidarla. Ma la tenacia della giovane donna, che sembra una cafoncella sguaiata e ignorante, rivelano che si tratta di un osso duro. Masticando il suo chewing-gum e ostentando il suo corpo nella succinta tenuta di scena invischia il regista in un sofferto assenso a farle sostenere la prova. Poco per volta, argomentando che il testo è contro la donna, riesce perfino a far cambiare pezzi di copione, suggerendo idee che incontrano il favore di Thomas. E’ in possesso, inspiegabilmente, dell’intero copione e se lo è studiato ben bene. Thomas e Wanda provano il testo, discutendo sulle luci di scena e sulla verosimiglianza del dialogo datato. In fondo è un libro del 1870 e lo si può modernizzare. Alternano brani di recitato a dialoghi reali, come se fossero in un frullatore o in una porta girevole. Il gioco è accattivante. Wanda fa leva sulle debolezze che pensa di aver individuato in Thomas, stringendolo sempre più in una gabbia dalla quale non riesce a uscire, perché le sbarre sono il frutto delle sue ossessioni. Verosimilmente avrà la parte. E se la merita.
Si ripete la carrellata iniziale al contrario.
I due attori sono molto bravi, ottimamente diretti da Roman Polanski. Il regista, data la sua età, potrebbe dire di sé, parafrasando il titolo del disco di Murolo di anni fa, “ottanta (ho tanta) voglia di fare film”. Il bersaglio è sempre il rapporto uomo-donna, ridotto all’osso, stavolta, con soli due personaggi. E nel confronto è quasi scontato chi perderà. La visuale della sua lente di ingrandimento sul rapporto di forza, il braccio di ferro che si scatena nella tenzone amorosa, è deformata da pruriti pornografici e sado-masochisti. C’è una impietosa presa in giro nei confronti dell’attricetta, una “sgallettata” dei giorni nostri, impudente nella sua sfacciata praticità, e del regista teatrale, un “radical-chic” che ha il coraggio di chiamare il suo cane col nome del filosofo algerino, Derrida, che contestò le tesi di Foucault. E anche ironia nei confronti del sesso e delle ossessioni che lo accompagnano. C’è anche una spiccata autoironia: non è un caso che Wanda sia impersonata dalla Seigner, attuale moglie di Polanski, e che Amalric assomigli come una goccia d’acqua, anche nel modo di muoversi e di vestire, all’ottantenne regista quando era più giovane; il mestiere di Thomas è lo stesso di Polanski ed il rapporto che lega attori e regista si basa proprio su potere e autorità. Un film girato con un cast ridotto all’osso, in una location polverosa, una scena teatrale ingombra di incongruenti oggetti della rappresentazione precedente: ancora una buona prova di Polanski. Un film da non mancare.
Valutazione *** ½
FabioFeli
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flyanto
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mercoledì 20 novembre 2013
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uno scambio di molteplici battute che si rivela un
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Film in cui si racconta di un' aspirante attrice che, giunta in ritardo ad un provino, riesce, dopo molteplici insistenze, ad ottenere dal regista stesso la possibilità di sostenerlo. Pur sembrando ad un primo impatto un'attrice poco adatta alla parte, nel corso della sua prova la giovane donna si rivela, con grandissimo stupore da parte del regista, molto più adatta rispetto alle precedenti candidate, ormai già scartate dopo la selezione. E pian piano il regista giunge a subirne il fascino ed una sorta anche di soggiogamento psicologico che lo porta ad assumere un ruolo di "inferiorità" o, per lo meno, di "sudditanza" nei confronti di questa aspirante attrice molto preparata e dotata di forte personalità.
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Film in cui si racconta di un' aspirante attrice che, giunta in ritardo ad un provino, riesce, dopo molteplici insistenze, ad ottenere dal regista stesso la possibilità di sostenerlo. Pur sembrando ad un primo impatto un'attrice poco adatta alla parte, nel corso della sua prova la giovane donna si rivela, con grandissimo stupore da parte del regista, molto più adatta rispetto alle precedenti candidate, ormai già scartate dopo la selezione. E pian piano il regista giunge a subirne il fascino ed una sorta anche di soggiogamento psicologico che lo porta ad assumere un ruolo di "inferiorità" o, per lo meno, di "sudditanza" nei confronti di questa aspirante attrice molto preparata e dotata di forte personalità. Praticamente il gioco delle parti si ribalta e quella a cui spetta decidere sul ruolo da assumere è proprio la donna stessa, quanto mai abile manipolatrice dell' ormai debole ed in crisi regista. Il tutto risulterà per lui come un forte nochè spietato gioco al massacro. Anche in quest'ultima sua opera il regista Roman Polanski struttura la vicenda come una pièce teatrale: nel precedente "Carnage" i protagonisti erano 4, qui, solo due, e cioè Emanuelle Seigner nella parte dell'attrice e Matthieu Amalric in quello del regista, peraltro molto simile fisicamente a Polanski stesso. Il dialogo, abilmente costruito da brillanti, ironiche ed anche taglienti battute viene palleggiato scambievolmente tra i due attori che portano avanti la tematica dell'amore e del suo potere facendo alternare la finzione con la realtà. Pertanto, se da una parte i due protagonisti stanno recitando la parte della pièce tratta dall' omonima opera di Sacher-Masoch, dall'altra la reale situazione dei loro ruoli si insinua, non creando nello spettatore poca confusione. Ma quello che a Polanski interessa principalmente rappresentare è la relazione amorosa unita alla sua forza di seduzione che si instaura generalmente in una coppia, dove uno sicuramente arriva a dominare l'altro e viceversa, a seconda dei momenti, creando un' alternanza di ruoli e di sentimenti di cui entrambi sembrano necessitare. Sia la Seigner che Amalric si dimostrano ottimi attori in queste loro parti non facili da sostenere e già di per sè il film varrebbe la pena di essere visto, ma l'ottima regia di Polanski è la testimonianza e la conferma eclatante della sua maestria nel fare cinema di qualità.
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xtini
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mercoledì 27 novembre 2013
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vivace, intenso, intimo
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Vivace ,intenso,intimo ;l'ultimo di Roman Polanski. Il
merito va soprattutto agli attori:Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric che,
riescono a catturare il pubblico con la loro magnifica e morbosa interpretazione ."Un attrice strampalata e inizialmente sgraziata di nome Vanda riesce ad ottenere un audizione per : " La Venere in pelliccia " testo adattato da Thomas ; il regista ,basato su il romanzo di Leopold Von Sacher-Masoch.nostante sia arrivata in ritardo, il regista si convincerà e le darà le battute .Si rivelerà da subito "l'ideale "Venere per thomas . I due così ,inizieranno a provare il copione.
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Vivace ,intenso,intimo ;l'ultimo di Roman Polanski. Il
merito va soprattutto agli attori:Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric che,
riescono a catturare il pubblico con la loro magnifica e morbosa interpretazione ."Un attrice strampalata e inizialmente sgraziata di nome Vanda riesce ad ottenere un audizione per : " La Venere in pelliccia " testo adattato da Thomas ; il regista ,basato su il romanzo di Leopold Von Sacher-Masoch.nostante sia arrivata in ritardo, il regista si convincerà e le darà le battute .Si rivelerà da subito "l'ideale "Venere per thomas . I due così ,inizieranno a provare il copione.Due;eppure Incantano , seducono ;si scoprono mettendo a nudo se stessi attraverso le fantasie dei personaggi ;stravolgendo il canovaccio iniziale. Un teatro scarno che si anima e diventa luogo di confessioni reali ,intime e nascoste dietro una battuta.Polanski dirige due mattatori e riesce ad incuriosire senza mai annoiare , a sedurre senza scadere nel volgare.
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pepito1948
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martedì 26 novembre 2013
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il martirio e l'estasi
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C’è molto Polanski in questa sua ultima opera. Lo schema ricalca quello di Carnage, dove protagonista, più che i personaggi, è la loro relazione a geometria variabile. C’è qualcosa dell’ambiguità, della sottile crudeltà e dell’erotismo strisciante di Luna di fiele. C’è un direttore delle luci anche lui polacco e vecchio collaboratore del regista, quarta e fondamentale presenza artistica sul set. Infine c’è la mano del maestro, geniale nel saper dosare i movimenti psicologici che si alternano senza tregua e le trasformazioni di ruoli e personaggi in una dimensione tempo- spazio che abbandona i caratteri della naturalità per diventare una realtà tutta mentale.
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C’è molto Polanski in questa sua ultima opera. Lo schema ricalca quello di Carnage, dove protagonista, più che i personaggi, è la loro relazione a geometria variabile. C’è qualcosa dell’ambiguità, della sottile crudeltà e dell’erotismo strisciante di Luna di fiele. C’è un direttore delle luci anche lui polacco e vecchio collaboratore del regista, quarta e fondamentale presenza artistica sul set. Infine c’è la mano del maestro, geniale nel saper dosare i movimenti psicologici che si alternano senza tregua e le trasformazioni di ruoli e personaggi in una dimensione tempo- spazio che abbandona i caratteri della naturalità per diventare una realtà tutta mentale.
Il regista Thomas provina in un teatro vuoto e semibuio per il ruolo di protagonista di una piece teatrale, come ultima possibilità di una giornata fallimentare, l’irruente Vanda, che ha invaso il palco fuori tempo massimo con i suoi abiti tutto borchie, cuoio e trine, toni vocali sgraziati e volitivi, decisa a non mollare la parte fino all’ultimo tentativo. Riuscito, perché, alla prima spoliazione delle sue apparenze, il regista a sua volta perde la pervicace coazione al rifiuto, ed accetta Vanda come interprete ai suoi comandi. Comincia il confronto tra chi dirige e chi è diretto, che ben presto da gioco delle parti si trasforma in contesa tra i sessi extra copione, destinata a non fare prigionieri. Il testo della piece in allestimento, ispirata ad un lavoro di von Sacher-Masoch, dà il destro alla camaleontica Vanda di andare oltre una canonica recitazione, e attraverso spiazzanti evoluzioni della sua schiacciante seduzione, calamitanti spoliazioni e continue osmosi tra i ruoli di attrice e di donna, riesce a scardinare la porta cedevole della psiche del povero Thomas, ormai pronto ad offrire il ventre alle armi dell’altrui dominazione come apoteosi del desiderio di un io frustrato che vuol essere frustato. Vanda infatti straripa dal copione, inverte i ruoli e si erge a padrona incontrastata, davanti alla nudità fragile e consenziente dell’interlocutore, ormai privato perfino delle sue apparenza virili ed “imprigionato” senza pietà, un San Sebastiano che sembra dar corpo al dibattuto tema del martirio come estasi. Con un salto nel mito Thomas-Penteo rischia di essere fatto a pezzi, perché le Baccanti di Dioniso, nume dell’irrazionale e del teatro, non perdonano la protervia sacrilega di chi ha cercato di sfidare negandola la superiore entità divina che intendeva sottomettere. “E Dio mise l’uomo nelle mani di una donna”.
Il sottile gioco di trasformazione dei singoli contendenti e la dinamica inesorabile tra i due che stravolge il rapporto di forza (o di pulsioni) si materializzano nell’inversione del rapporto tra regista dominante e attrice recitante in kermesse donna-.uomo, vinta in un’ottica di vendetta antisessista dalla prima sul secondo, rimasto impastoiato nel suo recondito desiderio, senza più identità e libertà. Polanski propende per l’identificazione con il suo regista, tanto da scegliere il protagonista a sua immagine e somiglianza: un autoritratto pieno di spunti forse attinenti al suo tribolato vissuto, attraverso un’elaborazione che attinge mescolandoli alla letteratura, la pittura, la mitologia, il cinema, il teatro: all’arte, insomma.
Tipico esempio di metacinema o meta teatro, Venere in pelliccia è un’opera sulla doppiezza della natura (o della verità: realtà e finzione, eros e thanatos, piacere e dolore, coscienza ed inconscio) e sulla doppiezza nella doppiezza (nella diversità dei generi e in quella delle componenti maschile e femminile di ciascuno di essi). Colpisce la capacità di Polanski, co-sceneggiatore, di entrare nei meandri “secondari” della mente, quelli più nascosti e trasgressivi (“Nel sado-maso c’è qualcosa di non molto diverso dal teatro: diventi regista delle tue fantasie, interpreti un ruolo, diventi un’altra persona..”), dandone una rappresentazione dinamica esaltata da angolazioni visuali ponderate, stacchi di immagine, cambi di luce, repentine variazioni di toni narrativi, come se descrivesse una lotta su una pedana girevole che ad un certo punto s’inclina. Le luci sono perfettamente calibrate per descrivere il confronto epico in tutti i suoi mutamenti. Alla fine, è pur sempre e solo spettacolo, dice Polanski, e, come uno spettatore di boxe che esce per rivivere ciò che ha visto tornando alle sue ordinarie occupazioni, la mdp esce dal chiuso dell’agone teatrale indietreggiando lentamente, attraversando tutte le porte verso l’uscita: chiara citazione del grande Hitchcock.
Non si può non sottolineare in un film con due soli combattenti la superba prova dei protagonisti, con menzione particolare per la Seigner, da tempo musa e moglie del regista, dalla bellezza ultrapervasiva e quasi paralizzante. Da non mancare.
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[+] commento a pepito 1948
(di ennas)
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