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Non basta l'esibizione del talento a fare un buon film. La premiata ditta Piccioni-Lo Cascio-Ceccarelli ne ha, ma un po' lo dissipa. Si dirà che le storie d'amore non sono mai banali, che lo scontro di caratteri, i silenzi, le inquetudini, i litigi, i ripensamenti nobilitano la vita, e dunque il cinema. Si dirà che per questo vanno mostrate nella loro cruda complessità, nel loro affannoso ripiegarsi su se stesse, nei giri che percorrono su strade che ognuno ha, una volta almeno, battuto. Tuttavia la pretesa, o la necessità, di inserire le battute declamatorie della collaudata coppia di "Luce dei miei occhi" in un contesto di forzato meta-cinema sa troppo di operazione studiata e costruita a tavolino. Da qui il paradosso: l'impeto dell'amore folle tra i due attori, il preciso e la nevrotica, è destinato a stemperarsi nel soffice oblio di battute da soap, nel caldo afflato di occhi che si vorrebbero unici perchè intellettuali e sofferenti (sono gli occhi di persone che, per il film, e per il film nel film, si fanno orbite di mondi diversi, altri da sè) e che, invece, sono gli occhi qualsiasi di due qualsiasi persone innamorate, a Roma come a Milano, nei salotti dell'alta società come nelle borgate dei margini.
Una banale storia d'amore, pur bella che sia, non meritava questa volta un trito pasticcio di lontana eco truffautiana.
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