SEME SENZA DISCORDIA
Noi donne medie, che non muoviamo i passi sulla spinta di tacchi sovrumani, che non lasciamo sulla scia del nostro andare crepe nei cuori degli astanti o vibrazioni nelle aste dei passanti, restiamo immobili, sedute, pensierose, mente raccolta dentro al corpo e viceversa, dinanzi all'avanzata -buio in sala- dell'esplosivo materiale carico di universali femminili : l'ultima donna di Pappi Corsicato lascia scorrere con grazia lucida e benevolenza i suoi caratteri mediterranei sullo sfondo di grattacieli-icone di una Napoli-centro direzionale fatta di maschi che si appostano, guardie giurate e falegnami che tradiscono mestiere e giuramento restando a bocca aperta, in sospensione, fedeli a un inguine intravisto e sospirato. Avranno modo di scoprirlo in un assalto, di intaccare l'inquadratura di quel bacino così mediterraneo nella virile e cieca furia che strappa le mutande e lascia il segno (il seme). Tutto si tiene in questo film dalla struttura muscolare solida ma non scattante, fluido. Tutto fila. L'assalita, fertilizzata nell'istante in cui l'istinto di difesa personale cede il passo all'attitudine al deliquio –nobile qualità da sempre ritenuta assai più femminile e fotogenica, pescata ad hoc da pappi tra precedenti letterari di indubbia garanzia-, si trasfigura a poco a poco, dopo lo svenimento e dopo un sogno premonitore di future nausee. A poco a poco per modo di dire: sembra gradualità ma è tutto uguale, di un'armonia precotta e stilizzata. L'aggressione vuole preludere a una svolta che subito delude : nella vittima risveglio fisico e interiore vanno a coincidere né più né meno che con lo stile ricalcato di una falcata se possibile neutra e proterva insieme, a incastro stretto coi toni vintage di una colonna sonora da dive anni '60. L'ultima donna di Pappi Corsicato, più delle prime, più di Iaia e le altre di Libera e dei Buchi neri, che davano qua e là un'impronta personale coi loro tratti a qualche inquadratura, conosce l'arte dell'apparire e non interferire, cioè come farsi scorrere alle spalle e di profilo pannelli trasparenti, di divisione/unione tra gli interni, tra il suo indistinto sé e il marito Gassman-faccia da cane bastonato. Si lasceranno e torneranno insieme -tanto è la stessa cosa- lei e questo giovanotto afflitto da eiaculatio precox, sfarfalleggiante pigro tra amanti insoddisfatte cui propina fertilizzanti per i fiori in vece d'altro. Terranno in piedi il loro matrimonio la donna e l'uomo di pappi corsicato, neutri, inerti, nel ruolo inopinato di genitori del frutto di quel seme che dà il titolo al film. E di quel seme, appunto, resta in noi donne un po' ordinarie in sala, dopo il buio, impresso nella mente bene il segno: non la discordia, che non s'è vista né sentita in una storia priva di sentimenti e di emozioni, ma una voglia : la voglia scura sul visino della bambina-frutto attratta da un coetaneo con la sua stessa macchia (mediterranea?), marchio di fabbrica della viril guardia giurata strappamutande dell'inizio, riconvertita a padre di (altra) famiglia a fine film. La voglia : unico tratto distintivo di specie umana dominante (dominante perché prolifica nel vuoto per il vuoto), valore estetico-genetico : la voglia come angioma, solo questo. Le altre voglie sono mediate per l'intero film da pezzi sparsi (di carne e non : natiche seni gambe pelvi tacchi) di una donna che pappi fetix non assembla mai.
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