luigi chierico
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domenica 16 marzo 2014
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in religioso silenzio
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Chi desidera conoscere una bella storia, scritta bene, in cui i sentimenti e luoghi trovino ampio respiro, deve affidarsi silenziosamente alla lettura di un bel libro.
Chi cerca una bella storia con belle fotografie sceglie il cinema sonoro.
Se invece si vuol soltanto assistere a qualcosa di veramente particolare occorre vedere capolavori come “Ordet” di Theodor Dreyer del 1955 o come “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman del 1957 e “Ida” di Pawel Pawlikowski dopo quasi 60 anni.
Non è un film per tutti perché non è divertente ma da cineforum, dico questo perché tante volte raccogliendo il parere ed impressioni di qualcuno si rimane delusi.
Parlarne troppo bene e raccontare la storia può fuorviare chi sceglie di andare a vedere questo film.
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Chi desidera conoscere una bella storia, scritta bene, in cui i sentimenti e luoghi trovino ampio respiro, deve affidarsi silenziosamente alla lettura di un bel libro.
Chi cerca una bella storia con belle fotografie sceglie il cinema sonoro.
Se invece si vuol soltanto assistere a qualcosa di veramente particolare occorre vedere capolavori come “Ordet” di Theodor Dreyer del 1955 o come “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman del 1957 e “Ida” di Pawel Pawlikowski dopo quasi 60 anni.
Non è un film per tutti perché non è divertente ma da cineforum, dico questo perché tante volte raccogliendo il parere ed impressioni di qualcuno si rimane delusi.
Parlarne troppo bene e raccontare la storia può fuorviare chi sceglie di andare a vedere questo film. La vicenda non va mai narrata in chiari lettere, ovvero in esplicite anticipazioni.
La violenza ordita in un periodo nero del passato continua a produrre i suoi effetti, scegliere quindi il bianco e nero, è stata una felicissima intuizione.
Non può vedersi il mondo a colori quando uomini e donne ne sono stati privati da un altro essere che di uomo, non doveva portare il nome.
La sceneggiatura è così resa all’essenziale ed è proprio questo che fa apprezzare il film nella sua essenza. Un bellissimo dipinto non ha bisogno di una ancor più bella cornice, direi anzi che va incorniciato nella maniera più modesta.
Il dramma che si abbatte su Anna che scopre di chiamarsi Ida è davvero devastante, tutto diventa improvvisamente carico di tristezza e di squallore, dal cielo grigio in cui non splende mai il sole, dalla campagna arida, dagli alberi spogli, dalle strade quasi deserte, i boschi morenti.
Il conflitto tra essere ebreo e/o cattolico, vestire i panni di una religiosa o quelli civili, la ricerca della verità, il dramma del rimorso di chi, servendo il partito, ha tradito il proprio credo, sono i temi attorno a cui quasi silenziosamente vediamo muoversi Agata Kulesza ed Agata Trzebuchowska, entrambe bravissime, nella parte della nipote Ida l’una ,e della zia Wanda l’altra.
Gli occhi della giovane ragazza,che sta per prendere i voti, sebbene siano limpidi e profondante espressivi,tanto da trasferire all’ esterno la semplicità della propria anima, svelano una serena tristezza.
La fotografia offre immagini di una bellezza fantastica, la macchina da presa si muove sapientemente, si sofferma su alcuni particolari, apparentemente dettagli di nessuna importanza. Non è così le immagini rese dalla fotografia se fossero pagine descritte da uno scrittore dalla fertile fantasia, sarebbero pagine memorabili.
I piedi nudi, bianchi si associano in un momento di ballo con delle scarpe nere lucidissime su un piano di mattoni bianchi e neri anch’essi, in un vortice che sembra annunciare una scelta. Una tenda candida avvolge Ida per proteggerla dalle insidie del mondo e conservarla pura ai voti di Castità, Povertà ed Obbedienza che sta per prendere.
Quel che si vede all’inizio del film è un’immagine del Cristo, alla fine un lungo interminabile cammino verso la fede, un calvario o la salvezza.
Chi ha vinto tra il bene ed il male, tra la castità ed il peccato?
Agata Kulesza sarà Anna o Ida? La ninfa figlia di Melisso , il cui mondo è la bellezza, o non piuttosto una eroina?
Per chi ama questo genere di film mi auguro che non debba attendere ancora un altro mezzo secolo per vederne uno simile..chigi
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[+] questioni di fede
(di arnaco)
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writer58
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domenica 16 marzo 2014
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il decalogo di pawlikowski
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Il retrogusto che mi ha lasciato questo film di Pawlikowski, regista per me sconosciuto, è simile a quello di alcuni episodi del "Decalogo" di Kieslowski: composizioni asciutte, direi quasi severe, per nulla spettacolari, ma che scavano i personaggi dall'interno e restituiscono ritratti sorprendentemente "veri". Anna è una novizia che sta per prendere i voti. Si reca controvoglia, su indicazione della Madre superiora, a Varsavia per conoscere la sua unica parente in vita, una zia che non si è mai interessata a lei. Le due donne sono agli antipodi: Wanda è un giudice, una militante del partito comunista che ha fatto carriera dopo la fine della seconda guerra mondiale.
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Il retrogusto che mi ha lasciato questo film di Pawlikowski, regista per me sconosciuto, è simile a quello di alcuni episodi del "Decalogo" di Kieslowski: composizioni asciutte, direi quasi severe, per nulla spettacolari, ma che scavano i personaggi dall'interno e restituiscono ritratti sorprendentemente "veri". Anna è una novizia che sta per prendere i voti. Si reca controvoglia, su indicazione della Madre superiora, a Varsavia per conoscere la sua unica parente in vita, una zia che non si è mai interessata a lei. Le due donne sono agli antipodi: Wanda è un giudice, una militante del partito comunista che ha fatto carriera dopo la fine della seconda guerra mondiale. E' una persona in apparenza energica e dura, ma segnata dallla disillusione e la solitudine interiore, che cerca di contenere con l'alcool e rapporti sessuali occasionali. Anna appare invece totalmente dedita alla sua ricerca spirituale: il convento è stato da sempre il suo ambito di vita e pare che abbia fretta di tornarvi per sigillare il suo patto di fronte a Dio. La zia Wanda la mette al corrente di una verità sconvolgente: il vero nome della nipote è Ida, figlia di una famiglia ebrea, famiglia uccisa durante il conflitto. Le due donne si mettono in viaggio per scoprire dove sono sepolti i genitori di Ida. Nel farlo, attraversano una Polonia livida (siamo all'inizio degli anni '60), ritratta in bianco e nero: estensioni di alberi scheletrici, strade male asfaltate, foschia che sottrae profondità al paesaggio, hotel simili a cubi di cemento. La realtà che scoprono è ancora più livida del paesaggio: recuperano, dove diverse vicissitudini, le ossa dei genitori sepolte in un bosco e danno loro onorevole sepoltura nel cimitero di Lublino. Il contatto con il "mondo" viene vissuto inizialmente con fastidio da Ida, che tende a proteggersi dai rischi di un coinvolgimento, poi un incontro casuale con un giovane musicista e la tempesta emozionale provocata dalla conoscenza della sua vicenda personale e famigliare tenderanno a modificare il quadro...
Come nel "decalogo" di Kieslowski, sono rintracciabili i riferimenti a diversi comandamenti. in primo luogo "onora il padre e la madre", ma anche "non commettere atti impuri", "non uccidere" e "non commettere falsa testimonianza", mentre "non avrai altro Dio all'infuori di me" se lo disputano la chiesa e il partito. il film dipana questi riferimenti in modo fluido, senza diventare didascalico, con un lavoro di interpretazione dei personaggi che procede per sottrazione. Le interpreti mi sono sembrate magnifiche e la storia narrata è potente e verosimile, anche se lascia alla fine un sapore po' amaro.
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pepito1948
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venerdì 28 marzo 2014
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i due mondi di ida e wanda
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Nella Polonia di inizio anni 60 si incontrano due donne, una novizia in procinto di prendere i voti e sua zia, ex partigiana e magistrato. Il clima è quello gelido ed uniforme del regime comunista del dopoguerra, che ha steso una coltre di apparente normalizzazione sociale, sotto la quale tuttavia cova ancora il retaggio, fatto di dolori, misteri non risolti, ricordi incancellabili, del recente Olocausto.
Due donne, due mondi; l’una giovane ed orfana, che non è mai uscita dal convento in cui è cresciuta, si scopre ebrea, l’altra matura, che ha aggredito la vita prima come combattente per la libertà, poi come procuratore inflessibile, cerca un riscatto dalla solitudine in effimeri occasioni di incontri con gli uomini ed in consolatorie bevute di vodka.
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Nella Polonia di inizio anni 60 si incontrano due donne, una novizia in procinto di prendere i voti e sua zia, ex partigiana e magistrato. Il clima è quello gelido ed uniforme del regime comunista del dopoguerra, che ha steso una coltre di apparente normalizzazione sociale, sotto la quale tuttavia cova ancora il retaggio, fatto di dolori, misteri non risolti, ricordi incancellabili, del recente Olocausto.
Due donne, due mondi; l’una giovane ed orfana, che non è mai uscita dal convento in cui è cresciuta, si scopre ebrea, l’altra matura, che ha aggredito la vita prima come combattente per la libertà, poi come procuratore inflessibile, cerca un riscatto dalla solitudine in effimeri occasioni di incontri con gli uomini ed in consolatorie bevute di vodka.
Dopo l’iniziale diffidenza emerge l’alleanza, che spinge entrambe ad affrontare un viaggio per scoprire i misteriosi risvolti di una torbida vicenda di comune interesse, seppellita in un non lontano passato. La ragazza assiste e segue la zia, che indaga ed interroga, finchè la verità prorompe in tutta la sua traumatica violenza. Il raggiunto obiettivo scioglie il patto e spinge le donne verso strade diverse: Wanda, ormai provata dal peso di un ingombrante passato, si riconosce perdente, mentre Ida, dopo aver assaggiato i piaceri del mondo esterno al suo, supera il dilemma e fa la sua scelta, corroborata da un’esperienza che lascerà per sempre il segno.
Il racconto si snoda in una Polonia descritta nel suo grigiore quasi artificiale, dove tutto appare senza sussulti e rigidamente regolamentato, ma in cui serpeggiano fermenti di vita: i giovani nei locali si divertono, suonano, ballano, fumano e bevono in allegria. E cercano di ignorare le tracce ancora vive di un passato non del tutto elaborato. E’ qui che Ida viene svezzata dopo il limbo blindato di un’adolescenza piatta e senza emozioni. Ida assorbe dalla realtà nuove conoscenze e sensazioni, costruisce la sua identità femminile che le permetterà, giunta al bivio, di decidere con la dovuta consapevolezza del suo futuro.
Il regista polacco Pawlikowski costruisce con maestria una storia che si alimenta del confronto tra due opposte visioni del mondo impersonate dalle due donne, dei conflitti interiori di ciascuna e delle contraddizioni di un Paese fiaccato dalle ferite della guerra ma proteso verso un lento percorso di rinascita. E lo fa con un splendido bianco e nero che non è mai cupo, con dialoghi essenziali privi di qualsiasi ridondanza che riducono al minimo i dettagli di snodo, con la composizione di immagini fuori dalle regole canoniche che conferiscono modernità espressiva e scioltezza narrativa a contenuti inevitabilmente intrisi di storica problematicità.
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maurizio meres
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sabato 22 marzo 2014
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da non perdere
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Bellissimo spaccato di una Polonia, grigia ,autoritaria ,intrappolata ancora dagli strascichi di una guerra passata ,ma ancora presente nella libertà di pensiero del popolo in un regime autoritario dove il controllo sulle persone è la priorità . Lei Anna vissuta nell'isolamento di una chiesa restrittiva , senza sapere niente della sua vita ,senza ricordi senza emozioni al riparo da tutto .Wanda la zia bellissima figura cinematograficamente parlando ,autoritaria sicura della sua persona libera di fare tutto ciò che il regime gli permetteva ,ma intrappolata nel suo totale fallimento esistenziale,di una vita passata nel giudicare gli altri essendo giudice ,senza mai essere giudicata ,il suicidio rimane per lei l'unica via per liberarsi di una vita socialmente inutile.
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Bellissimo spaccato di una Polonia, grigia ,autoritaria ,intrappolata ancora dagli strascichi di una guerra passata ,ma ancora presente nella libertà di pensiero del popolo in un regime autoritario dove il controllo sulle persone è la priorità . Lei Anna vissuta nell'isolamento di una chiesa restrittiva , senza sapere niente della sua vita ,senza ricordi senza emozioni al riparo da tutto .Wanda la zia bellissima figura cinematograficamente parlando ,autoritaria sicura della sua persona libera di fare tutto ciò che il regime gli permetteva ,ma intrappolata nel suo totale fallimento esistenziale,di una vita passata nel giudicare gli altri essendo giudice ,senza mai essere giudicata ,il suicidio rimane per lei l'unica via per liberarsi di una vita socialmente inutile.Film strutturalmente perfetto in un bianco e nero che rende l'ambientazione talmente realistica da sfiorare la perfezione scenica ,fotografia con i giusti grigi che rispecchiano l'epoca ,e con dei primi piani dove la poca luce fa risaltare tutta l'espressività del soggetto.
Il film è da vedere per capire l'intreccio delle due vite ,di due donne diametralmente opposte ,e il momento storico dove tutti si devono far perdonare qualcosa di orrendo,raccontare la trama cosa che personalmente mi trova contrario sempre ,sarebbe deleterio soprattutto per questo tipo di film ,dove la frase" mai dimenticare " diventa la sostanza della vita .
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janmaris
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sabato 22 marzo 2014
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quando gli sguardi e le pause fanno un film
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Ho trovato questo film davvero straordinario, come pochi in tempi recenti!
Una storia molto ricca di contenuto, una sceneggiatura misurata e ottima, una fotografia B/N perfetta, una recitazione eccellente, delle scelte registiche per alcuni dettagli (son queste che secondo me fanno la differenza fra un regista e un altro!) notevolissime, inclusi certi silenzi e certi sguardi che "comunicano" in modo chiarissimo, che non vedevo da molti e molti film. Con una delineazione di due caratteri con scelte radicali diverse, ma non "impermeabili" all'influenza reciproca, in cui tutto il pensiero del luogo e dell'epoca (cattolicesimo, visione socialista) contengono passioni vere insieme a grandi disinganni.
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Ho trovato questo film davvero straordinario, come pochi in tempi recenti!
Una storia molto ricca di contenuto, una sceneggiatura misurata e ottima, una fotografia B/N perfetta, una recitazione eccellente, delle scelte registiche per alcuni dettagli (son queste che secondo me fanno la differenza fra un regista e un altro!) notevolissime, inclusi certi silenzi e certi sguardi che "comunicano" in modo chiarissimo, che non vedevo da molti e molti film. Con una delineazione di due caratteri con scelte radicali diverse, ma non "impermeabili" all'influenza reciproca, in cui tutto il pensiero del luogo e dell'epoca (cattolicesimo, visione socialista) contengono passioni vere insieme a grandi disinganni. Il tutto in un'ora e venti, che però ti lascia moltissimo!
[Solo una notazione per Mymovies: potreste evitare di mettere la trama praticamente per intero, incluso il finale? Alcuni miei amici cui avevo consigliato il film si sono demotivati!]
Jan Mariscalco
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[+] descrizione perfetta
(di maurizio meres)
[ - ] descrizione perfetta
[+] digli di fare come me!
(di barone di firenze)
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angelo umana
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domenica 30 marzo 2014
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il mondo fuori ha poi tanto da dare?
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In Polonia sul far degli anni 60 la tenera suor Anna vive fin da quando era bambina piccolissima in un convento dove a giorni prenderà i voti. Fu affidata alle suore alla morte dei suoi genitori, ebrei polacchi uccisi da altri polacchi durante l’occupazione tedesca. Invitata a farlo dalla madre superiora – in un convento l’invito è anche un ordine – va nel “mondo fuori” a conoscere una certa zia Wanda, l’unica presunta parente.
Apprende da Wanda di chiamarsi Ida in realtà, conosce così la sorte dei suoi genitori e come lei stessa scampò alla morte. In un viaggio con la “zia” nel paesino d’origine ne recupera i resti in un bosco, dà loro sepoltura con la cura e delicatezza che le appartengono: questa uscita è per lei occasione di avvicinarsi alla vita fuori dal convento e all’amore, sembra un uccellino implume appena nato e messo in un mondo di cui sa poco.
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In Polonia sul far degli anni 60 la tenera suor Anna vive fin da quando era bambina piccolissima in un convento dove a giorni prenderà i voti. Fu affidata alle suore alla morte dei suoi genitori, ebrei polacchi uccisi da altri polacchi durante l’occupazione tedesca. Invitata a farlo dalla madre superiora – in un convento l’invito è anche un ordine – va nel “mondo fuori” a conoscere una certa zia Wanda, l’unica presunta parente.
Apprende da Wanda di chiamarsi Ida in realtà, conosce così la sorte dei suoi genitori e come lei stessa scampò alla morte. In un viaggio con la “zia” nel paesino d’origine ne recupera i resti in un bosco, dà loro sepoltura con la cura e delicatezza che le appartengono: questa uscita è per lei occasione di avvicinarsi alla vita fuori dal convento e all’amore, sembra un uccellino implume appena nato e messo in un mondo di cui sa poco. E’ la zia a “educarla” un po’ (bellissima interpretazione dell’attrice Agata Kulesza), lei prostituta e dedita all’alcol, coi modi spicci di una donna che ha visto tutto e non crede più a niente, fino a volersi annientare, si porta addosso la colpa della morte dei genitori di Ida. Lei si definisce “puttana” e dice alla “santa” di non nascondere i suoi capelli così belli, le chiede come può imporsi la rinuncia all’amore carnale se ancora non lo conosce, non è una vera penitenza.
Conoscerà anche quello, “e poi?”, chiede al ragazzo che la corteggia … chissà se il mondo fuori, una famiglia, dei bambini, un lavoro, hanno poi così tanto da darle. Un film molto interessante, un bianco e nero che si fa apprezzare pure per i paesaggi, e per l’uso ottimale della poca luce nelle inquadrature fisse, nessuna sbavatura o concessione allo spettacolo: accurato.
Piccola considerazione da cinefili: il sito mymovies mostra che all’ultima rilevazione del 23 marzo 2014 il film ha incassato in Italia 303.000€, molti di più ne staranno incassando commedie all’”italiana” che godono del credito d’imposta o del riconoscimento di “alto valore culturale”, o film spettacolari per i quali si va comunemente al cinema nei giorni di festa, spesso perché “non si sa cos’altro fare”: proprio per questo poi non si torna al cinema, delusi, per diverso tempo, e ci si lamenta che “il cinema non è più quello di una volta”.
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[+] post oscar 2/2015
(di angelo umana)
[ - ] post oscar 2/2015
[+] la zia era un giudice
(di cinefila part time)
[ - ] la zia era un giudice
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eugenio
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venerdì 2 maggio 2014
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la ricerca di un’identità individuale e collettiva
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Polonia comunista, inizi anni’60. Istantanea: primo piano di un convento. Si celebra una funzione religiosa. L’attenzione dello spettatore è rivolta a una giovane suora, Anna, dalle mosse impacciate,timida, insicura, credente e rigida nella sua fermezza ecclesiastica.
Esterno: quartieri popolari e in lontananza l’ambiente perbenista della borghesia che ha sfruttato il vento del regime per arricchirsi alle spalle di una popolazione sempre più povera e indigente. Emblema dell’ostentazione di benessere è Wanda elitaria di regime, magistrato, amante dei piaceri mondani, atea, segnata da ferite dell’anima, opulentemente sola, sanguinaria nelle sentenze, vibrante come luce di candela spezzata da un forte vento.
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Polonia comunista, inizi anni’60. Istantanea: primo piano di un convento. Si celebra una funzione religiosa. L’attenzione dello spettatore è rivolta a una giovane suora, Anna, dalle mosse impacciate,timida, insicura, credente e rigida nella sua fermezza ecclesiastica.
Esterno: quartieri popolari e in lontananza l’ambiente perbenista della borghesia che ha sfruttato il vento del regime per arricchirsi alle spalle di una popolazione sempre più povera e indigente. Emblema dell’ostentazione di benessere è Wanda elitaria di regime, magistrato, amante dei piaceri mondani, atea, segnata da ferite dell’anima, opulentemente sola, sanguinaria nelle sentenze, vibrante come luce di candela spezzata da un forte vento.
Wanda incontra Anna o meglio la ritrova dopo tanti anni e la pone dinanzi a una sconvolgente verità che riguarda il passato della novella suora: il suo vero nome, Ida ma soprattutto la natura ebraica della giovane donna abbandonata in fasce dinanzi al convento da genitori perseguitati dal nazismo.
Convinta di poter riparare una vita di meschinità e nefandezze con un favore al mondo, Wanda parte con Ida nel tentativo di trovare un destinatario a quella lettera di morte composta da una tomba ignota, meta ultima della peregrinazione.
La strada, il viaggio lungo i binari di due esistenze che nulla sembrano spartire, diviene occasione per un dialogo sulla fede in senso lato, sulla difficile natura di servo di Dio,riflettendo sui mali osceni dell’umanità dettati da folli rappresaglie e dai torbidi recessi della natura umana, vittima e carnefice, labile rappresentante di un mondo che ha fatto dell’apparenza e del lassismo il suo punto di forza.
L’incontro con un musicista autostoppista diretto nella stessa cittadina dove Wanda è convinta di trovare uno degli artefici della morte della sorella e del genero, costituisce il pretesto scelto dal regista per lo scontro prima dialettico/comportamentale poi sociale tra zia e nipote, tra libero arbitrio e piacere dei sensi, tra vita carnale e esistenza da clausura.
Impiegando un bianco e nero essenziale che fa dei primi piani e dei silenzi tra le due donne uno dei punti di forza della pellicola, Pawlikowski usa la lezione di Kieslowski con perizia realizzando un “mini” decalogo on the road preciso e tagliente.
Il paesaggio, metafisico e scarno, è complice del mutamento e della crisi spirituale di Ida, della carenza di significato di un Dio “panteista” violento, quasi assente e indifferente dinanzi ai suoi figli in agonia. Ma,d’altro canto, può una vita apparentemente normale con casa e famiglia, cancellare un cammino di redenzione iniziato tanti anni prima? Può la fede piegarsi a esigenze terrene?
Pawlikowski fornisce attraverso la figura della suora, una possibile interpretazione rievocando un periodo dolorosissimo per la Polonia, l’invasione e la strage nazista, senza mai parlarne direttamente ma accentuando, al contrario, la forte componente intimista delle due confuse donne dall’esistenza oramai irrimediabilmente spezzata, con gli occhi rivolti a un mondo cui non appartengono più.
Dagli abissi dell’indolenza alle pieghe remote degli incubi della ragione, Ida ricorda alcune pellicole bergmaniane per il complicato giro di attese, il tormento interiore dei personaggi ma soprattutto per il lucido quanto drammatico apologo di due incroci di solitudine. Il male più terribile che ciascun incapace di vita conosce molto bene.
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rampante
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mercoledì 3 dicembre 2014
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ida la suora ebrea
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Il regista polacco racconta la storia di Ida, una storia ambientata nella Polonia del 1962 scandita da inquadrature sorprendenti in bianco e nero
Un doppio ritratto femminile d'impeccabile bellezza.
Anna, una ragazza orfana, giovanissima e acerba della vita sta per prendere i voti da suora nel convento cattolico dove è cresciuta.
Consigliata dalle suore si reca a conoscere la sua unica zia, Wanda, una zia adulta ed esperta del mondo,una zia comunista, con un passato da pubblico ministero durante la Seconda Guerra Mondiale. La ragazza non sa di chiamarsi Anna e di essere ebrea,
Due donne che si conoscono appena, partono assieme per scoprire il loro oscuro passato per viaggio che sarà sorprendente a iniziare dalla religione di appartenenza e che finirà per avvicinarle nella loro ricerca mettendole di fronte a terribili scoperte nella Polonia dell'Olocausto.
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nerone bianchi
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sabato 14 marzo 2015
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nel gioco della vita
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Normalmente scrivo di un film lo stesso giorno o al massimo il giorno successivo alla visione, questa volta ne ho fatti passare tre, non per pigrizia ma sperché ho lasciato che le immagini e le impressioni si sedimentassero, sperando che poi, diradata la nebbia, avessero cose più precise e sensate da suggerire. Così non è stato e il mio giudizio critico ancora versa nell'incertezza e credo che non arriverà mai a raggiungere atteggiamenti diversi da questo. Il lavoro è in bianco e nero ed anche su uno schermo quadrato diverso da quello a cui siamo normalmente abituati, questa scelta senza ombra di dubbio conferisce maggiore profondità e credibilità alla vicenda raccontata, la trasporta su un piano diverso, nel passato grigio dei vecchi regimi comunisti, negli anni incerti del dopoguerra, tra le mura di un convento.
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Normalmente scrivo di un film lo stesso giorno o al massimo il giorno successivo alla visione, questa volta ne ho fatti passare tre, non per pigrizia ma sperché ho lasciato che le immagini e le impressioni si sedimentassero, sperando che poi, diradata la nebbia, avessero cose più precise e sensate da suggerire. Così non è stato e il mio giudizio critico ancora versa nell'incertezza e credo che non arriverà mai a raggiungere atteggiamenti diversi da questo. Il lavoro è in bianco e nero ed anche su uno schermo quadrato diverso da quello a cui siamo normalmente abituati, questa scelta senza ombra di dubbio conferisce maggiore profondità e credibilità alla vicenda raccontata, la trasporta su un piano diverso, nel passato grigio dei vecchi regimi comunisti, negli anni incerti del dopoguerra, tra le mura di un convento. Non saprei dire con precisione di cosa parla questo affresco, della vita certo, del gioco delle scelte, della relatività delle stesse, e forse di tante altre cose ancora. Il racconto non allenta mai la tensione ed è in grado di trascinarci fino alla fine tutto d'un fiato, fino a portarci su quel letto dove la protagonista, smessi i panni da novizia e dopo aver provato ciò che la zia suicida abbracciava quitidianamente, vale a dire alcol, fumo e sesso, risponde alle domande del musicista con cui aveva passato la notte. Lui la invita ad andare a Danzica per dei concerti, lei risponde “ e dopo?”, lui dice che avrebbero visto il mare, fatto passeggiate, e lei ancora “e dopo?”, lui continua con un si sarebbero sposati, avrebbero avuto dei figli, e lei “ e dopo?”. Dopo, senza che lui se ne fosse potuto accorgere, lei si alza, si rimette gli abiti da suora e riporta la sua giovinezza in quel convento dove l'aspettavano silenzi diversi.
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mericol
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giovedì 12 marzo 2015
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ida, prima era anna
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Anna sta per prendere i voti. E’ il caso di chiamare l’unica parente in vita? Esiste soltanto una zia che non ha mai risposto agli inviti della madre superiora. Anna parte in treno. Va a trovare la zia. Si chiama Wanda, è un dirigente importante del partito comunista polacco. Fa il magistrato e in quel periodo,siamo negli anni ’60, si può bene immaginare come viene esercitata la giustizia in un paese comunista: condanna sicura per i cosiddetti “nemici del popolo”:
Nasce un breve e intenso rapporto tra le due. Anna apprende di essere ebrea. Il suo vero nome è Ida. I suoi familiari sono stati trucidati durante gli anni di guerra e sottratti i loro beni.
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Anna sta per prendere i voti. E’ il caso di chiamare l’unica parente in vita? Esiste soltanto una zia che non ha mai risposto agli inviti della madre superiora. Anna parte in treno. Va a trovare la zia. Si chiama Wanda, è un dirigente importante del partito comunista polacco. Fa il magistrato e in quel periodo,siamo negli anni ’60, si può bene immaginare come viene esercitata la giustizia in un paese comunista: condanna sicura per i cosiddetti “nemici del popolo”:
Nasce un breve e intenso rapporto tra le due. Anna apprende di essere ebrea. Il suo vero nome è Ida. I suoi familiari sono stati trucidati durante gli anni di guerra e sottratti i loro beni. Da chi e in quali circostanze? Si va alla ricerca della soluzione del caso. Si apprende una verità atroce sulle modalità e le motivazioni. Soltanto la bambina, Ida, è stata risparmiata e portata in un collegio. Una vicenda tragica raccontata in modo semplice e lineare, anche per le caratteristiche psicologiche delle protagoniste,fredde nel loro dolore. Anna è presa dalla ricerca della verità, che sopporta dignitosamente con l’ausilio della fede e della missione che sta per affrontare.
Wanda invece secca,dura per i rimorsi che non può rimuovere, forse per avere abbandonato la famiglia durante la guerra, forse per l’attività di giudice, certamente non imparziale, durante l’oppressivo regime dittatoriale. Vive ora nella sua tristezza,nella mancanza di prospettive. Cerca di sovrastare i suoi rimorsi con il fumo, l’alcool, il sesso. Finisce per suicidarsi.
Dopo il suicidio Anna-Ida torna nella casa della zia. Le aveva chiesto se si era mai innamorata. Si, qualche volta aveva risposto. Amore carnale? No, mai. Bisognerebbe provarlo aveva aggiunto Wanda, per scegliere con convinzione la vita di castità, povertà,obbedienza..
Ida ,nella casa di Wanda, indossa i vestiti di lei, adegua la capigliatura, il trucco, fuma ,beve alcoolici. Fa l’amore completo. Conosciuta una parte della vita a lei ignota, tra le altre cose non aveva mai visto il mare, sceglie la sua vita di rinuncia, ormai pienamente consapevole.
La storia di Pawlikowski è raccontata in maniera secca,senza fronzoli,dura a momenti, senza toni patetici o compiacimenti. Il Regista è facilitato, in questo senso, dalla scelta del bianco e nero, in ambienti aridi, com’è la pura vicenda. Fa pensare al neorealismo, a Bresson, a Kieslowski.
Splendida interpretazione delle 2 protagoniste polacche, Kulesza e Trzebuchowska.
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