Personalmente, non credo “nell’accettazione virile dell’umana esistenza.”
L’umana esistenza, comprende anche il dolore, l’accettazione virile del dolore, mi disgusta, mi nausea, mi angoscia.
Se penso al dolore, con tutta la sua gamma di colori, dal nero al bianco, beh, mi vien subito da pensare al silenzio.
Il dolore, con tutti i suoi colori; il silenzio, con solo il suo respiro. Il dolore è silenzio, il silenzio è rispetto, il dolore è rispetto.
Il dolore è di Tutti. Il dolore di Tutti è il “mio dolore”.
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Personalmente, non credo “nell’accettazione virile dell’umana esistenza.”
L’umana esistenza, comprende anche il dolore, l’accettazione virile del dolore, mi disgusta, mi nausea, mi angoscia.
Se penso al dolore, con tutta la sua gamma di colori, dal nero al bianco, beh, mi vien subito da pensare al silenzio.
Il dolore, con tutti i suoi colori; il silenzio, con solo il suo respiro. Il dolore è silenzio, il silenzio è rispetto, il dolore è rispetto.
Il dolore è di Tutti. Il dolore di Tutti è il “mio dolore”. Il dolore di Tutti è un dolore Con-diviso.
Probabilmente, l’obiettivo più difficile da raggiungere per ogni essere vivente è, credo, l’armonia interiore.
Sentimenti e passioni sono maree, le portiamo dentro di noi, sono compagne del nostro viaggio. Come può sentirsi un uomo/con, un uomo/e, un uomo DI alta marea? Un Vincente, uno sicuro di Se, un uomo senza Paure? Di contro, quello DI bassa marea, è … vulnerabile, … ansioso, … incerto nel cammino. Attenti…, perché quanto affermato, può avere un diverso significato se, lo stesso vissuto prende posto in un nuovo inquilino, si impossessa di nuova cittadinanza. Il Vincente è stritolato, la gola gli si annoda fino a farlo soffocare, dolorosissimi attacchi di panico lo stremano.
Ecco allora che l’uomo, nella “rete del vero dolore”, non può mai e dico mai ritenersi un vincente, né un viril uomo. No, il dolore non lo vinci. Mai! E sai perché? Perché sei un Essere vivente, pulsante, pensante. E tutto ciò che vive, pulsa e pensa, è destinato prima o poi alla sofferenza, al dolore.
“Pensare è, dunque, doloroso”.
Quando poi, il dolore sfocia, supera, straripa, rompe i margini psicofisici della tollerabilità, le conseguenze sono terribili. Si può sfiorare, si può toccare il fondo. E, forse, senza risalita. L’obiettivo dell’armonia interiore, a questo punto, sembra sfuggirci definitivamente di mano. E’ così? No! No! Ed ancora No! Due Cavalieri arrivano in nostro soccorso. Il Tempo, quello tangibile, concreto; e L’Uomo, che di quel Tempo è, il domatore.
Shrink,
è un capolavoro sull’Uomo e sul suo Tempo. In questo film i segni, in tutta la loro gamma comunicativa, sono i veri padroni della scena. I segni lasciano tracce dappertutto. Shrink è un capolavoro di colori umani, è uno slowly catch movie. Tutti questi “segni umani colorati” trovano nel Dr. Henry Carter (Kevin Spacey) il dispensatore (paradossalmente) di varie situazioni emotive che vanno dalla noia, alla creatività, passando per l’angoscia.
Adolescenti, adulti ed uomini maturi dovranno confrontarsi con questo medico. Il Dr. Carter, con le sue aporie, diventa lo spirito guida di tutti i pazienti del suo studio. Preoccupandosi costantemente del loro rientro nella “normale attività mentale”.
Il Dr. Carter è un sofferente. Un evento drammatico ha reso la sua vita, inquieta. E’ uno "Shrink" , un dottore strizzacervelli famoso, i suoi libri sono libri di successo, il suo studio ha frequentazioni importanti, ma è sofferente. La sua mente è un radar alla continua ricerca di target non ben identificabili. Nei diversi tipi di “erba”, che prova, sembra cercare le coordinate esatte per la sua ricerca. Il momento del car wash è il Suo momento, nel senso che si ritrova e con piacere, da analista ad analizzato.
A mio parere, il “venditore di fumo” ha inconsapevolmente capito che in psichiatria il concetto di “cura” ha un significato diverso. Come deve essere l’approccio al disagio presente nei pazienti? Lo scontro tra dolore emotivo Vs Uomo e Tempo, avrà un vincitore? Beh, questo proprio non dovete chiedermelo. Una cosa, però, mi permetto di suggerirla. La visione “condivisa” di questo film. Discutere con gli altri, “colloquiare”, è il primo passo per sentirsi meno soli.
Jonas Pate ha fatto centro. Il suo lavoro, come quello dell'intero cast, non è da venditore di fumo. Io credo.
Good Ciak!
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