ruggero
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giovedì 18 ottobre 2007
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allievo di lynch: il film come esperienza onirica
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Sinceramente non capisco perchè questo film sia stato così ferocemente attaccato dalla critica; sembra quasi che dall'alto del loro piedistallo i critici cinematografici si sentano minacciati e offesi nel profondo se messi di fronte ad un film onirico, allucinatorio, dalla trama criptica e la fotografia ridondante. Si, va riconosciuto che The Fountain è un film pretenzioso ma il concetto di fondo su cui si basa poteva essere trattato solo con presunzione; in questo film, a prescindere dalla tecnica, vi è il riassunto di tutta la filosofia umana: la ricerca spasmodica di comprendere la morte. Di fronte a questo diventa superficiale chiedersi se le sue scelte visive e tecniche siano consone o no, credo che il regista voglia porre l'attenzione semplicemente sulle sensazione che tale ricerca provoca in noi; la potenza delle immagini (come in Requiem For A Dream)serve a creare quella angoscia di fondo nello spettatore, che produce la condizione iniziale per poter vedere un film di Aronofsky: la completa disposizione ad assorbire il messaggio visivo.
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Sinceramente non capisco perchè questo film sia stato così ferocemente attaccato dalla critica; sembra quasi che dall'alto del loro piedistallo i critici cinematografici si sentano minacciati e offesi nel profondo se messi di fronte ad un film onirico, allucinatorio, dalla trama criptica e la fotografia ridondante. Si, va riconosciuto che The Fountain è un film pretenzioso ma il concetto di fondo su cui si basa poteva essere trattato solo con presunzione; in questo film, a prescindere dalla tecnica, vi è il riassunto di tutta la filosofia umana: la ricerca spasmodica di comprendere la morte. Di fronte a questo diventa superficiale chiedersi se le sue scelte visive e tecniche siano consone o no, credo che il regista voglia porre l'attenzione semplicemente sulle sensazione che tale ricerca provoca in noi; la potenza delle immagini (come in Requiem For A Dream)serve a creare quella angoscia di fondo nello spettatore, che produce la condizione iniziale per poter vedere un film di Aronofsky: la completa disposizione ad assorbire il messaggio visivo. Durante la proiezione il senso d'angoscia costringe ad assimilare tutte le immagini senza elaborazioni a priori, trasformando la visione da una semplice analisi ad una esperienza emotiva. In The Fountain il senso di misticità che permea il film crea questo rapporto di dipendenza in maniera tale da permettere allo spettatore di vivere il film nella maniera corretta, cioè avvertendo dentro di se quella sorta di stupore/angoscia/paura esistenzialista che si prova nel ragionare sulla vita e sulla morte. Alla fine del film non rimane (come nel caso dei critici) la rabbia per non aver ben capito la trama o per le scelte tecniche pretenziose, ridondanti o chiassose; rimane quella sensazione che crea soddisfazione solo in quelle persone che realmente amano ogni tanto porsi domande sull'esistere. Ho letto critiche sostenere che Aronofsky piace solo al publico incolto, bhe credo che almeno il pubblico incolto sappia diventare ricettivo verso un film senza nascondersi dietro bagagli (presunti) culturali e didattici. Il vero errore è avere delle attese a priori: i film di Aronofsky vanno presi così, come esperienze visive, sonore ed emotive, da rielaborare a posteriori (mi si permetta il paragone azzardato con Lynch). Concludo dicendo che trovo assurdo criticare questo film per la ridondanza di immagine, non dimentichiamoci che un capolavoro come 2001 Odissea nello spazio si basava totalmente sull'immagine, poichè la trama era stata stravolta da tagli nella sceneggiatura voluti dallo stesso Kubrick, perchè al resgista interessava puramente l'aspetto grafico. Inoltre registi come Kim Ki Duk hanno sempre privilegiato l'immagine (un ottimo esempio è Ferro 3, La Casa Vuota) proprio perchè il cinema è l'unico mezzo di comunicazione che dà la possibilità di farci VEDERE ciò che magari non vedremo mai...quindi ben venga la ridondanza...ben vengano le galassie, le bolle, i santoni pelati e gli alberi pelosi ...basta solo lasciarsi andare alla fantasia e prendere questo film come realmente merita: un viaggio onirico. Contraddire questo ragionamento sarebbe come dire ad Omero di eliminare l'Odissea.Quindi mettetevi comodi e immergetevi nelle immagini e nella colonna sonora (magnifica); alla fine vi sentirete come dopo aver sognato: vi svegliate storditi senza aver capito il senso ultimo della cosa, ma rimarrete tutto il giorno con quella sensazione appiccicata addosso, che vi angoscia ma in fondo in fondo vi piace.
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marco
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lunedì 19 marzo 2007
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oltre la vita e la morte
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Oltre la vita e la morte. Un racconto sull'universalità e a-temporalità dell'amore. L'utopia di credere che la morte non sia altro che un'altra malattia da poter curare. Un'ossessione che diventa ragione di vita e che percorre i secoli, fino a raggiungere l'inevitabile soluzione ovvero la caduta delle illusioni e la consapevolezza che la morte è parte indispensabile e indissolubile dell'esistenza di ognuno di noi. La morte come mezzo attraverso cui dar luce a una nuova vita, come unico modo per essere e sentirsi umani. La morte come momento di completamento di noi stessi e del nostro stare al mondo, come dice esplicitamente il personaggio di Izzi, poco prima che il suo tumore al cervello abbia la meglio su tutti gli sforzi del marito Tom Creo.
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Oltre la vita e la morte. Un racconto sull'universalità e a-temporalità dell'amore. L'utopia di credere che la morte non sia altro che un'altra malattia da poter curare. Un'ossessione che diventa ragione di vita e che percorre i secoli, fino a raggiungere l'inevitabile soluzione ovvero la caduta delle illusioni e la consapevolezza che la morte è parte indispensabile e indissolubile dell'esistenza di ognuno di noi. La morte come mezzo attraverso cui dar luce a una nuova vita, come unico modo per essere e sentirsi umani. La morte come momento di completamento di noi stessi e del nostro stare al mondo, come dice esplicitamente il personaggio di Izzi, poco prima che il suo tumore al cervello abbia la meglio su tutti gli sforzi del marito Tom Creo. Un'opera profonda, difficile e che ha il coraggio di affrontare temi delicati come il senso della vita e quello della morte, mettendosi sempre in gioco consapevole che il rischio di cadere nel banale e nel ridicolo è sempre molto alto. Tuttavia il film di Aronofsky soffre di qualche piccola ingenuità, ricercatezza formale non richiesta o di citazioni zen un pò stereotipate e non particolarmente approfondite, (Jackman pelato in posizione yoga o che fluttua nell'immensità è senz'altro qualcosa di suggestivo, ma neanche troppo funzionale) ma tuttavia rimane un prodotto affascinante, emozionante e commuovente in più parti. Hugh Jackman, ormai una conferma su alti livelli, regala una prestazione struggente di rara intensità; brava come la sempre Rachel Weisz che con l'ex Wolverine costituisce una coppia convincente.
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sandman
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mercoledì 30 gennaio 2008
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l'ombra di kubrick...
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Un viaggio metafisico dentro le coscienze, dentro la psiche. un percorso gnoseologico che ci trascina in un vortice di dubbi e fa riflettere. Non è un film facile, e va riconosciuto ad Aronofsky il merito di aver raggiunto il suo scopo, quello di straniarci. Tre sono le storie che si intrecciano, una sola la verità. La vita. Al di là della concezione di essere e non essere, Tomas si ricongiunge col tutto, fa pace con l'universo, che sia il suo mondo interiore o quello fisico, e compie un'estrema rinuncia. per amore.
Bravissima Rachel Weisz, attrice polivalente che anche stavolta non delude. Insolitamente fragile Huge Jackman, il quale dimostra di poter esprimersi sugli alti livelli di drammaticità già palesati a teatro anche quando recita in un film, seppur di nicchia, come questo.
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Un viaggio metafisico dentro le coscienze, dentro la psiche. un percorso gnoseologico che ci trascina in un vortice di dubbi e fa riflettere. Non è un film facile, e va riconosciuto ad Aronofsky il merito di aver raggiunto il suo scopo, quello di straniarci. Tre sono le storie che si intrecciano, una sola la verità. La vita. Al di là della concezione di essere e non essere, Tomas si ricongiunge col tutto, fa pace con l'universo, che sia il suo mondo interiore o quello fisico, e compie un'estrema rinuncia. per amore.
Bravissima Rachel Weisz, attrice polivalente che anche stavolta non delude. Insolitamente fragile Huge Jackman, il quale dimostra di poter esprimersi sugli alti livelli di drammaticità già palesati a teatro anche quando recita in un film, seppur di nicchia, come questo.
Un film, che nessuno gridi allo scandalo, che ricorda per certi versi(fatte le debite proporzioni)quel capolavoro inarrivabile di Kubrick che è "2001 odissea nello spazio".
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laurynn
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domenica 28 settembre 2014
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i tre livelli narrativi
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The Fountain – L’Albero della Vita
Tomas Creo (Hugh Jackman) è uno scienziato che lavora senza sosta con l’intento di trovare una cura contro il tumore al cervello.
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The Fountain – L’Albero della Vita
Tomas Creo (Hugh Jackman) è uno scienziato che lavora senza sosta con l’intento di trovare una cura contro il tumore al cervello. Il suo non è uno scopo puramente umanitario; egli agisce fondamentalmente spinto da motivi personali: sua moglie Isabel (Rachel Weisz) è in fin di vita a causa di questa malattia. La drammatica storia viene narrata in un modo che va al di là del realistico, un modo che alla fine condurrà il protagonista a prendere la giusta decisione…
Analisi
La narrazione si snoda su tre livelli differenti ma strettamente legati tra loro: il primo è un livello realistico, attraverso cui viene narrata la drammatica vicenda di Isabel nei suoi ultimi giorni di vita e il suo rapporto col marito che cerca a tutti costi di scoprire una cura.
Il secondo è un livello fittizio: esso riguarda infatti la storia di un libro che Isabel sta scrivendo, ambientata (probabilmente tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo) durante la colonizzazione spagnola del Nuovo Mondo. Qui i protagonisti sono un valoroso conquistador, Tomás, e una bellissima regina spagnola (interpretati rispettivamente sempre da Jackman e Weisz). La regina chiede a Tomás di aiutarla a “liberare la Spagna dalle sue catene” e in cambio lei diventerà “la sua Eva”. Lui lo giura sul suo onore e sulla sua vita.
Infine c’è un terzo livello che potrebbe essere definito esclusivamente allegorico-onirico, in cui vediamo un Tomas che si trova all’interno di una bolla trasparente, che galleggia nello spazio infinito e diretta verso la nebulosa Xibalba. Lui è circondato da arbusti e rami secchi e continuamente si prende cura di un vecchio tronco d’albero che sta per morire.
Apparentemente le tre storie sembrano non avere nulla in comune. In realtà si completano l’un l’altra.
Il primo filone narrativo, come già detto in precedenza, è del tutto realistico. Racconta una storia triste sì, ma che può affliggere qualunque essere umano. Si può intendere chiaramente che Tomas abbia gravi difficoltà ad accettare la prossima dipartita della moglie. Pur sapendo che la probabilità di successo nella sperimentazione è bassissima, continua giorno e notte a spendere tempo prezioso nel suo laboratorio di ricerca, anziché godere degli ultimi momenti a lui concessi in compagnia di sua moglie. Il suo rifiuto per l’idea della moglie malata, è palese nel terzo filone di narrazione: più volte Isabel viene scacciata da Tomas, quando gli appare esclamando “Finiscilo”. E’ così che in punto di morte gli regala una scatola contenente penna e calamaio. “Finiscilo” potrebbe quindi anche essere riferito al desiderio imperativo della donna affinchè sia suo marito a terminare la loro storia. In un primo momento Tomas non sa neanche da dove iniziare. Ma Isabel fiduciosa lo rassicura: “Lo saprai”.
Lei, differentemente dal marito, ha ormai accettato il suo destino; è pronta ad abbandonare questa vita mortale, con la convinzione di raggiungere un mondo ultraterreno, nel quale il suo amore per Tomas non finirà mai. Sarà lei stessa a dire al marito “Io sarò sempre con te”.
Nella prima metà della pellicola, possiamo notare una scena in cui appare la figura del minaccioso Inquisitore spagnolo, che progetta di distruggere la Corona. Egli è chiaramente una figura metaforica, ma ciò che potrebbe sorprendere è che quest’ultimo andrebbe analizzato sotto due punti di vista differenti e soprattutto contrastanti: da un lato, egli viene ritenuto essere il male che affligge la Spagna. Di conseguenza, indentificandosi la Spagna con la regina stessa, l’Inquisitore trova una corrispondenza concreta nel livello realistico: il tumore che sta conducendo Isabel alla morte. E Tomas/Tomás vuole eliminarlo.
Dall’altro lato, egli può essere anche associato ad un’immagine molto più positiva: durante la scena della condanna a morte degli eretici, lo si può sentire esclamare: “I nostri corpi sono prigioni per le nostre anime, il sangue e la pelle non sono che le sbarre del nostro confine … La vostra regina cerca l’immortalità sulla Terra, un falso Paradiso … La morte esiste, il giorno del giudizio è inconfutabile”. Al di là dei toni gravi e sentenziosi, le parole dell’Inquisitore, che rispecchiano la morale cristiana, racchiudono anche il reale convincimento di Isabel in merito: la morte è inevitabile per tutti, provare a debellarla è un sacrilegio. La vita eterna non esiste sulla Terra, bensì in Paradiso. Tomás non accetta tale pensiero e vuole eliminare l’Inquisitore ma…la regina glielo impedisce: la soluzione non è uccidere l’inquisitore ma giungere nella valle dell’Eden e risorgere a nuova vita. Fino alla fine Tomás non sarà in grado di intendere il vero significato dell’esistenza: giunto nel cuore dell’impero Maya, ai piedi dell’Albero della Vita, perirà per la troppa sete di salvezza: la linfa dell’Albero sembra, in un primo momento, essere in grado di curare le sue ferite. Ma, subito dopo, il conquistador, convinto di aver raggiunto il suo scopo e di aver conosciuto il segreto della vita eterna, cerca di indossare l’anello che la sua regina gli aveva donato. Ma ciò gli risulta impossibile, in quanto l’anello gli sfugge di mano e dal suo corpo fuoriescono fiori e foglie tanto abbondantemente, da soffocarlo ed ucciderlo.
A questo punto, il pubblico può rendersi conto del fatto che probabilmente il conquistador Tomás rappresenti l’Io negativo insito nel subconscio del protagonista originario: Tomas è così egoista, da non rendersi conto di ciò che la moglie Isabel gli stia chiedendo. Lei vorrebbe soltanto averlo accanto durante gli ultimi momenti che ha ancora a disposizione; è consapevole del fatto che la sua fine è vicina e si sente quindi “completa”, avendo raggiunto uno stato di grazia e di pace con sé stessa. Il marito, contrariamente, sa soltanto che lui non vuole perderla e che lui non potrebbe vivere senza di lei. Quando Isabel effettivamente muore, Tomas, dopo uno sfogo tremendo di dolore, afferma di voler “curare la morte”. Soltanto alla fine riesce a rendersi conto dell’errore che stava commettendo, ed è in quel momento che la sua, per così dire, parte malvagia viene debellata. Proprio nel momento in cui a Tomás cade di mano l’anello, quest’ultimo viene raccolto dal Tomas onirico, quello puro e sublime che per lungo tempo ha viaggiato nello spazio e nel tempo credendo (erroneamente) che condurre l’Albero malato verso Xibalba, significasse risanarlo. In realtà la nebulosa dorata (che metaforicamente viene associata al regno dei morti, secondo antiche credenze Maya) è un luogo che mette in relazione distruzione e rigenerazione, morte e resurrezione. Isabel è morta sulla Terra ed è risorta in Paradiso.
Più concretamente, Tomas appare accettare il lutto quando, nell’ultima scena, coglie un frutto secco da un albero e lo sotterra accanto alla lapide della moglie, riuscendo finalmente a dirle addio.
Simbolismo
L’intera pellicola è costellata da un ricco simbolismo. Prima di tutti, è predominante l’immagine dell’Albero della Vita, attorno a cui si snoda la vicenda. Tale simbolo è senza dubbio stato tratto dalla tradizione religiosa. Secondo la Bibbia, quest’albero appare essere associato all’idea del Paradiso o anche al Cristo sulla Croce. Infatti nella liturgia dell'Esaltazione della Santa Croce, possiamo leggere “Nell'albero della Croce tu hai stabilito la salvezza dell'uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dell'albero traeva vittoria, dall'albero venisse sconfitto, per Cristo nostro Signore”.
Secondo la religione ebraica invece (alla quale più probabilmente il regista si è ispirato, date le sue credenze religiose), l’Albero della Vita era inizialmente unito a quello della Conoscenza. Ma poi, in seguito alla disobbedienza di Adamo ed Eva, Dio li separò. Secondo la Genesi, quando i due vennero puniti per aver mangiato il frutto proibito della conoscenza, a loro non fu neanche più concessa la vita eterna; Dio disse: “Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell'Albero della Vita, ne mangi e viva per sempre”. Di qui l’impossibilità di Isabel di continuare a vivere: il suo tempo sulla Terra è scaduto, non può opporsi al volere divino, o più generalmente al corso naturale degli eventi. Il tentativo di Tomas è visto come un sacrilegio.
Altro simbolo è quello di Xibalba. Secondo la tradizione Maya, si trattava dell’oltretomba governata da spiriti di morte. L’ingresso a questa dimensione era generalmente collocato presso una grotta di Cobán (Guatemala) o all’interno della Via Lattea. Nel film Xibalba è rappresentato sottoforma di una nebulosa, che Isabel mostra a Tomas attraverso un telescopio. Lei gli spiega che questa nebulosa circonda una stella gialla che sta per morire. Ecco chiara l’associazione tra la morte imminente della stella e la morte imminente della donna. Come già detto prima, a Xibalba è strettamente legato il rapporto tra morte e rigenerazione. Anche questo tema è stato probabilmente tratto dalla Bibbia (l’Arca di Noè, per citarne un esempio), per poi essere ripreso costantemente in letteratura, a partire dai romanzi cavallereschi che hanno come tema il Re Pescatore, al genio di Shakespeare in The Tempest, alla Waste Land di T.S. Eliot.
Terzo simbolo importante è quello dell’anello. Il fatto che Tomas smarrisca la sua fede nunziale, suggerisce metaforicamente questo: per troppo amore, lui mette da parte l’amore stesso; è accecato dal ricordo abbagliante di Isabel, così come lei era un tempo: bellissima, sorridente e con una folta chioma fluente. L’anello è proprio quello che la regina dona al conquistador, chiedendogli di indossarlo una volta trovato l’Eden. Ma, confuso com’è, egli fraintende queste parole, finendo col sacrificare poi sul serio la sua vita giunto all’Albero miracoloso. Nella dimensione onirica invece, il Tomas candido viene rappresentato con una striscia di inchiostro a circondargli l’anulare destro. Anche qui quindi, egli non ha l’anello al dito. Riuscirà ad indossarlo soltanto quando saprà finalmente il significato della vita. Nel frattempo tutto ciò che gli rimane, sono una serie di tatuaggi circolari che partono dal dito, per poi dilungarsi su tutto il braccio destro e poi anche il sinistro. Questi tatuaggi ricordano un po’gli anelli di accrescimento degli alberi e sarà Tomas stesso a dire che ognuno di essi rappresenta il tempo che la moglie è stata con lui. Qui si palesa maggiormente l’identificazione di Isabel con l’albero.
Critica
Il film tratta dei temi della morte e della vita in modo eccezionale. Ritengo che la tripartizione della trama sia un espediente efficacissimo per trasmettere la giusta dose di emozioni al pubblico. Ma non solo…l’intreccio è alquanto intricato: una serie di flashback, flashforward, digressioni e ripetizioni della medesima scena riproposte in contesti differenti. Nonostante ciò, uno spettatore attento non può perdersi, in quanto le singole scene sono legate tra loro con grande genialità e ogni singola parola, ogni piccolo gesto vengono sempre proposti al momento giusto, tanto da conferire credibilità ed efficacia alla pellicola. La recitazione è spettacolare. Gli attori sono completamente immersi nei loro ruoli e non risultano mai banali. Altro punto forte del film è la colonna sonora ("Death Is the Road to Awe" di Clint Mansell), la quale ha ricevuto molte nomination a differenti premi. Accompagnata a quelle scene mozzafiato lascia il pubblico col fiato sospeso e provoca emozioni fortissime nelle sue note più elevate.
Ma quello che più colpisce di questo capolavoro sono gli effetti grafici: sublimi scenari onirici e atmosfere fantastiche caratterizzano gran parte della pellicola. Non a caso i costi di produzione sono stati elevatissimi. Addirittura il regista ha dichiarato di aver voluto eliminare alcuni effetti speciali (tra cui uno sciame di farfalle a fuoriuscire dal corpo di Tomas dopo aver bevuto la linfa dell’albero), appunto per evitare di superare il già altissimo budget. L’unica pecca è stata probabilmente quella di non essere riuscito a guadagnare abbastanza da ricoprire le spese, benchè il film abbia incassato moltissimo e sia stato apprezzato dalla critica.
Conclusione
The Fountain mi ha colpito a tal punto da essere entrato nella mia lista di film da vedere e rivedere. Sinceramente non riesco ad attribuirgli nessuna critica negativa e sono veramente pochi i film che posso far rientrare in questa categoria. Mi dispiace solo che capolavori del genere non vengano conosciuti dal mondo nel modo in cui si meritano. Ma per ora posso ritenermi fortunata, dato che io l’ho visto e mi ha lasciato qualcosa di bello. Al di là di tutte le varie concezioni religiose e non che una persona può avere, credo che la bellezza di questo film sia che ognuno è in grado di conferirgli la sfumatura di significato che meglio crede. A me è piaciuto interpretarlo così, forse per il mio background di conoscenze oppure per le esperienze vissute…o forse più semplicemente perché in questo modo mi suggerisce una cosa: “Per ogni ombra, non importa quanto profonda sia, sarà sconfitta dalla luce del mattino”.
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r. younis
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domenica 6 marzo 2011
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the fountain - l'albero della vita
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(Leggette il commento solo se avete visto il film).
Bisogna essere colti per poter interpretare un tale capolavoro cinematografico che fin da subito si suddivide in tre piani temporali apparentemente diversi ma che descrivono l'elaborazione della morte all'interno di un solo uomo (Thomas Creo). C'è il racconto della moglie (The fountain) di cui Thomas ha l'angosciante incarico di finire, lo zelante monaco che rappresenta il piano riflessivo e la traposizione visiva del subconscio e l'elaborazione della morte dentro Thomas Creo, e quello che concretamente un uomo fa per elaborare la cruda realtà.
Infine quel che vediamo noi non è altro che l'elaborazione interna e l'accettazione finale di un uomo che sta per cadere nella disperazione ma che alla fine trova la pace interna rendendosi conto che la morte è ciò che ci rende umani e che la si deve accettare così com'è.
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(Leggette il commento solo se avete visto il film).
Bisogna essere colti per poter interpretare un tale capolavoro cinematografico che fin da subito si suddivide in tre piani temporali apparentemente diversi ma che descrivono l'elaborazione della morte all'interno di un solo uomo (Thomas Creo). C'è il racconto della moglie (The fountain) di cui Thomas ha l'angosciante incarico di finire, lo zelante monaco che rappresenta il piano riflessivo e la traposizione visiva del subconscio e l'elaborazione della morte dentro Thomas Creo, e quello che concretamente un uomo fa per elaborare la cruda realtà.
Infine quel che vediamo noi non è altro che l'elaborazione interna e l'accettazione finale di un uomo che sta per cadere nella disperazione ma che alla fine trova la pace interna rendendosi conto che la morte è ciò che ci rende umani e che la si deve accettare così com'è.
Un capolavoro cinematografico che pochi hanno saputo interpretare.
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[+] oh santo cielo.
(di lollixo)
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joannes
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martedì 3 aprile 2007
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il segreto della vita eterna
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Il film è bipartito in due fasi il presente dove il protagonista vive la sua storia d'amore tormentata dalla paura di perdere ciò che al mondo è di più caro la sua consorte vittima di un male incurabile che piano piano la sta portando via.La vita presente è il tumore ,il medico ricercatore innamorato sperimenta su una scimmia un fantasmagorico preparato preso da una mitica corteccia nelle ande maya(forse è l'albero della vita) capace di far curare il male tornando il cervello ad una situazione primaria,questo farmaco attacca il male adagiagiandosi molecolarmente al tumore,ossia ritornare ad uno sato incosciente ma questo sembra rendere piu giovane e vitale l'organismo della scimmia ma non curarlo e perciò non applicabile ,e non lo sperimenterà alla donna che alla finne morrà anche se in pace con se stessa,percio il segreto della vita eterna è regredire ad uno stato di primaria incoscienza.
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Il film è bipartito in due fasi il presente dove il protagonista vive la sua storia d'amore tormentata dalla paura di perdere ciò che al mondo è di più caro la sua consorte vittima di un male incurabile che piano piano la sta portando via.La vita presente è il tumore ,il medico ricercatore innamorato sperimenta su una scimmia un fantasmagorico preparato preso da una mitica corteccia nelle ande maya(forse è l'albero della vita) capace di far curare il male tornando il cervello ad una situazione primaria,questo farmaco attacca il male adagiagiandosi molecolarmente al tumore,ossia ritornare ad uno sato incosciente ma questo sembra rendere piu giovane e vitale l'organismo della scimmia ma non curarlo e perciò non applicabile ,e non lo sperimenterà alla donna che alla finne morrà anche se in pace con se stessa,percio il segreto della vita eterna è regredire ad uno stato di primaria incoscienza.il regista ha trovato il segreto della vita eterna, ossia il fatto di cibarsi di una piccola corteccia dell'albero della vita, mentre se tu dopo vorrai dall'albero trafiggerlo per bere la sua linfa vitale finirai per morire e diventare pianta, e non stella quindi legato alla terra "materialità" e fangosa come nel mondo allegorico del conquistadores invece diventare stella luminosa tanto da perdere la sensibilità del caldo e freddo. per diventare parte di un mondo aureo etereo, puramente spirituale, soffio vitale. la corteccia, la parte esterna della vita, il guscio della castagna che l'attore alla fine deporrà vicino alla bara della moglie, che rimarrà sotto il freddo invernale per poi rinascere. se dalla vita la vorrai trafiggere e penetrare con un pugnale per bere tutto il suo fluido non riuscirai la pace interiore
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paride86
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martedì 20 gennaio 2009
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ambizioso ma iniquo
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"L'albero della vita" si svolge su tre piani distaccati e paralleli: un oncologo in cerca di nuove soluzioni curative, un conquistador spagnolo in missione in America Latina e un uomo del futuro che conduce alcuni esperimenti.
Tutte le storie hanno come denominatore comune il voler salvare la propria donna; per il resto il collegamento tra i vari piani è piuttosto sconnesso e oscuro.
Aronofsky, come ne "Il teorema del delirio", mischia molto confusamente elementi pagani, cristiani e zen, tutto in un unico calderone che vorrebbe avere un profondo significato metafisico sulla ricerca della vita eterna, e invece risulta soltanto un'accozzaglia di riferimenti estranei l'uno all'altro, mescolati senza coerenza e senza cultura.
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"L'albero della vita" si svolge su tre piani distaccati e paralleli: un oncologo in cerca di nuove soluzioni curative, un conquistador spagnolo in missione in America Latina e un uomo del futuro che conduce alcuni esperimenti.
Tutte le storie hanno come denominatore comune il voler salvare la propria donna; per il resto il collegamento tra i vari piani è piuttosto sconnesso e oscuro.
Aronofsky, come ne "Il teorema del delirio", mischia molto confusamente elementi pagani, cristiani e zen, tutto in un unico calderone che vorrebbe avere un profondo significato metafisico sulla ricerca della vita eterna, e invece risulta soltanto un'accozzaglia di riferimenti estranei l'uno all'altro, mescolati senza coerenza e senza cultura.
Nonostante questo il film non è privo di pregi: colpisce molto a livello visivo ed è anche capace di commuovere grazie alla bravura degli attori.
Diciamo che l'interpretazione di Hugh Jackman lo salva dalla mediocrità.
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felicity
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venerdì 23 agosto 2024
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ambizioso e pretenzioso
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L'albero della vita affronta, con una sorta di mirabile incoscienza, i temi più complessi del mondo: l'ossessione umana di penetrare il segreto dell'immortalità, la dipendenza dall'altro, la condanna alla solitudine. Il problema è che Darren Aronofsky sceglie di sovraccaricare visivamente le immagini, sempre in bilico tra sogno e incubo; meglio ancora, un incubo a occhi aperti che vorrebbe dar forma all'interiorità turbata del protagonista.
A complicare le cose, il percorso a zig-zag tra i secoli è concepito come una serie di proiezioni in abisso di ogni stato del personaggio: il che non semplifica per nulla la comprensione dei fatti.
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L'albero della vita affronta, con una sorta di mirabile incoscienza, i temi più complessi del mondo: l'ossessione umana di penetrare il segreto dell'immortalità, la dipendenza dall'altro, la condanna alla solitudine. Il problema è che Darren Aronofsky sceglie di sovraccaricare visivamente le immagini, sempre in bilico tra sogno e incubo; meglio ancora, un incubo a occhi aperti che vorrebbe dar forma all'interiorità turbata del protagonista.
A complicare le cose, il percorso a zig-zag tra i secoli è concepito come una serie di proiezioni in abisso di ogni stato del personaggio: il che non semplifica per nulla la comprensione dei fatti.
Così, tutta la faccenda comincia presto ad avvitarsi su se stessa, smarrendosi tra visioni new age e sentieri narrativi interrotti senza preavviso, fino alla perdita totale della storia.
La confusione che permea la pellicola di Aronofksy è fin troppo esasperata, con continui salti temporali (o d'immaginazione?) e disturbanti viaggi metaforici tra il mondo dei vivi e quello dei morti che stancano ben presto lo spettatore. Non vi è la giusta dose di profondità che certi temi richiedevano.
La ricerca dell'immortalità, della vita eterna, la paura di morire sono qui appena abbozzati e fanno più da veicolo per le allucinazioni visive e concettuali del regista, che da veri e propri temi portanti dell'opera.
The fountain sarà pure paccottiglia, ma Aronofsky sa marchiarla a fuoco e mostra di conoscere perfettamente l'eccesso che innerva in ogni fotogramma (ogni dettaglio è curatissimo, dalle scenografie ai costumi) se è vero, com'è vero, che dopo la visione il film continua a perseguitarci.
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shiningeyes
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sabato 19 ottobre 2013
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provare a vincere la morte!
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Progetto che nasce nel 2001, “The Fountain”, si rivela essere il film più ambizioso di Aronofsky: sia per i temi trattati e per i numerosi effetti visivi che fanno mettere da parte le tecniche minimaliste del regista. Il film si snoda su tre personaggi(interpretati da un gran Hugh Jackman) di tre epoche differenti, che hanno in comune l’obbiettivo di sconfiggere la morte con tre diversi metodi che si collegano ad altre tematiche: la sconfinata fede in Dio del conquistador letterario, la razionalità scientifica del ricercatore Thomas e la meditazione del monaco. Il tutto gira nel biblico “Albero della vita”, che rappresenta la vittoria e resa alla morte e di come l’amore sia l’unica cosa che sopravvive in eterno e quindi, unico vincitore della morte.
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Progetto che nasce nel 2001, “The Fountain”, si rivela essere il film più ambizioso di Aronofsky: sia per i temi trattati e per i numerosi effetti visivi che fanno mettere da parte le tecniche minimaliste del regista. Il film si snoda su tre personaggi(interpretati da un gran Hugh Jackman) di tre epoche differenti, che hanno in comune l’obbiettivo di sconfiggere la morte con tre diversi metodi che si collegano ad altre tematiche: la sconfinata fede in Dio del conquistador letterario, la razionalità scientifica del ricercatore Thomas e la meditazione del monaco. Il tutto gira nel biblico “Albero della vita”, che rappresenta la vittoria e resa alla morte e di come l’amore sia l’unica cosa che sopravvive in eterno e quindi, unico vincitore della morte. Raccontare tale storia, richiede immagini di grande effetto, ma soprattutto serve dargli quell’alone mistico rappresentato dalla vastità di ciò che si parla. Aronofsky coglie in pieno le immagini e i meravigliosi effetti scenici che servono ad avvicinarsi ad un concetto totalmente astratto e irraggiungibile; c’è un po’ di Malick e Kubrick messi assieme, ma il risultato è da farti stare a bocca aperta. Il bello è che la storia non risente troppo dalla massiccia esposizione visiva che ci tramortisce per la sua meraviglia; la storia è anche scorrevole e interessante, e i sentimenti espressi dai bravissimi Hugh Jackman e Rachel Weisz riescono a colpirci con forza; bello anche il collegamento letterario del personaggio scritto da Isabel (Weisz) che è frutto di un bel montaggio che fa ponte tra passato e presente.
Credo che “The Fountain” sia un film troppo bistrattato dalla critica, forse per il fatto che i critici l’hanno giudicato troppo con la mente che con il cuore, perché è un film che si deve guardare più interiormente che con la vista e basta. Non sarà il migliore della filmografia di Aronofsky, ma risulta il lavoro più complesso e articolato.
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piernelweb
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domenica 20 gennaio 2008
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fluttuazioni sconnesse
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Aronofsky coltivava questo progetto da diverso tempo (impraticabile senza un adeguato budget), ma le major cinematografiche erano incerte perchè lo giudicavano azzardato e lo additavano come un possibile fiasco. Alla fine i produttori si sono decisi, ma il fiasco di pubblico e critica è puntualmente arrivato. Il film è troppo ambizioso e la sua struttura che suddivide temporalmente in tre epoche distanti la storia di un'eterno amore tra Tom e Izzi finisce per risultare sconessa e visivamente inconciliante. Le fluttuazioni spaziali di matrice new age del protagonista sono spesso imbarazzanti e finiscono per svilire l'impegno del regista nella sua personale indagine sull'ossessione umana del mito dell'immortalità.
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Aronofsky coltivava questo progetto da diverso tempo (impraticabile senza un adeguato budget), ma le major cinematografiche erano incerte perchè lo giudicavano azzardato e lo additavano come un possibile fiasco. Alla fine i produttori si sono decisi, ma il fiasco di pubblico e critica è puntualmente arrivato. Il film è troppo ambizioso e la sua struttura che suddivide temporalmente in tre epoche distanti la storia di un'eterno amore tra Tom e Izzi finisce per risultare sconessa e visivamente inconciliante. Le fluttuazioni spaziali di matrice new age del protagonista sono spesso imbarazzanti e finiscono per svilire l'impegno del regista nella sua personale indagine sull'ossessione umana del mito dell'immortalità. In questo film formalmente sballato, ci sono comunque buone cose raccolte essenzialmente nel segmento contemporaneo: le prove dei due maggiori interpreti decisamente intense e credibili e la tecnica di Aronofsky eccellente nei primi piani e negli interni bui. Estrapolato da tutto il resto il dramma del dottor Creo per l'incurabile malattia della moglie sembra un pezzo di grande cinema capitato lì per sbaglio. Vale da solo il merito della visione, ma tutto il resto è da dimenticare.
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