Una espressione dignitosa e gentile, quasi tenera; “buona”, se la parola non fosse desueta e si potesse ancora usare. Due occhi curiosi e ingenui, limpidi e indifesi, che hanno visto quasi tutto nel niente desolato delle lande della Patagonia, senza perdere la bellezza di uno sguardo che sa ancora aprirsi al mondo con fiducia. L’espressione è di Coco, meccanico di mezza età e senza lavoro che intaglia manici di coltelli, bellissimi e unici, che nessuno comprerà mai. E anche gli occhi sono i suoi. E il film è lì, in quell’espressione dignitosa e gentile, in quegli occhi buoni e nella loro attesa. Non di un riscatto (che pure arriverà a siglare l’happy end ) ma di un “incontro”. Il film è lì, in quegli occhi in cui è narrata una intera vita, perché il racconto filmico, che a tratti potrebbe apparire esile, non basta a contenere le suggestioni evocate da quello sguardo e da quella espressione gentile, da quelle rughe incise nella solitudine di un uomo e nella povertà del suo paese, da quel volto ingenuo e mite che sa evocare il candore e la dolcezza di una infanzia mai perduta.
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Una espressione dignitosa e gentile, quasi tenera; “buona”, se la parola non fosse desueta e si potesse ancora usare. Due occhi curiosi e ingenui, limpidi e indifesi, che hanno visto quasi tutto nel niente desolato delle lande della Patagonia, senza perdere la bellezza di uno sguardo che sa ancora aprirsi al mondo con fiducia. L’espressione è di Coco, meccanico di mezza età e senza lavoro che intaglia manici di coltelli, bellissimi e unici, che nessuno comprerà mai. E anche gli occhi sono i suoi. E il film è lì, in quell’espressione dignitosa e gentile, in quegli occhi buoni e nella loro attesa. Non di un riscatto (che pure arriverà a siglare l’happy end ) ma di un “incontro”. Il film è lì, in quegli occhi in cui è narrata una intera vita, perché il racconto filmico, che a tratti potrebbe apparire esile, non basta a contenere le suggestioni evocate da quello sguardo e da quella espressione gentile, da quelle rughe incise nella solitudine di un uomo e nella povertà del suo paese, da quel volto ingenuo e mite che sa evocare il candore e la dolcezza di una infanzia mai perduta. Ed è poesia! Quell’ “oltre” e quell’ “altrove” che sa fare a meno di potenti mezzi tecnici, di grandi budget e persino degli attori protagonisti. Quell’ arte disarmata che fa di due occhi e del loro sguardo, un film bello e lieve; di uno sguardo e di un “incontro”. Perché Coco incontra Bombòn, quel che resta di un cane sopravvissuto al suo padrone, relegato in un angolo del giardino, attaccato alla sua catena quasi fosse un mezzo di ritenuta che gli impedisce di sprofondare in quella solitudine che gli è stata destinata e nella sua agonia. Coco incontra Bombòn per caso o perché “buono”. E’ il premio che si è meritato per aver soccorso una giovane donna che ha avuto un guasto “imprevisto” alla macchina a 150 chilometri dalla sua abitazione. Una donna agiata e fortunata: la sorte gli riserva infatti la conoscenza di un brav’uomo che la accompagna a casa e gli riaccomoda la vettura. Ma è la prima impressione, un giudizio di superficie. Quell’incontro non è per lei, ma per Bombòn, un bellissimo esemplare di Dogo argentino con tanto di pedrigree. E per Coco, meccanico appena licenziato a cui forse una manciata di pesos potrebbero risultare più utili di un cane, consegnatogli, “tout court”, al posto del compenso dovuto per il suo lavoro e la sua cortesia, da una agiata signora che vive in una casa altrettanto agiata, di come ce ne sono poche nell’Argentina del “saccheggio”, in quello che un tempo era considerato “il granaio del mondo”. Un cane al posto di una manciata di pesos. Una bocca in più da sfamare. Ma la bocca è quella di un fuoriclasse, un esemplare di rara bellezza destinato a vincere una gara canina dopo l’altra e a cambiare la vita di chi lo possiede. Un cane di una razza forte e aggressiva, coraggiosa e insensibile al dolore. Ma Bombòn il dolore lo ha provato e sa riconoscerlo negli occhi di un uomo “buono” che lo accoglie e lo prende con se, semplicemente e senza calcoli, prima ancora di conoscerne il valore potenziale. E questa gratuità trova il suo centuplo non nella vincita di una competizione canina e neppure nel denaro, che pur aprendo tante porte, comprese quelle del supermercato, non ha mai fatto la felicità vera di nessuno. Il centuplo per Coco e per Bombòn ha il nome di amicizia. E l’ amicizia aggiunge un sapore nuovo alla vita e al suo faticoso viaggio. Sembrano dirlo, in punta di piedi e senza troppe parole, gli sguardi, a tratti struggenti, dei protagonisti; i loro occhi che ora sorridono perché hanno saputo osservare la crudeltà, il disincanto e l’indifferenza del mondo, senza smarrire né fiducia, né stupore.
Sorridono Coco e Bombòn, seduti l’uno accanto all’altro nell’inquadratura che chiude il film, sereni e paghi di essere insieme, non per il Caso, ma per l’Inaspettato… guasto al motore. Una regia scarna ed essenziale per una favola morale, tra finzione e documentario. Una storia piccola, quasi impalpabile, che racconta la felicità destata dalla presenza dell’ “amico”; la gioia di cui sono gravidi gli “incontri” e gli “imprevisti” della vita.
mcristina.lucchetta@libero.it
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