amarilli novel
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lunedì 2 giugno 2008
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così dimenticammo le rose
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I titoli di testa galleggiano su immagini d’epoca del primo Novecento. Immagini d’archivio e Laura Morante in una camera da letto. Riprese color seppia e strisce sullo schermo come per una pellicola usurata dal tempo. Dallo sfondo si staccano delle rose rosa che sbocciano da un vaso seppia immerso nel seppia. Seguono altri fotogrammi: scollate dalla monotonia monocromatica alcune divise militari verdi. Rose e guerra. Sfiorire.
È il 1916. Rina Faccio, in arte Sibilla Aleramo, legge alcune poesie di Dino Campana. Come siete giunto a un tale virtuosismo? È l’inizio di una corrispondenza che porterà Sibilla sui monti per incontrare Dino che fugge. Dalla guerra. Da Firenze, patria delle massime cloache della letteratura italiana, secondo l’opinione di chi ha dovuto ricostruire le sue poesie verso per verso a causa di un manoscritto fatto sparire o andato perduto.
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I titoli di testa galleggiano su immagini d’epoca del primo Novecento. Immagini d’archivio e Laura Morante in una camera da letto. Riprese color seppia e strisce sullo schermo come per una pellicola usurata dal tempo. Dallo sfondo si staccano delle rose rosa che sbocciano da un vaso seppia immerso nel seppia. Seguono altri fotogrammi: scollate dalla monotonia monocromatica alcune divise militari verdi. Rose e guerra. Sfiorire.
È il 1916. Rina Faccio, in arte Sibilla Aleramo, legge alcune poesie di Dino Campana. Come siete giunto a un tale virtuosismo? È l’inizio di una corrispondenza che porterà Sibilla sui monti per incontrare Dino che fugge. Dalla guerra. Da Firenze, patria delle massime cloache della letteratura italiana, secondo l’opinione di chi ha dovuto ricostruire le sue poesie verso per verso a causa di un manoscritto fatto sparire o andato perduto. Dalle voci che lo chiamano balengo, matto.
Sibilla e Dino mangiano la terra assieme, sa di amore. Sono pieni di passato, sono pieni di presente.
Rina Faccio racconta Rina Faccio in Una donna, Dino legge e si sovrappone alle rievocazioni visive di cui viene a far parte, fuso ormai con la sua amante attraverso i tempi.
È estate, ad esempio, ad Alessandria. Lo scenario ricorda Un dimanche après-midi à l’Ile de la Grande Jatte di Seraut, segno tra gli altri che in questo film la ricostruzione si tenta attraverso un vero e proprio approccio storico. Alcuni uomini si nascondono dietro agli scogli per spiare la prima adolescenza di Rina. Tra questi anche Campana. In viaggio attraverso l’accadere degli eventi.
È il primo matrimonio di Rina. Un altro uomo s’invaghisce di lei, il marito è geloso e infuriato. Dino è incerto e furioso e intento a recuperare i tasselli del puzzle che compongono la vita della donna che ama.
Sibilla Aleramo: lavatoio sessuale della letteratura italiana, così la chiama chi la disprezza. Un viaggio chiamato amore ci parla soprattutto di lei, del suo rincorrere, lasciare, ritrovare il poeta più grande che abbiamo in Italia, del suo aver conosciuto molti altri artisti, del suo femminismo precoce, di un figlio abbandonato in nome di un’emancipazione. Laura Morante è eccezionale: nervosa, spettinata, in preda alla follia amorosa.
Dall’altra parte Dino Campana: pieno di rabbia mentre morde con voracità quel che ha nel piatto,
collerico mentre solca gli Appennini completamente nudo perché la poesia si fa col sangue, violento e disperato mentre fa l’amore con la sua Rina. Eppure quasi in ombra, tanto da apparirci un genio sovrannaturale e distaccato. Quasi impossibile da comprendere e forse davvero matto, per chi crede che i matti esistano davvero come categoria a margine della società. È probabilmente la migliore interpretazione di Stefano Accorsi, ma la sceneggiatura non ci fa vedere veramente Dino Campana. Ma forse è giusto così, forse è soprattutto Sibilla Aleramo colei che travolge. Dino, solo un travolto. Travolto fino alla sua morte- abbandono in manicomio.
Sono pronto a donarvi quel che mi resta da darvi, ma Rina Faccio continua i suoi viaggi. Dino si ferma.
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theophilus
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mercoledì 29 gennaio 2014
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è solo amore
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UN VIAGGIO CHIAMATO AMORE
E’ uno di quei film per i quali è forte la tentazione di limitarsi a definirlo bello: l’evidente impegno estetico del regista Michele Placido, così come il notevole impatto emotivo dei due protagonisti, Stefano Accorsi e Laura Morante, convogliano l’attenzione esclusivamente sulla storia in sé del rapporto fra Dino Campana e Sibilla Aleramo. Una storia d’amore estrema, malata, allucinata, quale era stata inseguita nei loro sogni da entrambi i letterati e che si basa per la realizzazione filmica sul loro carteggio durante gli anni 1916/1918, nonché sul romanzo autobiografico Una donna, dal quale sono tratti i flash-back del periodo adolescenziale della vita della scrittrice, pur se filtrati dagli occhi del poeta romagnolo.
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UN VIAGGIO CHIAMATO AMORE
E’ uno di quei film per i quali è forte la tentazione di limitarsi a definirlo bello: l’evidente impegno estetico del regista Michele Placido, così come il notevole impatto emotivo dei due protagonisti, Stefano Accorsi e Laura Morante, convogliano l’attenzione esclusivamente sulla storia in sé del rapporto fra Dino Campana e Sibilla Aleramo. Una storia d’amore estrema, malata, allucinata, quale era stata inseguita nei loro sogni da entrambi i letterati e che si basa per la realizzazione filmica sul loro carteggio durante gli anni 1916/1918, nonché sul romanzo autobiografico Una donna, dal quale sono tratti i flash-back del periodo adolescenziale della vita della scrittrice, pur se filtrati dagli occhi del poeta romagnolo.
Un amore che trae linfa dallo spirito febbricitante di Campana, dalla sua mente esaltata dalla forza della poesia. Uno sguardo sulla vita, il suo, sensitivo, visionario, nevrotico e reso ancora più acuto e sensibile dalla sifilide che il poeta sbatte in faccia – non si capisce se per pura provocazione – all’Aleramo, che ribatte prontamente di non aver paura dell’amore.
Dall’altra la forza, l’indipendenza, il femminismo della scrittrice e il suo impegno sociale scompaiono di fronte al nuovo vigore di questo sentimento, mentre i suoi frequenti amori con altri esponenti dell’avanguardia letteraria di allora suscitano la folle gelosia a posteriori di Campana.
L’abilità di Placido è quella di concentrarsi e di concentrare la nostra attenzione solo sui dati di questo sentimento, accentuandone il baricentro sull’autore dei Canti Orfici. Tutto il resto non esiste più: ma non perché egli non ne parli; infatti le vicissitudini letterarie di Campana vengono descritte – lo sforzo da lui compiuto per ricostruire la sua opera, la cui unica copia manoscritta era andata perduta, viene adombrato come aggravante della sua pazzia - così come si avverte la centralità della Aleramo nel composito universo letterario di quegli anni; allo stesso modo il generale clima storico non viene sottaciuto: si sa che è in corso la prima guerra mondiale. E’ proprio la forza di quell’amore che prende il sopravvento sul resto, quell’amore nonostante tutto il resto e che dà – esso solo - l’impressione di provocare la follia di Dino Campana. Follia con ogni probabilità causata dalla sifilide, presumibilmente contratta per via di frequenti incontri con prostitute e che lo porterà in manicomio e alla morte nel 1932.
Riteniamo meritata la Coppa Volpi assegnata a Stefano Accorsi per la migliore interpretazione maschile della 59. edizione del festival cinematografico di Venezia. Chiamato dal regista ad andare oltre, supponiamo che il popolare attore italiano abbia corrisposto a queste aspettative e che alcune sue caratteristiche che in altre circostanze possono essergli nuociute, quali la fissità dello sguardo o una voce talora stridula, in questo caso si siano perfettamente attagliate a rendere le caratteristiche del personaggio Dino Campana e le circostanze di questa storia.
Enzo Vignoli,
11 settembre 2002
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