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Intensamente, violentemente, perdutamente mélo. Piccioni affonda la macchina da presa tra ragione e sentimento, lacerando gli occhi e il petto dello spettatore. L'autore marchigiano mette in contrasto la lucidità autoriflessiva del film-cornice con l'incandescenza passionale del film nel film, producendo emozioni estetiche al calor bianco. Attingendo al repertorio del melodramma ottocentesco, assume deliberatamente come registro stilistico l'esuberanza, l'eccesso, l'estremismo del genere nella sua sfacciata impudenza. Tratta la materia sentimentale del film esterno con la stessa fiammeggiante impetuosità del film incastonato, raggiungendo vette di emotività sconvolgente, di pathos accecante, di febbrile e delirante drammaticità. Per esulcerare gli affetti, le inquadrature non derogano mai dalla misura aurea del primissimo piano: quando lo fanno si dispongono in composizioni orgogliosamente rétro, a riprodurre con struggente raffinatezza le illustrazioni ottocentesche o primonovecentesche. Assecondando perfettamente le evoluzioni dell'intreccio, la fotografia di Arnaldo Catinari passa dai toni duri e algidi del film-cornice a quelli caldi e sovraccarichi del film nel film, superando l'antitesi nella folgorante sequenza "en plein air" sull'argine del fiume, gonfia di sottili vapori. Le musiche di Michele Fedrigotti accompagnano con romantica, convincente enfasi i turgori passionali della vicenda e gli interpreti prestano la loro seducente fisicità ad una pellicola che ripropone con sorprendente, abbacinante nitore il linguaggio tumultuoso del mélo. Intensamente, violentemente, perdutamente.
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