psicosara
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lunedì 23 marzo 2020
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tiepido salvatores
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Il film è tratto dal romanzo "Educazione Siberiana" scritto in italiano dal russo Nicolai Lilin, pubblicato nel 2009.
L'azione si svolge tra il 1985 e il 1995 in una città del sud della Russia (anche se il film è girato in realtà in Lituania).
Due fratelli - Kolyma e Gagarin - onesti criminali- come si definiscono, crescono con i suggestivi insegnamenti di nonno Kuzja (John Malkovic).
E fra codici d’onore infranti, amicizie spezzate, armi e vendette compiute, il film non arriva da nessuna parte!
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contrammiraglio
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giovedì 16 novembre 2017
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si ma però
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Girato bene, nei posti, storia interessante (seppure a tratto pasticciata) ma ..... gli manca qualcosa e non convince.
come tutti i suoi films del resto.
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great steven
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lunedì 5 ottobre 2015
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violenza necessaria abbinata ad onore da difendere
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EDUCAZIONE SIBERIANA (IT, 2013) diretto da GABRIELE SALVATORES. Interpretato da JOHN MALKOVICH, PETER STORMARE, ARNAS FEDARAVICIUS, VILIUS TUMALAVICIUS, ELEANOR THOMLINSON, JONAS TRUKANAS, VITALJI PORSNEV, ANDRIUS PAULAVICIUS
Tratto da un romanzo dello scrittore russo Nicolai Lilin e sceneggiato dal regista con Stefano Rulli e Sandro Petraglia. Nel sud della Russia, nella fase conclusiva del regime dittatoriale staliniano, si raggruppano clan criminali le cui regole basilari affondano le loro radici in un codice d’onore inviolabile. Il più povero, ma anche il più temuto, fra questi è il clan dei siberiani, i cui adepti vengono istruiti, fin dalla più tenera età, a considerare certe categorie di persone (poliziotti, banchieri, usurai, funzionari del governo) come degne di ricevere il male e dunque passabili di reati quali il furto, la rapina e l’aggressione armata.
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EDUCAZIONE SIBERIANA (IT, 2013) diretto da GABRIELE SALVATORES. Interpretato da JOHN MALKOVICH, PETER STORMARE, ARNAS FEDARAVICIUS, VILIUS TUMALAVICIUS, ELEANOR THOMLINSON, JONAS TRUKANAS, VITALJI PORSNEV, ANDRIUS PAULAVICIUS
Tratto da un romanzo dello scrittore russo Nicolai Lilin e sceneggiato dal regista con Stefano Rulli e Sandro Petraglia. Nel sud della Russia, nella fase conclusiva del regime dittatoriale staliniano, si raggruppano clan criminali le cui regole basilari affondano le loro radici in un codice d’onore inviolabile. Il più povero, ma anche il più temuto, fra questi è il clan dei siberiani, i cui adepti vengono istruiti, fin dalla più tenera età, a considerare certe categorie di persone (poliziotti, banchieri, usurai, funzionari del governo) come degne di ricevere il male e dunque passabili di reati quali il furto, la rapina e l’aggressione armata. Il film concentra la propria attenzione sul difficile rapporto d’amicizia fra Kolima, nipote di Kuzja, capo della congrega nonché sua guida spirituale con pieni poteri, che col tempo imparerà benissimo a fare i tatuaggi e a maneggiare pistola e coltello, e Gagarin, suo coetaneo dal temperamento molto più impulsivo e irrispettoso, il quale prenderà una strada completamente diversa stringendo una solida alleanza con gli affiliati del Seme Nero, gruppo delinquenziale opposto e avverso ai siberiani, mettendo Kolima in una posizione dalla quale potrà uscire soltanto seguendo, ancora una volta e come ha fatto per tutta la vita, i dettami che nonno Kuzja gli ha sempre impartito riponendo la sua fiducia in lui. Una parte non certo secondaria della vicenda è costituita anche dagli amici di Kolima e Gagarin, l’occhialuto Vitalik (il più riflessivo e meno coraggioso del gruppo di amici che morirà annegato durante un’alluvione) e il gioviale Mel, che sarà sempre al fianco di Kolima anche quando questi sarà uscito a sua volta di prigione (perché l’incarcerazione già era capitata molti anni prima a Gagarin) e dovrà compiere una missione estremamente difficile sia per i nervi che per il cuore: uccidere il suo migliore amico per il male che questi ha arrecato a Xenia, una simpatica ragazza mentalmente disturbata con cui Kolima da tempo intesseva una relazione sentimentale. È incredibile vedere la crescita artistica e professionale di un autore ormai più che sessantenne che sa riscoprirsi con efficacia creatore di una vicenda emozionante per l’impianto narrativo e ricca di colpi di scena che non lasciano mai l’amaro in bocca e continuano a sorprendere mentre si susseguono aggiungendo vitalità ed energia ad un’opera drammatica che fa della violenza un mezzo per spiegare un periodo arduo della vita di ogni essere umano: il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Il che comporta anche il dovere di fare scelte che andrebbero contro la morale e gli affetti che si nutrono, come apprende Kolima che, per rintracciare Gagarin, si arruola nell’esercito russo e infine corona la sua missione senza però dimenticare le belle esperienze vissute insieme né tantomeno perdonare, d’altro canto, il tradimento con cui il suo più caro amico è precipitato in una bassezza empia e ingiustificabile. Salvatores ci mette la farina del suo sacco traendo dalla pagina scritta di Lilin un insegnamento esistenziale che ricorda, come faceva anni fa Sam Peckinpah, che la violenza, per quanto lo si voglia o no, è una componente primordiale ed essenziale presente, sì in varie misure ma pur sempre immancabile, nell’animo umano perlomeno ogni volta che c’è un nemico comune da combattere o chi commette sbagli che poi ricadono anche sugli innocenti. Un J. Malkovich più inquietante e tetro del solito, fautore di una magistrale interpretazione, arricchita nella nostra versione dal doppiaggio di Andrea Tidona. Bravo anche P. Stormare nella parte del barbuto, bieco e infingardo autore di tatuaggi, un ruolo tutto sommato usuale per le sue corde ma rivisitato con saggia mescolanza di humour nero e causticità. Da applauso, inoltre, le perfomance di tutti gli attori lituani che hanno prestato i loro volti per i ruoli dei ragazzi che sono effettivamente l’autentico perno attorno a cui gira questo corollario di amicizie spezzate, furori incontrollabili, malefatte necessarie e necessità di affermazione secondo una legge che assomiglia assai a quella del taglione. Musiche di Mauro Pagani, flautista e violinista che in passato militò nella PFM. Stupenda fotografia (Italo Petriccione) che ritrae i paesaggi siberiani in un maestoso inverno e un oculato montaggio (Massimo Fiocchi) in grado di mostrare al tempo stesso la poesia dei sentimenti e la cruda ferocia figurativa delle sequenze più accese e movimentate. È anche un modo sicuramente utile e proficuo per conoscere un regista premio Oscar che, a quanto sembra, ha ancora molte carte da giocare e un immenso bagaglio di conoscenze tecniche e artistiche da mettere a disposizione di un pubblico sempre più esigente.
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dario
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lunedì 29 giugno 2015
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didascalico
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E' un impegno accennato, mai concluso, Impossibile, del resto: la sensibilità di Salvatores non coincide con le esigenze della storia. Il regista è superficiale e quando rimane nella superficialità funziona più che discretamente, quando, invece, vuole andare più in profondità rimane ancora più in superficie, beandosi dell'annuncio e pazienza per lo sviluppo. Malkovich bravo ma caricaturale. Bravi anche gli altri, ma figurine. Lentezza esaperante, salti di qua e di là con poca logica.
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iuriv
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sabato 8 novembre 2014
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gelido come la russia
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Salvatores adatta uno dei più grossi successi editoriali degli ultimi anni, proponendo un film ben girato, con una fotografia che riesce a sottolineare le ambientazioni e con qualche piccola sequenza ad effetto qua e la. Il messaggio di questa pellicola, che spinge molto sui valori profondi della società contrapposti alla facile ebrezza del denaro, passa senza fare fatica attraverso lo schermo.
Risultato raggiunto quindi? No. Se questo lavoro,da un punto di vista morale, il suo scopo lo ottiene, quello che non riesce a fare è emozionare; o almeno non me.
La trama verte sul rapporto tra Kolima, giovane criminale allevato dal nonno secondo un codice rigidissimo e sostanzialmente basato sul rispetto dei deboli, e Gagarin, amico d'infanzia cresciuto in carcere, dal quale è uscito deviato ed egoista.
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Salvatores adatta uno dei più grossi successi editoriali degli ultimi anni, proponendo un film ben girato, con una fotografia che riesce a sottolineare le ambientazioni e con qualche piccola sequenza ad effetto qua e la. Il messaggio di questa pellicola, che spinge molto sui valori profondi della società contrapposti alla facile ebrezza del denaro, passa senza fare fatica attraverso lo schermo.
Risultato raggiunto quindi? No. Se questo lavoro,da un punto di vista morale, il suo scopo lo ottiene, quello che non riesce a fare è emozionare; o almeno non me.
La trama verte sul rapporto tra Kolima, giovane criminale allevato dal nonno secondo un codice rigidissimo e sostanzialmente basato sul rispetto dei deboli, e Gagarin, amico d'infanzia cresciuto in carcere, dal quale è uscito deviato ed egoista. Il confronto tra i due, accompagnato dall'irrompere della bella ma inferma di mente Xenja, dovrebbe rappresentare uno strappo emotivo potente al punto da essere esso stesso il vero motore della storia.
Solo che la cosa è gestita in maniera troppo fredda. Studiato su tre piani temporali differenti intersecati assieme, questo lavoro risulta un po' frammentato. Ma il problema principale non è questo, perché comunque non si perde mai l'orientamento.
Un punto dolente sta nella scarsa resa del rapporto tra nonno e nipote, che dovrebbe invece fare la differenza nel modo di approcciarsi alla vita di Kolima rispetto all'amico. Ma ancora non basta a capire cosa non funziona.
Certo, Malkovic non apre in grandissima forma ed è un peccato perchè il suo ruolo è determinante e forse Tomlinson carica un po' troppo la sua donna bambina per risultare credibile. Ma il problema non è nemmeno la recitazione secondo me.
Il guaio vero è il tratteggio dei caratteri che i vari attori portano sullo schermo. Solo per fermarmi ai due principali, si può notare come Kolima sia troppo sicuro del valore di ciò che ha imparato e di come nemmeno il ritorno del ribelle Gagarin riesca a mettere il seme del dubbio in ciò a cui crede. Un comportamento decisamente granitico per un ragazzo di vent'anni. Dall'altra parte, la disperazione autodistruttiva del biondo G. è anch'essa privata di dubbi o ragionamenti. I due non mettono mai in discussione se stessi, cosa che avrebbe potuto regalare alla sceneggiatura qualche momento di scontro in più e avrebbe quantomeno avvicinato me alla storia di questi amici-nemici.
In questo contesto così netto, il climax finale appare onestamente falso e anche se ci dice quello che vuole dirci, lo fa in maniera plasticosa, quasi forzando la storia a finire in un certo modo.
Non ho letto il libro di Lilin, ma ne ho sentito parlare come di un lavoro piuttosto crudo e diretto. Qui questo manca; molti personaggi secondari sembrano macchiette e persino il senso dei tatuaggi, che da quanto ho capito è una caratteristica fondamentale del romanzo, qui da l'idea di essere stato inserito perchè era da fare.
Insomma, la mia impressione è di aver visto un film poco sentito dal regista, più concentrato, forse, a dipingere la Russia post Unione Sovietica che ad andare dritto al punto del racconto.
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gianleo67
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domenica 30 marzo 2014
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quei bravi ragazzi...dalle parti di vilnius
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Storia di due ragazzi cresciuti come fratelli in una famiglia di criminali appartenenti al clan dei 'Siberiani', deportati durante il regime stalinista nelle impervie e ostili regioni della Siberia occidentale, ma diversi per indole e rispetto per le rigide regole della comunità malavitosa. Dal loro apprendistato criminale negli anni '80 alla loro adolescenza durante la caduta del muro di Berlino e la disgregazione dell'impero sovietico, le loro strade si dividono inesorabilmente fino ad una drammatica resa dei conti alla fine degli anni '90 dove l'uno dovrà lavare col sangue dell'altro l'oltraggio subito da una creatura innocente e indifesa...
Dal soggetto del fenomeno editoriale dello scrittore italo-russo Nicolai Lilin e sulla sceneggiatura di melodrammatica epica romanzesca della premiata ditta Rulli&Petraglia, il Salvatores del cinema nazionale (a volte di fatto e più spesso solo di nome), trae questa roboante e buonista epopea familiare in salsa tartara, coniugando da un lato i clichè e la retorica finto nostalgica dei modelli scorsesiani di riferimento e dall'altro la inattendibilità storica e culturale di una dimensione familiare ed antropologica mille miglia lontana dalle ragioni e dalla realtà delle comunità criminali che infestavano la 'purezza' ideologica e l'imperio istituzionale della 'Grande Madre Russia' ai tempi del regime stalinista (baste leggere i pochi riferimenti di Salamov sulla natura di spietati 'rubagalline' di questa genie di criminali nei suoi 'Racconti della Kolima').
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Storia di due ragazzi cresciuti come fratelli in una famiglia di criminali appartenenti al clan dei 'Siberiani', deportati durante il regime stalinista nelle impervie e ostili regioni della Siberia occidentale, ma diversi per indole e rispetto per le rigide regole della comunità malavitosa. Dal loro apprendistato criminale negli anni '80 alla loro adolescenza durante la caduta del muro di Berlino e la disgregazione dell'impero sovietico, le loro strade si dividono inesorabilmente fino ad una drammatica resa dei conti alla fine degli anni '90 dove l'uno dovrà lavare col sangue dell'altro l'oltraggio subito da una creatura innocente e indifesa...
Dal soggetto del fenomeno editoriale dello scrittore italo-russo Nicolai Lilin e sulla sceneggiatura di melodrammatica epica romanzesca della premiata ditta Rulli&Petraglia, il Salvatores del cinema nazionale (a volte di fatto e più spesso solo di nome), trae questa roboante e buonista epopea familiare in salsa tartara, coniugando da un lato i clichè e la retorica finto nostalgica dei modelli scorsesiani di riferimento e dall'altro la inattendibilità storica e culturale di una dimensione familiare ed antropologica mille miglia lontana dalle ragioni e dalla realtà delle comunità criminali che infestavano la 'purezza' ideologica e l'imperio istituzionale della 'Grande Madre Russia' ai tempi del regime stalinista (baste leggere i pochi riferimenti di Salamov sulla natura di spietati 'rubagalline' di questa genie di criminali nei suoi 'Racconti della Kolima').
Cinema dal piglio moraleggiante e dal sentimentimentalismo a buon mercato, il film di Salvatores costruisce con l'artifizio predicatorio della voce narrante e con le ellissi di un montaggio che instaura la classica dialettica tra i tempi del racconto di una boriosa epica familiare (dagli insegnamenti dell'infanzia alla pratica criminale dell'età adulta e ritorno) un piccolo melodramma avventuroso dove tanto scontate e superficiali appaiono le premesse del furore ideologico e identitario di un malinteso codice d'onore quanto gli esiti di una trama che tra incomprensibili scarti temporali e frammentarietà narrativa finisce per affastellare una serie di luoghi comuni del 'racconto di formazione' privi tanto di attendibilità psicologica quanto di una reale presa emotiva sullo spettatore (dal carismatico capoclan di feroce saggezza al nipote-apprendista riflessivo e spietato, dall'amico-fratello insofferente alla disciplina ed alle regole alla vittima designata quale fragile agnello sacrificale in una tana di lupi feroci). Non fosse solo per le incongruenze di un racconto che precipita in un finale di premesse troppo esigue (si uccide un 'fratello' per vendicare la morte di una 'sorella' o per la semplice contravvenzione al codice d'onore?) o per la retorica buonista dell'etica criminale (se sono criminali un motivo ci sarà pure!), il film di Salvatores indugia oltremodo su di un registro calligrafico di irritante presunzione quanto sulle facili metafore zoologiche di scene madri al 'frame rate' tra colombe svolazzanti e lupacchiotti fuoriusciti dal branco. Tra casting internazionale (Malcovic e Stormare per 'le physique du rôle') e giovani attori tanto alloctoni quanto sconosciuti un esempio, peraltro modesto, di provincialismo cinematografico made in Italy.
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stefano bruzzone
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lunedì 24 marzo 2014
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incomprensibile
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non ho letto il libro ma chi l'ha fatto evidenzia un tale stravolgimento nell'addattamento cinematografico di Salvatores da ribaltare la storia in maniera importante. forse non l'ho capito o forse per capire un film del genere bisognerebbe documentarsi prima, ma il cinema deve regalare emozioni e non noia e cmq, anche se tratto da una storia complessa, la trasposizione cinematografica deve dar modo a tutti di entrare nella storia e comprendere appieno il messaggio che il regista vuole dare. io tutto questo non l'ho capito.
Voto: 5
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francesco2
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giovedì 20 marzo 2014
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la deriva di un regista
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Qualunque cosa si pensi di "Mediterraneo" e del relativo Oscar, quello era un cinema ancora nelle sue corde: da vent'anni, da quando -Giustamente- ha cercato di crescere e fare altro, mi pare non ne azzecchi più una. Mi viene perfino voglia di rivalutare il "televisivo" "Quo vadis, baby"?.
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nexus
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mercoledì 29 gennaio 2014
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siamo anche noi poveri/ricchi come loro?
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E’ una comunità che rispetta profondamente (e tramanda) valori ormai “in disuso” nella nostra società liquida.
L’amicizia, la cura, la protezione e la custodia dei membri più deboli della comunità (Ksenia), il distacco dal denaro in quanto considerato sempre un mezzo e mai un fine, il disprezzo per la droga.
Ogni membro sente l’appartenenza alla propria comunità per cui si adopera per essa e per difendere e preservare le sue leggi.
In cambio riceve sostegno ed alimento alla propria identità ed appartenenza.
E’ una comunità povera ma probabilmente molto più “ricca” di quel che appaia pur con tutti i problemi e le contraddizioni del vivere quotidiano.
La nostra società è forse nella condizione opposta?
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pier delmonte
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giovedì 23 gennaio 2014
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bene che sia stato fatto
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ecco, con salvatores non sai mai dove andare a parare e devo dire che all'nizio ho pensato "ma guarda 'sto salvatores in che faccenda si e' cacciato!!" ed e' un punto a suo favore e dico anche, pur non essendo un siberiano o russo, che il film regge e anche i suoi personaggi, e la scena della giostra mi ha anche emoxionato, comunque l'architettura filmica mi sembra perfetta e non era facile
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