dott.ssa r. langiulli
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giovedì 17 gennaio 2008
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il vero protagonista di una trama inconsistente
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Splendido ritratto della vita di immigrati più o meno integrati in Francia, Cous-cous più che un film drammatico appare agli occhi dello spettatore come un lungo documentario estremamente realistico la cui macchina da presa più che creare il film all’interno della scena, appare come ospite indiscreto tra i discorsi di una famiglia di origini nordafricane che tra invidie, frustrazioni e tentativo di emergere, conduce la sua vita sullo sfondo di una Marsiglia delineata a squallide pennellate.
Il protagonista della vicenda, Slimane Beiji, un sessantenne che vuole intraprendere un’attività commerciale con l’unica risorsa in suo possesso (il cous-cous), è l’unico la cui vicenda tesse le fila di una trama inconsistente, di un copione che pur essendoci (anche se a tratti si ha davvero l’impressione che gli attori stiano improvvisando) sembra annacquato a forza con discorsi interminabili, battute ripetute e fastidiose voci che si sovrappongono, che rendono noioso e a tratti snervante la visione.
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Splendido ritratto della vita di immigrati più o meno integrati in Francia, Cous-cous più che un film drammatico appare agli occhi dello spettatore come un lungo documentario estremamente realistico la cui macchina da presa più che creare il film all’interno della scena, appare come ospite indiscreto tra i discorsi di una famiglia di origini nordafricane che tra invidie, frustrazioni e tentativo di emergere, conduce la sua vita sullo sfondo di una Marsiglia delineata a squallide pennellate.
Il protagonista della vicenda, Slimane Beiji, un sessantenne che vuole intraprendere un’attività commerciale con l’unica risorsa in suo possesso (il cous-cous), è l’unico la cui vicenda tesse le fila di una trama inconsistente, di un copione che pur essendoci (anche se a tratti si ha davvero l’impressione che gli attori stiano improvvisando) sembra annacquato a forza con discorsi interminabili, battute ripetute e fastidiose voci che si sovrappongono, che rendono noioso e a tratti snervante la visione.
Si tratta di un film corale, raccontato a più voci, che nonostante il nobile intento di raccontare il dramma di immigrati sfruttati e alle prese con un sogno imprenditoriale, sarebbe potuto essere rappresentato in modo diverso, lasciando all’immaginazione tanti discorsi oziosi e dispersivi.
Meritevole l’interpretazione degli attori, tuttavia il regista più che far recitare a memoria il copione avrebbe potuto lasciare più campo alle riprese dei volti dei personaggi e far parlare l’espressività dei loro occhi.
Si sarebbe potuto dare un taglio a tante scene che, purtroppo pretendono di rappresentare la drammaticità con il patetico (vedi la scena del furto del motorino, o i pianti disperati della moglie di Magid).
Unico vero momento drammatico ed avvincente è quello della ricerca del cous-cous smarrito, in cui tutta la famiglia fa del suo meglio per intrattenere gli ospiti compresa la compagna del protagonista e sua figlia che, pur presentandosi come elemento di rottura dell’armonia familiare, ne risollevano le sorti imprenditoriali. Stupenda l’interpretazione della danza del ventre della giovanissima attrice Hafsia Herzi, la vera rivelazione del Festival del cinema di Venezia.
Tuttavia, il film merita di essere visto per la pregnanza dei suoi contenuti, nonostante andrebbe rifatto nella sua forma. Il cous-cous resta il vero protagonista della storia, l’unica ricchezza, l’unica risorsa e metafora delle origini, l’unica certezza dei personaggi.
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la discarica delle storie
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giovedì 7 febbraio 2008
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odore di nafta e pesce
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Cous cous tratta della famiglia. E lo fa con stilemi claustrofobici, toni striduli e gracchianti, e chilometri di pellicola. Si sbadiglia, non tutto è chiaro, in certi momenti si prova fastidio fisico per le voci sempre eccessive, per l'ossessiva musica magrebina, per la fronte imperlata di sudore e le imperfezioni del corpo, per il testardo trascorrere dei minuti, per le torrenziali tirate isteriche delle donne. Poi si intuisce una fine tragica. Buio. Titoli di coda. Tutti a casa. E il giorno dopo ci si accorge che è successo qualcosa. Ci si ricorda del pranzo familiare come se ci fossimo stati anche noi e ci annusiamo le dita per cercarne tracce di pesce o della nafta del porto. Il cinema di Kelchiche apparentemente non fa mediazioni, non toglie nulla, non seleziona.
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Cous cous tratta della famiglia. E lo fa con stilemi claustrofobici, toni striduli e gracchianti, e chilometri di pellicola. Si sbadiglia, non tutto è chiaro, in certi momenti si prova fastidio fisico per le voci sempre eccessive, per l'ossessiva musica magrebina, per la fronte imperlata di sudore e le imperfezioni del corpo, per il testardo trascorrere dei minuti, per le torrenziali tirate isteriche delle donne. Poi si intuisce una fine tragica. Buio. Titoli di coda. Tutti a casa. E il giorno dopo ci si accorge che è successo qualcosa. Ci si ricorda del pranzo familiare come se ci fossimo stati anche noi e ci annusiamo le dita per cercarne tracce di pesce o della nafta del porto. Il cinema di Kelchiche apparentemente non fa mediazioni, non toglie nulla, non seleziona. Filma le cose che paiono accadere. Ci invita a vedere insieme a lui. O almeno così pare. Perché tutto sommato Kelchiche nella puzza di nafta e nell'aroma di cefali ci propone un operazione furbetta, dove a passare sullo schermo non è la realtà, alla quale saremmo dispostissimi a credere. Ma una realtà calcolata e costruita, che ci racconta una storia apparentemente tragica, ma in realtà a lieto fine, dove il successo nasce dal collaborare insieme per il bene comune, superando le liti da cortile e le passioni sanguigne del mediterraneo.
Nella famiglia arabo-francese allargata ci riconosciamo tutti. Con pochi ritocchi il copione poteva trasformarsi in una storia di famiglie molisane o napletane e i moli di Sète, che a me fa venire in mente le fantasie lubriche di Brassens, potrebbero essere a Brindisi o a Taranto. Cous cous tratta della famiglia, e lo fa con sequenze a cui ci pare di avere da sempre assistito, a partire dalle domeniche e dalle feste comandate della prima infanzia. E così, indagando camera a spalla le rughe o la pancetta dei personaggi, i seni debordanti e la pelle arrossata, i denti gialli e i brufoletti, Kechiche ci frega, ci fa credere di guardare il mondo vero, ci seduce con richiami odori e sapori delle nostre stesse latitudini, poi ci porta nel suo mondo, e cerca di dirci qualcosa. Da vedere e rivedere la chiacchierata dei pensionati in veranda e l'interminabile pranzo familiare, che non lesina le mani sudicie di cibo, gli spruzzi e le lische di pesce tra i denti. Andate a vedere questo film, c'è molta più intelligenza di quello che sembra.
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gaetan 72
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lunedì 11 febbraio 2008
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il neorealismo del terzo millennio:grande kechiche
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Con un occhio a ladri di biciclette di De Sica e l'altro a nuvole in viaggio di Kaurismaki, Kechiche realizza uno dei film più belli e "pieni" degli ultimi anni. L'immigrazione ormai ultradecennale degli algerini in Francia, il trionfo del precariato e del denaro a spese del valore del lavoratore (il licenziamento del protagonista in un inizio film alla Ken Loach); la bellissima e realistica scena del pranzo domenicale(il cous cous mangiato con le mani); le dinamiche familiari con i maschi quasi assenti e le donne che risolvono tutte le situazioni;il doppio meraviglioso finale(la danza del ventre e la corsa del protagonista) e soprattutto, la splendida, giovane protagonista Hafsia Herzi (diventerà una grandissima attrice), perfetta nel ruolo (da antologia la scena del dialogo con la madre, prima della festa).
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Con un occhio a ladri di biciclette di De Sica e l'altro a nuvole in viaggio di Kaurismaki, Kechiche realizza uno dei film più belli e "pieni" degli ultimi anni. L'immigrazione ormai ultradecennale degli algerini in Francia, il trionfo del precariato e del denaro a spese del valore del lavoratore (il licenziamento del protagonista in un inizio film alla Ken Loach); la bellissima e realistica scena del pranzo domenicale(il cous cous mangiato con le mani); le dinamiche familiari con i maschi quasi assenti e le donne che risolvono tutte le situazioni;il doppio meraviglioso finale(la danza del ventre e la corsa del protagonista) e soprattutto, la splendida, giovane protagonista Hafsia Herzi (diventerà una grandissima attrice), perfetta nel ruolo (da antologia la scena del dialogo con la madre, prima della festa).In oltre 2 ore di Cinema allo stato puro, non c'è una scena di troppo e ogni personaggio(fra i 10 e oltre) si ritaglia un ruolo decisivo, e resta nella memoria dello spettatore(cosa rarissima nel cinema attuale). Inoltre la pellicola è un invito all'integrazione, sì razziale (francesi - immigrati) ma soprattutto familiare (protagonista - figli e "nuova famiglia" che nel finale strabiliante sembrano trovare la via per una convivenza)
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paisiello
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venerdì 1 febbraio 2008
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couscous e la tragedia greca
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La recensione riportata, presa dal Manifesto, credo che sia una delle migliori lette. Ciònonostante non ho trovato né in questa né in altre, alcuna considerazione su quello che a me è sembrato quasi subito evidente, tanto che ho seria paura di sbagliarmi. Anche se è sempre vero quello che diceva Borges che ogni opera esiste perché viene letta e quindi il contenuto dipende dalla creatività del lettore.
Ogni capolavoro è come una treccia di molti capi, ed in questo film uno riconduce, così mi sembra, alla tragedia greca, su molti aspetti, di forma e contenuto. Ha qualcosa delle Baccanti.
Rym sembra una incarnazione di Dioniso, porta con se un segno sempre presente: un magnifico orecchino d'oro.
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La recensione riportata, presa dal Manifesto, credo che sia una delle migliori lette. Ciònonostante non ho trovato né in questa né in altre, alcuna considerazione su quello che a me è sembrato quasi subito evidente, tanto che ho seria paura di sbagliarmi. Anche se è sempre vero quello che diceva Borges che ogni opera esiste perché viene letta e quindi il contenuto dipende dalla creatività del lettore.
Ogni capolavoro è come una treccia di molti capi, ed in questo film uno riconduce, così mi sembra, alla tragedia greca, su molti aspetti, di forma e contenuto. Ha qualcosa delle Baccanti.
Rym sembra una incarnazione di Dioniso, porta con se un segno sempre presente: un magnifico orecchino d'oro. Come ogni dio, indica la strada e segue e protegge il suo "personaggio" il suo eroe-Slimane. Lui opponendosi al destino, fa la scelta, e il dio lo accompagna. L'eroe non può che morire perchè sopraffatto dalla sfortuna-destino, si scoraggia si indebolisce, letteramente viene preso in giro da piccoli genietti. Se Rym è Dioniso, la danza, la manifestazione del dio, è chiarissima, gli spettatori sono "ebbri", la sessualità, il desiderio, va all'apice, alle stelle, i suonatori, vecchi Satiri, si avvicinano ma non toccano; la madre lo capisce subito (prima non lo aveva capito) e va a preparare il couscous, e il dramma si risolverà. Il disegno si compie e si conclude con una incredibile speranza conforto e gioia di vivere(tutti a tavola! e la nave partirà). Io capisco la dott.essa R. Langiulli, sono andato al cinema con due miei amici e ambedune sono usciti irritati. Paradossalmente a me sembra dipeso dalla genialità e coraggio del regista. Abdellatif Kechiche piglia lo spettatore per il collo e lo tira dietro lo schermo, dove si svolge il dramma, in quelle stanze strette e stretti attorno al tavolo.
Questo è un duro e pericoloso momento storico, in cui chi più chi meno tende a prendere le distanze da tutto, a tirarsi fuori, può essere comprensibile, per sicurezza intellettuale si tende ad amare solo l'innoquo ma a me alla fine è piaciuto essere preso e sbattuto dentro al dramma per poi uscirne, partecipare, ahimé, al coraggio altrui. Mi è sembrato di comprenderlo, è stato imbarazzante, perché mi sono identificato con Slimane, ma sono ancora qui, anche se ho dovuto constatare la mia fragilità. Un'altra ragione per cui può non piacere è perché è quanto di più lontano ci sia da un film americano, è un'altra cosa e ne abbiamo perso sensibilità e gusto, svolge i dialoghi come in "tempo reale" e questo irrita (quello finale con la moglie del figlio è, col senno di poi, grandioso come capacità coinvolgitiva ed irritativa).
Qui siamo attorno al Mediterraneo, che sia Massalia o Cartago non importa, per questo credo che l'aspetto "etnico" sia un filo minore della treccia, l'autore non parla di una etnia diversa da noi, parla della nostra cultura, i vari personaggi non sono francesi, tunisini di prima o di seconda generazione, modernizzati o antiquati, padroni globalizati o operai in esubero, sono solo dei "tipi" tutti qui attorno a noi che svolgono il loro dramma, io mi presento sono Slimane, napoletano, anche se mi manca Dioniso.
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darjus
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lunedì 18 febbraio 2008
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tutti gli ingradienti della realtà...
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Con occhio attento e scrupoloso, Bechiche guarda la realtà sociale degli immigrati di Francia e segue, passo dopo passo, discussione dopo discussione, emozione su emozione, le vicende speziate, profumate e variopinte di uomini e donne di un Maghreb d’esportazione che soffre, lotta, perde e si rialza. L’approccio crudo e realista non giova all’intrattenimento e il film mostra il fianco ad un’eccessiva accumulazione-sovrapposizione di parole ed eventi, ma l’intento di descrivere ogni momento della vita di Beiji e delle sue famiglie, benché bisognoso di una maggiore e più incisiva selezione, ha il pregio di rispecchiare con realismo l’inappagante ironia della vita che toglie, da, illude e poi toglie di nuovo.
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Con occhio attento e scrupoloso, Bechiche guarda la realtà sociale degli immigrati di Francia e segue, passo dopo passo, discussione dopo discussione, emozione su emozione, le vicende speziate, profumate e variopinte di uomini e donne di un Maghreb d’esportazione che soffre, lotta, perde e si rialza. L’approccio crudo e realista non giova all’intrattenimento e il film mostra il fianco ad un’eccessiva accumulazione-sovrapposizione di parole ed eventi, ma l’intento di descrivere ogni momento della vita di Beiji e delle sue famiglie, benché bisognoso di una maggiore e più incisiva selezione, ha il pregio di rispecchiare con realismo l’inappagante ironia della vita che toglie, da, illude e poi toglie di nuovo. Il finale, per quanto realistico, sembra più calcolato che sentito. Nota di merito alla Herzi: sensualmente ipnotica sia nei suoi sguardi indolenti e lascivi, sia nella sua danza del ventre febbrile e piccante. **½
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mdgrazia
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venerdì 20 marzo 2009
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piacevole, alla fine diventa quasi un triller!
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Come ha già detto un critico cinematografico, non si avverte affatto la lunga durata del film che scorre fluido. Anzi si starebbe lì ancora altro tempo a seguire questa famiglia simpatica e varia. Solo l'ultimo sfogo della moglie tradita effettivamente poteva durare meno, ma per il resto è un buon film che cattura e conquista lo spettatore in modo semplice, ma deciso, col realismo di scene familiari a tutti noi consuete per esperienza diretta, anche se di un'altra nazione con diverse tradizioni ed usi. E' lo spirito di corpo, presente comunque in tutto il film, che alla fine ha la meglio sulla situazione incresciosa, lo stringersi attorno alla figura da tutti amata del protagonista, anche se con l'epilogo poco piacevole che pian piano si delinea, ma sicuramente inatteso.
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marco
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giovedì 3 aprile 2008
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tutti uniti intorno ad un cous cous
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Il film racconta il tentativo di un uomo, che licenziato dopo 35 anni di duro lavoro portuale, divorziato dalla moglie e con una nuova compagna, cerca di crearsi un’attività, per lasciare alla numerosa prole qualche soldo alla sua scomparsa. Kechiche mette in scena un film vero ed emozionante, nel quale, già nelle prime scene, lo spettatore viene invitato al pranzo domenicale della famiglia ed entra immediatamente a farne parte, partecipando emotivamente alla loro vita con gioia e dolore. I monologhi si susseguono a ritmo serrato sino alle ultime immagini, dipingendo magistralmente tutti i personaggi (nessuno escluso), la vita degli emigrati, la burocrazia e il popolo francese, l’amore, l’amicizia e la famiglia, sino ad arrivare a un finale amaro e duro, come un bugno nello stomaco, ma, colmo di speranze, il tutto a ritmo di una frenetica, splendida ed eroticissima danza del ventre.
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Il film racconta il tentativo di un uomo, che licenziato dopo 35 anni di duro lavoro portuale, divorziato dalla moglie e con una nuova compagna, cerca di crearsi un’attività, per lasciare alla numerosa prole qualche soldo alla sua scomparsa. Kechiche mette in scena un film vero ed emozionante, nel quale, già nelle prime scene, lo spettatore viene invitato al pranzo domenicale della famiglia ed entra immediatamente a farne parte, partecipando emotivamente alla loro vita con gioia e dolore. I monologhi si susseguono a ritmo serrato sino alle ultime immagini, dipingendo magistralmente tutti i personaggi (nessuno escluso), la vita degli emigrati, la burocrazia e il popolo francese, l’amore, l’amicizia e la famiglia, sino ad arrivare a un finale amaro e duro, come un bugno nello stomaco, ma, colmo di speranze, il tutto a ritmo di una frenetica, splendida ed eroticissima danza del ventre.
Sottolineando la bellezza di tutte le donne in questo film (alla faccia delle varie veline e fotomodelle di cartapesta), concludo con una sola parola: CAPOLAVORO. Assolutamente da non perdere.
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letizia
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sabato 7 giugno 2008
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un sensuale capolavoro di adbel kechiche
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"Cous Cous",uscito nel 2007,tratta il tema dell'immigrazione.
La storia viene raccontata con due famiglie popolane:una era la famiglia (compresa l'ex moglie)di un uomo,e poi c'erano una figlia e una madre,che era la compagna di lui.La famiglia da parte dell'ex moglie si lamentava di essere immigrati lavoratori ma senza essere pagati bene,così come anche l'uomo,che,un giorno,licenziato,con l'aiuto della figlia della compagna apre una barca ristorante,per preparare la cena a persone importanti.Alla fine del film,quest'uomo lascerà grandi cose a tutti...
Il film prende il nome di Cous Cous perchè le scene sono girate intorno a questo piatto.
Incredibile,meravigliosa e sensuale la scena finale.
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"Cous Cous",uscito nel 2007,tratta il tema dell'immigrazione.
La storia viene raccontata con due famiglie popolane:una era la famiglia (compresa l'ex moglie)di un uomo,e poi c'erano una figlia e una madre,che era la compagna di lui.La famiglia da parte dell'ex moglie si lamentava di essere immigrati lavoratori ma senza essere pagati bene,così come anche l'uomo,che,un giorno,licenziato,con l'aiuto della figlia della compagna apre una barca ristorante,per preparare la cena a persone importanti.Alla fine del film,quest'uomo lascerà grandi cose a tutti...
Il film prende il nome di Cous Cous perchè le scene sono girate intorno a questo piatto.
Incredibile,meravigliosa e sensuale la scena finale.Il film ha vinto il Leone d'argento,ed è stata premiata l'attrice:(la ragazzina quindicenne che si esibisce meravigliosamente in una danza del ventre.
Un capolavoro,da vedere...(belle anche le musiche).
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antonello villani
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lunedì 18 febbraio 2008
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tanta poesia per il vero trionfatore di venezia
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C’è tutta la poesia delle storie semplici, lo sguardo commosso di chi cerca le radici nelle tradizioni di famiglia: il vero trionfatore di Venezia ha conquistato due Leoni d’Oro –premio della giuria e migliore attrice rivelazione- perdendo per un soffio quello per il miglior film.Tanto rammarico per Abdellatif Kechiche, tunisino di nascita e francese di adozione, che si era già fatto notare nel 2000, sempre al Lido, vincendo il premio per la migliore opera prima. Perchè in “Cous Cous” la magia della cultura orientale si fonde con i piatti tipici e le danze di fanciulle che ancheggiano coperte di soli veli. Siamo in piena globalizzazione, il vecchio ed il nuovo sono rappresentati in maniera mirabile da Slimane, sessantenne che decide di aprire un ristorante dopo essere stato messo in esubero e da Rym, figliastra piena di vita che lo incoraggia ad inseguire i propri sogni.
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C’è tutta la poesia delle storie semplici, lo sguardo commosso di chi cerca le radici nelle tradizioni di famiglia: il vero trionfatore di Venezia ha conquistato due Leoni d’Oro –premio della giuria e migliore attrice rivelazione- perdendo per un soffio quello per il miglior film.Tanto rammarico per Abdellatif Kechiche, tunisino di nascita e francese di adozione, che si era già fatto notare nel 2000, sempre al Lido, vincendo il premio per la migliore opera prima. Perchè in “Cous Cous” la magia della cultura orientale si fonde con i piatti tipici e le danze di fanciulle che ancheggiano coperte di soli veli. Siamo in piena globalizzazione, il vecchio ed il nuovo sono rappresentati in maniera mirabile da Slimane, sessantenne che decide di aprire un ristorante dopo essere stato messo in esubero e da Rym, figliastra piena di vita che lo incoraggia ad inseguire i propri sogni. Intorno una comunità di arabi chiassosi che a tavola disquisisce di immigrati, lavoro, integrazione ed amanti mettendo in luce le piccole miserie umane; solo il tetragono protagonista –pefettamente interpretato da Habib Boufares- sembra non accorgersi del cambiamento, fedele a se stesso, mite e sempre fiducioso negli altri. Alla cena per raccogliere i fondi succederà l’irreparabile, il realismo del regista tunisino rende omaggio a De Sica, mentre la giovanissima attrice Hafsia Herzi si lancia in una sensualissima danza del ventre. Da non perdere.
Antonello Villani
(Salerno)
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giunilisbon
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giovedì 31 gennaio 2008
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il discreto fascino del cous cous
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Cous Cous di Kechiche è un film assolutamente sopra la media. Si potrebbe dire che è un film che abbonda di dialoghi o che gli stilemi tecnici e le scelte del regista possano creare un effetto claustrofobia. Sarebbe il giusto appunto di chi non ha capito il film.
Kechiche ci offre una opportunità unica: vedere i personaggi attraverso una cinepresa che sembra costantemente rendere immagini da soggettiva, come se lo spettatore fosse un osservatore ben più prossimo ai personaggi di quel che si possa pensare. Il regista dipinge i suoi personaggi come dei Don Chisciotte logorroici ed isterici. Tutte le liti gli scontri verbali(al limite del fisico alle volte) sono lo specchio di una esasperazione ed una impotenza di fondo alla quale non si può che rimediare in un'estasi di cibo.
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Cous Cous di Kechiche è un film assolutamente sopra la media. Si potrebbe dire che è un film che abbonda di dialoghi o che gli stilemi tecnici e le scelte del regista possano creare un effetto claustrofobia. Sarebbe il giusto appunto di chi non ha capito il film.
Kechiche ci offre una opportunità unica: vedere i personaggi attraverso una cinepresa che sembra costantemente rendere immagini da soggettiva, come se lo spettatore fosse un osservatore ben più prossimo ai personaggi di quel che si possa pensare. Il regista dipinge i suoi personaggi come dei Don Chisciotte logorroici ed isterici. Tutte le liti gli scontri verbali(al limite del fisico alle volte) sono lo specchio di una esasperazione ed una impotenza di fondo alla quale non si può che rimediare in un'estasi di cibo. Ma quale è il significato del Cous Cous del film? L'origine di questo piatto è il caratterizzante dell'etnia di questo spaccato sociale di emigrazione e l'unica base su cui cercare di fare cerchio e di sopravvivere. La consolazione del Cous Cous, e la felicità di mangiarlo, è la stessa di mostrare orgogliosi le proprie radici etniche in una società dipinta come un inferno Orwelliano dalla burocrazia cervellotica e corrotta (o corruttibile).
Su questo sfondo si muove il protagonista che invece è esattamente il contrario di tutti i personaggi finora descritti: rassegnato silenzioso e poco incline a sperare. Il suo lottare poco convinto diventa alla fine emblema dell'ostinazione e un monito a lottare anche se il sacrificio potrà essere enorme. Un capitolo a parte merita la Belly Dance che imperversa nei trailer. Luis Bunuel nel discreto fascino della borghesia lasciava i suoi benestanti protagonisti a pancia vuota, in un certo senso vedendo le sinuose forme della bella Herzi e la sua rotonda pancia piena, non si può che pensare che se nel primo caso la borghesia con la sua pigrizia sia incapace di beneficiare dei propri beni, nel secondo la povertà e la forza della disperazione e la lotta che generano permettano di ottenere la sospirata elevazione sociale e una condizione migliore. Un monito di speranza ed un inno alla lotta fatto con estremo realismo. Per chi non ama il cinema riflessivo è altamente sconsigliata la visione, in fondo a cinema ora c'è Moccia che è decisamente più adatto. (Il voto è così alto solo per alzare la media, anche se forse 4 stelle sarebbe più vicino alla realtà).
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