laulilla
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giovedì 7 gennaio 2010
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contro l'imbarbarimento delle coscienze
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La vicenda tragica del piccolo Bilal si ripete, più o meno simile, ogni giorno sulle coste più meridionali dell'Europa, perché tutti i governi si sono affrettati a darsi leggi sufficientemente restrittive e disumane per tranquillizzare le pavide coscienze dei nostri pavidissimi concittadini. Il fatto è che voltarci dall'altra parte per non vedere gli orrori che si affollano alle nostre porte ci rende ogni giorno più duri e incapaci di "compassione", nell'etimologico significato del patire insieme, e perciò ci priva ogni giorno di quell'umana pietà che è rispetto per il nostro prossimo più debole e meno fortunato.
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La vicenda tragica del piccolo Bilal si ripete, più o meno simile, ogni giorno sulle coste più meridionali dell'Europa, perché tutti i governi si sono affrettati a darsi leggi sufficientemente restrittive e disumane per tranquillizzare le pavide coscienze dei nostri pavidissimi concittadini. Il fatto è che voltarci dall'altra parte per non vedere gli orrori che si affollano alle nostre porte ci rende ogni giorno più duri e incapaci di "compassione", nell'etimologico significato del patire insieme, e perciò ci priva ogni giorno di quell'umana pietà che è rispetto per il nostro prossimo più debole e meno fortunato. Degli stranieri, ormai cogliamo sempre più solo un'identità indistinta, in cui si mescolano buoni e meno buoni, perché tutti ci paiono insidiare le nostre certezze, il nostro benessere, la tranquillità della nostra vita privata. Ben vengano, perciò, film che, come questo, costruiscono non una storia di immigrazione, ma la personale vicenda di un immigrato, che ha, come giovane, sogni e desideri simili a quelli dei suoi coetanei europei. L'individuazione, che è propria dell'arte, ci dà nella figura di Bilal, un' immagine assolutamente e profondamente vera del dolore e delle sofferenze che ogni migrante porta con sé, perché l'unicità di ogni singolo individuo è anche unicità della individuale sensibilità, che non può sopportare a lungo di essere umiliata, ferita, offesa nella dignità. Il "folle volo" di Bilal, che a costo della vita attraverserà a nuoto la Manica, ci dice che anche un giovane e sconosciuto curdo è capace di amare fino al sacrificio di sé, poiché esistono in tutti, quindi anche nei "diversi", quei sentimenti di tenerezza e di dedizione di cui i giovani sono capaci.
I pochi che hanno questa capacità di comprendere e di dare concretamente la loro solidarietà, nel film come nella realtà di ogni giorno, vengono perseguitati dalle leggi e perciò dalla polizia, isolati dai colleghi di lavoro e dai vicini di casa, quegli stessi che sullo zerbino d'ingresso del loro pulito e tranquillo appartamento hanno la scritta "Welcome"!
Il film è molto bello, essenziale nella sua denuncia, tenerissimo nella descrizione del rapporto di Bilal col suo maestro di nuoto, privo di enfasi retorica. Efficace l'interpretazione degli attori, superba quella di Lindon
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clavius
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giovedì 7 gennaio 2010
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"io è un altro" a. rimbaud
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Un film che parte come una denuncia sociale alla Ken Loach per assumere la forma del cinema intimista tipicamente francese. Da un lato il racconto delle condizioni di vita disumane dei migranti braccati anche nella laica e democratica Francia da una legislazione discriminante. Dall'altro la storia commovente di uomini che crescono e cambiano quando scoprono l'altro da sè. Si tratta di una pellicola piena di suggestioni, dove le immagini vengono perfettamente contrappuntate da una musica evocativa e dolente, dove i personaggi (scritti meravigliosamente) emergono in tutta la loro umanità, soli ed incompresi ma capaci di sognare imprese impossibili o di cambiare radicalmente il loro sguardo sul mondo.
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Un film che parte come una denuncia sociale alla Ken Loach per assumere la forma del cinema intimista tipicamente francese. Da un lato il racconto delle condizioni di vita disumane dei migranti braccati anche nella laica e democratica Francia da una legislazione discriminante. Dall'altro la storia commovente di uomini che crescono e cambiano quando scoprono l'altro da sè. Si tratta di una pellicola piena di suggestioni, dove le immagini vengono perfettamente contrappuntate da una musica evocativa e dolente, dove i personaggi (scritti meravigliosamente) emergono in tutta la loro umanità, soli ed incompresi ma capaci di sognare imprese impossibili o di cambiare radicalmente il loro sguardo sul mondo. Vincent Lindon è semplicemente straordinario nel dare corpo al suo personaggio, una interpretazione intensissima, una presenza scenica massiccia, una grande prova d'attore.
Nelle sue sfumature sentimentali il film non è mai banale, mai retorico nè melenso. Una storia matura su sentimenti ed ingiustizie, su occasioni mancate o slanci ideali falliti, sulla riscoperta di sè attraverso gli altri.
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sassolino
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mercoledì 16 dicembre 2009
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il confine della realtà
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Un mare gonfio di acque scure, una striscia di sabbia che si protrae all'infinito sotto lo sgaurdo ceruleo di una nebbia di confine, questa è Calais, ultima spiaggia prima della felicità.
Lui è un ragazzo iracheno, neanche 18 anni, gli occhi tristi di chi non ha mia visto un cielo azzurro, braccia forti e tanta disperata testardaggine, quella che lo porterà ad attravesare la manica a nuoto. Per cosa? un amore, forse l'unico della sua vita, cosi' lontano eppure cosi' vicino.
L'altro è il 50 enne Vincent Lindon, istruttore di nuoto con tanto disincanto, una moglie troppo giovane che lo sta lasciando e un incolmabile senso di vuoto.
Si affezionerà il robusto Vincent a questo ragazzo, vedrà in lui il 18 enne che non è mai stato, colui che troppo inconscientemente tenetrebbe un'impresa cosi' impari, mentre l'altro, come dice testualemnte "non ha avuto nemmeno il coraggio di attraversare la strada per riprendere la propria moglie".
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Un mare gonfio di acque scure, una striscia di sabbia che si protrae all'infinito sotto lo sgaurdo ceruleo di una nebbia di confine, questa è Calais, ultima spiaggia prima della felicità.
Lui è un ragazzo iracheno, neanche 18 anni, gli occhi tristi di chi non ha mia visto un cielo azzurro, braccia forti e tanta disperata testardaggine, quella che lo porterà ad attravesare la manica a nuoto. Per cosa? un amore, forse l'unico della sua vita, cosi' lontano eppure cosi' vicino.
L'altro è il 50 enne Vincent Lindon, istruttore di nuoto con tanto disincanto, una moglie troppo giovane che lo sta lasciando e un incolmabile senso di vuoto.
Si affezionerà il robusto Vincent a questo ragazzo, vedrà in lui il 18 enne che non è mai stato, colui che troppo inconscientemente tenetrebbe un'impresa cosi' impari, mentre l'altro, come dice testualemnte "non ha avuto nemmeno il coraggio di attraversare la strada per riprendere la propria moglie".
Un film diretto, spietato, che indaga con precisione entomologica le ipocrisie e le intolleranze della middle class francese, cosi' angusta da nascondere tutto il perbensimo di facciata sotto un banale zerbino con la scritta Weclome.
Benvenuti all'inferno verrebbe da dire, se per conquistare un po di cielo c'e' di mezzo troppo mare.
Un mare che diventa Melvilliano, insondabile, inattrevrasbile, troppo fondo e oscuro per poterlo domare razionalmente.
Da cinefilo ho ripensato ai film di Marcel Carné, bellissimi, disperati, in cui al centro di storie minime c'era lui, Jean Gabin, un uomo di gesso dal viso paonazzo in cerca di un suo posto, cosi' come Bilal, il giovane iracheno in cerca d'Inghilterra, con una storia semplice, un unico desiderio, la felicità.
Da spettatore ho respinto le mareggiate, annusato gli odori della spiaggia dura e ferma,
ho accennato qualche sorriso, ho sperato che alla fine quel bullo di Vincent Lindon capisse che nella vita è importante fare un atto d'amore, perché certe cose ci cambiano dentro, ci smuovono qualcosa e se questo il cinema riesce a dimostratrlo per me è grande cinema!
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alespiri
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sabato 2 gennaio 2010
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ombre e luci dell'"altro" che è dentro di noi
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Bilal e Simon. Il primo è un giovane curdo diciassettenne che ha percorso 4000km a piedi prima di giungere al confine con la "civilta" per inseguire i suoi sogni ed il suo amore, il secondo è un uomo di mezza età con un compassato dolore negli occhi che non è stato capace di attraversare la strada per giungere al cuore della moglie da cui si è appena separato. Tutti e due inseguono l'amore perduto. Simon, specchiandosi nell'ardore e la tenacia del ragazzo, ritroverà l'altra parte di se stesso e la capacità di "essere" in un mondo in cui tutti appaiono esistere nel grigio di una quotidianità che rinchiude in un guscio da cui si è incapaci, a volte inconsapevolmente, di guardare l'altro, anche quello che è dentro di noi.
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Bilal e Simon. Il primo è un giovane curdo diciassettenne che ha percorso 4000km a piedi prima di giungere al confine con la "civilta" per inseguire i suoi sogni ed il suo amore, il secondo è un uomo di mezza età con un compassato dolore negli occhi che non è stato capace di attraversare la strada per giungere al cuore della moglie da cui si è appena separato. Tutti e due inseguono l'amore perduto. Simon, specchiandosi nell'ardore e la tenacia del ragazzo, ritroverà l'altra parte di se stesso e la capacità di "essere" in un mondo in cui tutti appaiono esistere nel grigio di una quotidianità che rinchiude in un guscio da cui si è incapaci, a volte inconsapevolmente, di guardare l'altro, anche quello che è dentro di noi. Non riconoscendo l'altro lo temiamo come una cosa oscura , profonda, inattraversabile, con cui non ci si puo' confrontare..Come un canale di mare, La Manica, che separa i mondi del possibile. Bilal ci proverà per amore, per raggiungere la sua Mina in Inghilterra(intanto promessa per procura ad un altro sposo dal padre) , attraversando quel canale a nuoto e questo basterà per credere che un altro mondo è possibile.
Una tematica attuale e irrisolta quella dell'integrazione con culture diverse che in questo film raggiunge toni di denuncia sociale verso una Francia tornata nell'oscurantismo con una legge che punisce fino a 5 anni chi protegge i clandestini, o gli fornisce ospitalità e aiuto, che li marchia come nei campi di concentramento, al loro arrivo. A volte ci si puo' perdere nell'attraversare l'altro per comprenderlo, ma è un viaggio che vale la pena di essere vissuto. Siamo tutti sullo stesso pianeta, e la distribuzione della ricchezza è nelle mani di pochi, non occorre guardare troppo lontano per vedere a cosa ci porterà tutto questo se non apriremo le porte verso chi ha meno di noi, se non cercheremo di capire che la conoscenza, il confronto, sono alla base della crescita di ogni uomo.
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mary22
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giovedì 7 gennaio 2010
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un bel ritratto
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Mi è piaciuto del film il ritratto dell'audace ragazzino, puro di cuore ma anche a malincuore consapevole della realtà che lo circonda. La sua freschezza e il suo progetto sanno di voglia di libertà in un contesto dove è proprio questa ad essere preclusa.
Non vende l'anello per pagare un trafficante, come il suo compagno che ruba per farlo. Non regge un viaggio in camion respirando da un sacchetto di plastica. Conta su se stesso , sulla sua energia fisica e mentale e sa nutrire sentimenti disinteressati in un mondo abbrutito da condizionamenti di ogni sorta.Ho trovato bellissima la scena del trainer Lindon che mentre allena ragazzi francesi,che si rivolgono a lui per avere o meno conferme su come procedono, ricorda la stessa richiesta fatta dal ragazzo curdo, ma con quella luce pura ed innocente negli occhi che sa di affidamento, perchè la sua non è una "narcisistica" voglia di imparare ma è dettata da un bisogno più profondo, sorretto da una sua causa.
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Mi è piaciuto del film il ritratto dell'audace ragazzino, puro di cuore ma anche a malincuore consapevole della realtà che lo circonda. La sua freschezza e il suo progetto sanno di voglia di libertà in un contesto dove è proprio questa ad essere preclusa.
Non vende l'anello per pagare un trafficante, come il suo compagno che ruba per farlo. Non regge un viaggio in camion respirando da un sacchetto di plastica. Conta su se stesso , sulla sua energia fisica e mentale e sa nutrire sentimenti disinteressati in un mondo abbrutito da condizionamenti di ogni sorta.Ho trovato bellissima la scena del trainer Lindon che mentre allena ragazzi francesi,che si rivolgono a lui per avere o meno conferme su come procedono, ricorda la stessa richiesta fatta dal ragazzo curdo, ma con quella luce pura ed innocente negli occhi che sa di affidamento, perchè la sua non è una "narcisistica" voglia di imparare ma è dettata da un bisogno più profondo, sorretto da una sua causa.E che trova un riconoscimento nell'allenatore, che ha perso quella voglia di vivere. Non sono d'accordo sul fatto che è un film tipicamente francese o che si addentra in una mordente denuncia sociale "alla Loach". In un vago e,a mio parere,un po' retorico punto di vista sul sociale, emerge in primo piano il ritratto di due individualità che si incontrano. E rimane,tragicissimo, il destino di una figura troppo pura per sopravvivere. Ottimi i due attori.In particolare il ragazzo è superlativamente commovente.
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olgadik
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martedì 12 gennaio 2010
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altro che welcome!
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Opera complessa e scabra questa di Philippe Lioret che alla denuncia gridata sostituisce la scelta di far parlare i fatti e le immagini, sottolineati da una colonna sonora che è graffiante rumore o musica sentimentale quando il discorso tocca emozioni rattenute ma profonde. Due i nuclei della riflessione che il regista propone. Primo, la xenofobia, la durezza dei controlli per impedire a gente in fuga da guerre o povertà di varcare i nostri confini, la mancanza di umanità delle leggi. Secondo, l’incontro tra persone diversissime, entrambe sole, uno di quegli incontri che cambiano la vita.
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Opera complessa e scabra questa di Philippe Lioret che alla denuncia gridata sostituisce la scelta di far parlare i fatti e le immagini, sottolineati da una colonna sonora che è graffiante rumore o musica sentimentale quando il discorso tocca emozioni rattenute ma profonde. Due i nuclei della riflessione che il regista propone. Primo, la xenofobia, la durezza dei controlli per impedire a gente in fuga da guerre o povertà di varcare i nostri confini, la mancanza di umanità delle leggi. Secondo, l’incontro tra persone diversissime, entrambe sole, uno di quegli incontri che cambiano la vita. In gioco ci sono quindi comportamenti collettivi e rapporti individuali. Sui primi non scatta la propaganda, non si fanno prediche sui buoni sentimenti: basta la quotidianità con le sue durezze e viltà a far capire come stanno le cose. Sui secondi non ci sono complicate analisi psicologiche ma l’evolvere naturale, umanissimo, di un’amicizia che sembra all’inizio quasi afasica. Oltre questa dialettica per cui problemi dei singoli si pongono sullo sfondo di dolori non individuali, c’è un altro elemento che rende questo film riuscito e coinvolgente. Mi riferisco all’interpretazione degli attori, tra tutti a quella di Vincent Lindon, che dimostra un talento portentoso e naturale, a partire da quella faccia di francese del Nord, di pelo rosso, con i grandi occhi verdi affondati nelle pieghe di un viso triste. Un esistere grigio che però via via si riempie di espressività col procedere della crescita umana del personaggio. Infine vorrei citare la scelta stilistica del luogo: Calais è una terra che si varca per raggiungere un’isola dopo aver attraversato quasi tutta l’Europa da parte dei sans-papier, ultimo approdo prima di raggiungere l’agognata Itaca. In realtà il luogo è ferrigno, tra sabbia, acqua, moli, andirivieni di traghetti carichi di tir, che spesso nascondono quel carico umano in attesa di un’occasione per passare di nascosto in condizioni insostenibili. Tale realtà è presentata con i toni del grigio e dell’azzurrino, colori spenti, quasi non colori che ben s’addicono a una ripresa in cinema-scope fredda e straniante. La città, una normale città di provincia francese, è spesso sorda ai bisogni dell’ “altro”, ma è anche sollecita in alcune frange, come dimostra l’opera dei volontari che sfamano i clandestini alla sera sul molo.
Né è retorico versare qualche lacrima in sala quando sulle scene che ci scorrono davanti riconosci la complessità del reale e la necessità che ciascun individuo (e non solo la società) abbandoni la cattiva coscienza e la difesa del proprio orto personale dove crescono “piante” comuni al sentire di ogni essere umano.
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cunizza
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sabato 2 gennaio 2010
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introspettivo
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Confesso la mia ignoranza: non immaginavo che la vita di un clandestino in Francia fosse così disperata e che gli aiuti dei volontari per offrire loro un pasto caldo ed un sorriso fosse...fuori legge! Questo è un film che attraverso le immagini crude e realistiche ti fa vergognare delle tue lamentele quotidiane quando valori essenziali, quali il cibo, la pulizia, un tetto sotto cui dormire, ma soprattutto diritti imprescindibili, come il rispetto, l'umanità, la fiducia e la relazione col prossimo, ti vengono negati. E' questa la situazione del protagonista diciasettenne curdo del film, che rivela una caparbietà ed una volontà inimmaginabile, che potrebbero essere di lezione per tanti coetanei europei (senza andare troppo lontano, mio figlio).
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Confesso la mia ignoranza: non immaginavo che la vita di un clandestino in Francia fosse così disperata e che gli aiuti dei volontari per offrire loro un pasto caldo ed un sorriso fosse...fuori legge! Questo è un film che attraverso le immagini crude e realistiche ti fa vergognare delle tue lamentele quotidiane quando valori essenziali, quali il cibo, la pulizia, un tetto sotto cui dormire, ma soprattutto diritti imprescindibili, come il rispetto, l'umanità, la fiducia e la relazione col prossimo, ti vengono negati. E' questa la situazione del protagonista diciasettenne curdo del film, che rivela una caparbietà ed una volontà inimmaginabile, che potrebbero essere di lezione per tanti coetanei europei (senza andare troppo lontano, mio figlio). Ho trovato anche magistrale l'interpretazione di Vincent Lindon, criticata dai miei amici come troppo statica e giudicata da me invece, come riflessiva e ponderata; tipica di un individuo che possiede molteplici sentimenti ma che non sa esprimerli al momento giusto e quindi viene tacciato di superficialità. E' da tener presente che è un istruttore di nuoto dal glorioso passato , e che la dura vita sportiva agonistica, porta a un'autodisciplina notevole che cammina paripasso con i successi sul podio. Non sono d'accordo con chi vede la ... nuova umanità di Lindon un modo per avvicinarsi alla sua ex moglie, o che lei stessa sia stata l'ispiratrice, quanto invece un'apertura mentale e sentimentale dovuta al dolore profondo ed interiore che egli prova per il suo divorzio, apertura nel vero senso della parola, breccia che lascia il cuore scoperto, capace di percepire e SENTIRE, finalmente spoglio della spessa corteccia che la quotidianità ha stratificato.
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jaky86
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mercoledì 23 febbraio 2011
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welcome??sicuri??
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Un film assolutamente indimenticabile ed emozionante. Una dura denuncia contro le leggi sull'immigrazione introdotte da Sarkozy, dove nel nord della Francia si diventa criminali se si aiuta un clandestino ad avere una vita decente. Interpretazione toccante di Lindon e cinema francese sempre più su!
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angelo umana
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lunedì 8 marzo 2010
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a nuoto verso l'amore
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Bilal, 17enne curdo arriva a Calais dopo un viaggio di 3 mesi per raggiungere la sua ragazza Mina a Londra, curda pure lei. A Calais realizza che sia le autorità francesi sia quelle del Regno Unito ostacolano con ogni mezzo la traversata ai "sans papières" (senza documenti) anche perseguendo chi cerca di aiutarli; non vede altro mezzo che raggiungere la meta a nuoto. Per farlo impara a nuotare e si allena per la traversata in una piscina francese; l'istruttore, ex campione di nuoto, diventa complice della determinazione del ragazzo, lo considera quasi un figlio che diventa un pò sua ragione di vita. I "potenti mezzi" della Royal Navy faranno sì che il ragazzo venga bloccato a 800 metri dalle coste di Dover, dopo 10 ore a nuoto, e reso alla Francia in un sacco di plastica.
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Bilal, 17enne curdo arriva a Calais dopo un viaggio di 3 mesi per raggiungere la sua ragazza Mina a Londra, curda pure lei. A Calais realizza che sia le autorità francesi sia quelle del Regno Unito ostacolano con ogni mezzo la traversata ai "sans papières" (senza documenti) anche perseguendo chi cerca di aiutarli; non vede altro mezzo che raggiungere la meta a nuoto. Per farlo impara a nuotare e si allena per la traversata in una piscina francese; l'istruttore, ex campione di nuoto, diventa complice della determinazione del ragazzo, lo considera quasi un figlio che diventa un pò sua ragione di vita. I "potenti mezzi" della Royal Navy faranno sì che il ragazzo venga bloccato a 800 metri dalle coste di Dover, dopo 10 ore a nuoto, e reso alla Francia in un sacco di plastica. Pare che i nostri leghisti abbiano plaudito all'inflessibilità dei poliziotti francesi e inglesi e che Maroni abbia dichiarato che l'Italia deve stringere i suoi controlli su quegli esempi: questa protervia dimostra disumanità, la visione del film fà avvicinare al ragazzo e a tutti i diseredati che cercano condizioni di vita migliori. Il tempo è un gran dottore, tra 10 o 20 anni tutti gli italiani saranno una razza "coloured".
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reservoir dogs
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lunedì 28 febbraio 2011
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perbenismo da zerbino
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Bilal (Ayverdi) è un ragazzo di diciassette anni, è arrivato in Francia a piedi dall'Iraq ed adesso non può andare in Inghilterra perchè è un clandestino e i controlli particolarmente restrittivi glielo impediscono. Bilal in Inghilterra ha Mina, la ragazza che ama e che lo aspetta; non ha quindi tempo da perdere.
Quindi "l'unico" modo per raggiunge l'isola sembra quello di attraversarla a nuoto ma per farlo deve prendere lezioni in piscina, li Bilal conosce Simon (Lindon), ex campione di nuoto, adesso istruttore in piscina che vedrà in lui una possibilità per dimostrare alla moglie, attivista nel volontariato (ed al loro rapporto in crisi), la sua presa di posizione una volta nella vita.
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Bilal (Ayverdi) è un ragazzo di diciassette anni, è arrivato in Francia a piedi dall'Iraq ed adesso non può andare in Inghilterra perchè è un clandestino e i controlli particolarmente restrittivi glielo impediscono. Bilal in Inghilterra ha Mina, la ragazza che ama e che lo aspetta; non ha quindi tempo da perdere.
Quindi "l'unico" modo per raggiunge l'isola sembra quello di attraversarla a nuoto ma per farlo deve prendere lezioni in piscina, li Bilal conosce Simon (Lindon), ex campione di nuoto, adesso istruttore in piscina che vedrà in lui una possibilità per dimostrare alla moglie, attivista nel volontariato (ed al loro rapporto in crisi), la sua presa di posizione una volta nella vita.
Per Simon è l'occasione di redimersi dalla sua quotidiana indifferenza, inizia così un percorso introspettivo mai avuto prima: la forza di volontà del ragazzo scuote l'uomo al punto da fargli cercare la stessa forza in se.
Ma il rapporto tra Simon e Bilal risulta come le due facce di una stessa medaglia, infatti l'aiutare ed aiutarsi di Simon corrisponde esattamente al distruggersi di Bilal.
La xenofobia che alberga in alcuni uomini fa si che la paura denunci il Diverso ma il falso perbenismo dia il benvenuto su uno zerbino quotidianamente spazzato.
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