Le colline hanno gli occhi |
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Un film di Alexandre Aja.
Con Aaron Stanford, Kathleen Quinlan, Vinessa Shaw, Emilie de Ravin, Dan Byrd.
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Titolo originale The Hills Have Eyes.
Horror,
durata 107 min.
- USA 2006.
uscita venerdì 25 agosto 2006.
- VM 14 -
MYMONETRO
Le colline hanno gli occhi
valutazione media:
3,00
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La "normalità" assediata dai freaks e dai mostridi maurizio crispiFeedback: 0 |
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mercoledì 30 agosto 2006 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
E' questo film una prova decisamente migliore di "Alta tensione", anche se il risultato non è certo soddisfacente. Come in tutti i film di genere, tuttavia (come succede anche in quelli più mediocri) vi sono alcuni elementi che meritano attenzione. Sono pienamente d'accordo con il commento di Alessandro Regoli che nel film vi è la rappresentazione della disgregazione dei valori "sani" e conservatori della famiglia americana "media" di fronte all'irruzione dell'irrazionale, del diverso, dell'assurdo. I mostri che s'annidano nel deserto, vivendo nel profondo delle miniere abbandonate oppure in ciò che è rimasto di un illagio "sperimentale" appositamente creato per i test atomici degli anni '50, sono una metafora del "diverso" che va combattuto con ogni mezzo e che è perturbante proprio perchè le sue radici sono all'interno del "normale". Gli esseri mostruosi del film, orridi nelle loro sembianze esteriori e dalla psicologia e dai comportamenti del tutto distorti (sino a vivre di cannibalismo delle ignare prede, condotte con l'inganno nel cuore del deserto, fuori dalla strada asfaltata) sono il contraltare della normalità e rimandano immediatamente ai "freaks" portati in giro, di città in città, come fenomeni da baraccone nel corso del XIX° secolo e ancora nei primi decenni del XX°. Le sembianze disumane e mostruose, sembra dire il regista (sbagliando e incorrendo in una rappresentazione del mondo politicamente non correta), distorcono l'anima, rendondola abietta/animalesca. Poichè il freak evoca gli orrori rimossi della nostra stessa mente va relegato in un "altrove" e tenuto a distanza. Qualsiasi vicinanza è fonte di contaminazione e di distorsione. L'altro "diverso" è il Male e va combattutto con ogni mezzo, isolato, sino alla distruzione: era questa la filosia del McCarthyismo, al tempo della guerra fredda (magistralmente rappresentata con ben altro spirito, arte e finezza di espressione da Joseph Losey in "Il ragazzo dai capelli verdi"). I test nucleari degli anni '50 (e non si sa quanto non furono deliberatamente esposte agli effetti delle radiazioni popolazioni civili residenti nelle zone contigue)hanno probabilmente creato dei mostri: essi vennero considerati cinicamente necessari con il loro corteo di vittime innocenti (alla stregua di meri danni collaterali) proprio per attrezzarsi nel modo migliore e più efficiente per difendersi dal "Male". I mostri così creati sono essi stessi il Male e rappresentano, nel film, la causa della contaminazione della famiglia-modello che si arena nel deserto maledetto. Le finte cittadine costruite per studiare l'effetto dell'azione distruttiva degli ordigni nucleari erano macabre perchè, allo scopo di rendere veritiero i test, venivano arredate sin nei minimi dettagli e popolate di manichini abbigliati di tutto punto nelle posture più diverse e "naturali". Case piene di "persone" sorridenti, intenti a pranzare o impegnati in mute conversazioni, finti bambini che giocano sulle altalene: una staticità fasulla, allegra e stereotipata, che era appunto l'espressione, nell'immaginario di quegli anni, della "normalità" che va preservata ad ogni costo, anche al prezzo di creare dei mostri. A conclusione della vendetta, portata a termine dal più "pacifista" della famigliola, sembra voler dire il regista che la storia non è ancora finita: i sopravvissuti sono ancora osservati dagli occhi delle colline.Oppure essi stessi sono ormai definitivamente trasformati e hanno perso la loro "normalità".
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