olgadik
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sabato 14 maggio 2011
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loach e la guerra
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In apparenza negli ultimi film Ken Loach sembrava più pacificato con il suo risentito impegno sociale e, pur non abbandonando né il cinema di realtà né una chiara posizione politica, si era dedicato più a fondo all’analisi socio-psicologica dei suoi personaggi, con una vena di ironia e poesia (vedi “Paul, Mitck e gli altri” o “Il mio amico Eric”). Oggi lo ritroviamo a parlare di guerra come crimine che si porta dietro tanti altri elementi feroci e illegali, sui quali uno come lui non può tacere. Uno di questi è l’esistenza dei cosiddetti “contractors”, i quali, al soldo di potenti privati, altro non sono che mercenari.
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In apparenza negli ultimi film Ken Loach sembrava più pacificato con il suo risentito impegno sociale e, pur non abbandonando né il cinema di realtà né una chiara posizione politica, si era dedicato più a fondo all’analisi socio-psicologica dei suoi personaggi, con una vena di ironia e poesia (vedi “Paul, Mitck e gli altri” o “Il mio amico Eric”). Oggi lo ritroviamo a parlare di guerra come crimine che si porta dietro tanti altri elementi feroci e illegali, sui quali uno come lui non può tacere. Uno di questi è l’esistenza dei cosiddetti “contractors”, i quali, al soldo di potenti privati, altro non sono che mercenari. Essi in realtà sono pagati profumatamente per compiere azioni di morte con cui i loro padroni (le varie corporation) non si sporcano le mani. Si tratta perlopiù di uomini corrotti nel profondo che, tornati nei loro paesi, spesso importano violenza, mentre si parla, da parte dei loro padroni, di democrazia da esportare per mezzo della guerra. Ma a questa tematica Loach ha voluto mescolare quella dell’amicizia e della vendetta per la morte dell’amico più caro, tema trattato quasi come un thriller, dove alla fine importa soprattutto trovare il colpevole, cosa che stravolge il senso di tutto il resto. Ci si trova perciò davanti a un mancato approfondimento del problema generale, per ripiegare su un racconto più individuale e un po’ scontato nelle modalità narrative. Non siamo di fronte a un film banale o scolorito; Loach è un grande e la macchina da presa per lui non ha segreti, quindi il ritmo, la fotografia, le inquadrature semplici e raffinate, un certo malinconico simbolismo del paesaggio sul lago, le scene della tortura, forti ma non compiaciute, sono brani degni di lui. Ma nell’insieme il film non convince, poiché la parte che aspira a essere documento è già vista, con le riprese, prima e durante, di quello che il conflitto voluto da Bush e compagni in Iraq ha provocato. In quanto al personaggio principale, le sue ricerche sulla fine dell’amico danno di lui stesso un’immagine sempre peggiore, via via che si avvicina alla verità. Essa quindi non è liberatoria perché dimostra che il marcio della guerra gli è ormai passato dentro, tanto da portare al suicidio. L’uomo infatti, che nel frattempo si è innamorato della compagna dell’amico, non può più sopportare se stesso e ha coscienza dell’impossibilità di cambiare. In poche righe la trama. I fatti prendono l’avvio da Routhe Irish, la strada più pericolosa del pianeta, collocata in Iraq. Lì Frank, che l’amico Fergus ha convinto ad accettare l’incarico di contractor, pagato con ben diecimila dollari al mese, si trova ad essere testimone scomodo della strage di una famiglia locale. Perciò viene eliminato. A quel punto Fergus, tornato a Liverpool, non avrà pace fino a che non ricostruirà le vere circostanze della morte, al di là delle frasi rituali usate ufficialmente dai superiori. “Al momento sbagliato nel posto sbagliato”, ecco la formula che non spiega nulla. Cosa è successo davvero Fergus lo scoprirà, con i metodi appresi come mercenario, torturando quello che crede il colpevole. Davanti a poteri forti e subdoli che sfuggono spesso a noi per ignoranza e ad altri perché girano altrove lo sguardo, volutamente, che cosa poteva fare Ken Loach se non un film? Egli usa infatti le uniche armi che possiede, la passione politica e la cinepresa. E forse poco importa che il film non sia uno dei migliori.
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reservoir dogs
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lunedì 9 maggio 2011
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docu-dramma d
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Fergus (Womack) poco convinto delle dinamiche della morte dell'amico Frank (Bishop), morto in un esplosione nella Route Irish, una delle strade dell'Iraq tra le più pericolose al mondo, decide di indagare sul fatto con l'aiuto della vedova (Lowe).
Dopo una fugace attenzione al mondo della commedia drammatica (vedi Il mio amico Eric), che segnava la sua opera più matura, Ken Loach posa il suo sguardo documentaristico nel mondo mercenario della guerra.
Attraverso uno stile asciutto, scarno, caratteristico dei suoi film-inchiesta, il regista irlandese sposta l'attenzione dal consueto sottoproletariato inglese (Riff Raff, Paul, Mick e gli altri) ad una condizione omertosa, fatta di profitto e morte; si passa dall'Iraq al Darfur perché "In Iraq non c'è futuro".
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Fergus (Womack) poco convinto delle dinamiche della morte dell'amico Frank (Bishop), morto in un esplosione nella Route Irish, una delle strade dell'Iraq tra le più pericolose al mondo, decide di indagare sul fatto con l'aiuto della vedova (Lowe).
Dopo una fugace attenzione al mondo della commedia drammatica (vedi Il mio amico Eric), che segnava la sua opera più matura, Ken Loach posa il suo sguardo documentaristico nel mondo mercenario della guerra.
Attraverso uno stile asciutto, scarno, caratteristico dei suoi film-inchiesta, il regista irlandese sposta l'attenzione dal consueto sottoproletariato inglese (Riff Raff, Paul, Mick e gli altri) ad una condizione omertosa, fatta di profitto e morte; si passa dall'Iraq al Darfur perché "In Iraq non c'è futuro".
Il rapporto di sangue che i due "contractors" avevano sin da giovani fa si che la mancanza di consolazione faccia posto al senso di colpa sino ad arrivare ad una "forzata" vendetta e una completa simbiosi, sia nelle scelte che nelle donne.
Nel docu-dramma si alternano nella fotografia di Chris Menges, immagini "sgranate" da reportage di un passato perduto e plumbee tonalità grigio-azzurre del tormentato presente.
Giunti alla verità si prende coscienza che forse la realtà è un altra: La denuncia sociale è l'elemento che rende il regista identificabile indipendentemente dall'argomento trattato e dall'evoluzione che egli compie; il mutare restando perfettamente radicati all'originale visione del movimento Free Cinema, caratterizzato da "appassionate requisitorie contro la repressione e la violenza delle istituzioni" (Bernardi).
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(di reservoir dogs)
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