La vicenda tragica del piccolo Bilal si ripete, più o meno simile, ogni giorno sulle coste più meridionali dell'Europa, perché tutti i governi si sono affrettati a darsi leggi sufficientemente restrittive e disumane per tranquillizzare le pavide coscienze dei nostri pavidissimi concittadini. Il fatto è che voltarci dall'altra parte per non vedere gli orrori che si affollano alle nostre porte ci rende ogni giorno più duri e incapaci di "compassione", nell'etimologico significato del patire insieme, e perciò ci priva ogni giorno di quell'umana pietà che è rispetto per il nostro prossimo più debole e meno fortunato. Degli stranieri, ormai cogliamo sempre più solo un'identità indistinta, in cui si mescolano buoni e meno buoni, perché tutti ci paiono insidiare le nostre certezze, il nostro benessere, la tranquillità della nostra vita privata. Ben vengano, perciò, film che, come questo, costruiscono non una storia di immigrazione, ma la personale vicenda di un immigrato, che ha, come giovane, sogni e desideri simili a quelli dei suoi coetanei europei. L'individuazione, che è propria dell'arte, ci dà nella figura di Bilal, un' immagine assolutamente e profondamente vera del dolore e delle sofferenze che ogni migrante porta con sé, perché l'unicità di ogni singolo individuo è anche unicità della individuale sensibilità, che non può sopportare a lungo di essere umiliata, ferita, offesa nella dignità. Il "folle volo" di Bilal, che a costo della vita attraverserà a nuoto la Manica, ci dice che anche un giovane e sconosciuto curdo è capace di amare fino al sacrificio di sé, poiché esistono in tutti, quindi anche nei "diversi", quei sentimenti di tenerezza e di dedizione di cui i giovani sono capaci.
I pochi che hanno questa capacità di comprendere e di dare concretamente la loro solidarietà, nel film come nella realtà di ogni giorno, vengono perseguitati dalle leggi e perciò dalla polizia, isolati dai colleghi di lavoro e dai vicini di casa, quegli stessi che sullo zerbino d'ingresso del loro pulito e tranquillo appartamento hanno la scritta "Welcome"!
Il film è molto bello, essenziale nella sua denuncia, tenerissimo nella descrizione del rapporto di Bilal col suo maestro di nuoto, privo di enfasi retorica. Efficace l'interpretazione degli attori, superba quella di Lindon
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laila
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lunedì 22 febbraio 2010
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il perbenismo e la disumanizzazione crescente
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Cara Laulilla, leggo quasi senza fiato quanto hai scritto, proprio perchè hai ben descritto la sensazione e le riflessioni indottemi dalla visione di questo documentario-film... di un realismo coraggioso e spietato, com'è d'altronde la relatà che ci cirrconda.. Condivido a pieno le tue parole e per questo non lancio un mio commento personale ma m'associo al tuo.. sopratturìtto quando sottolinei la scritta "welcome" apposta sul tappeto del "ligio" vicino di casa.. ligio alla legge cometutti i bravi cittadini che hanno raso la suolo la propria umanità, alienati dall'occidentalità più bieca e cieca.
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(di laulilla)
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misesjunior
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domenica 1 agosto 2010
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l'individuo è bello, la massa no...
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Tutte le speculazioni sentimentali sull'immigrazione si basano sul trucco di porre il problema dal punto di vista del dramma individuale di alcuni immigrati (dico “alcuni” perché molti di loro sono tra i "benestanti" nel proprio paese, e hanno i soldi per arrivare in Europa). Ma se per l’Europa l'immigrazione è un problema (mentre non lo era per le condizioni dell’America di un secolo e roti fa) è proprio perché è un fenomeno di massa (e quindi politico), non individuale. Come tale, mette in forte crisi la sussistenza e la tenuta proprio dei valori che i film presuntamene “umanitari” (o i sofismi ideologici tipo “l’economia ne ha bisogno”, ecc.
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Tutte le speculazioni sentimentali sull'immigrazione si basano sul trucco di porre il problema dal punto di vista del dramma individuale di alcuni immigrati (dico “alcuni” perché molti di loro sono tra i "benestanti" nel proprio paese, e hanno i soldi per arrivare in Europa). Ma se per l’Europa l'immigrazione è un problema (mentre non lo era per le condizioni dell’America di un secolo e roti fa) è proprio perché è un fenomeno di massa (e quindi politico), non individuale. Come tale, mette in forte crisi la sussistenza e la tenuta proprio dei valori che i film presuntamene “umanitari” (o i sofismi ideologici tipo “l’economia ne ha bisogno”, ecc.) pretendono di difendere.Quindi film il come finzione va benissimo, ma è una sciocchezza se pretende di rappresentare uno spunto di riflessione politica
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