UN VIAGGIO CHIAMATO AMORE
E’ uno di quei film per i quali è forte la tentazione di limitarsi a definirlo bello: l’evidente impegno estetico del regista Michele Placido, così come il notevole impatto emotivo dei due protagonisti, Stefano Accorsi e Laura Morante, convogliano l’attenzione esclusivamente sulla storia in sé del rapporto fra Dino Campana e Sibilla Aleramo. Una storia d’amore estrema, malata, allucinata, quale era stata inseguita nei loro sogni da entrambi i letterati e che si basa per la realizzazione filmica sul loro carteggio durante gli anni 1916/1918, nonché sul romanzo autobiografico Una donna, dal quale sono tratti i flash-back del periodo adolescenziale della vita della scrittrice, pur se filtrati dagli occhi del poeta romagnolo.
Un amore che trae linfa dallo spirito febbricitante di Campana, dalla sua mente esaltata dalla forza della poesia. Uno sguardo sulla vita, il suo, sensitivo, visionario, nevrotico e reso ancora più acuto e sensibile dalla sifilide che il poeta sbatte in faccia – non si capisce se per pura provocazione – all’Aleramo, che ribatte prontamente di non aver paura dell’amore.
Dall’altra la forza, l’indipendenza, il femminismo della scrittrice e il suo impegno sociale scompaiono di fronte al nuovo vigore di questo sentimento, mentre i suoi frequenti amori con altri esponenti dell’avanguardia letteraria di allora suscitano la folle gelosia a posteriori di Campana.
L’abilità di Placido è quella di concentrarsi e di concentrare la nostra attenzione solo sui dati di questo sentimento, accentuandone il baricentro sull’autore dei Canti Orfici. Tutto il resto non esiste più: ma non perché egli non ne parli; infatti le vicissitudini letterarie di Campana vengono descritte – lo sforzo da lui compiuto per ricostruire la sua opera, la cui unica copia manoscritta era andata perduta, viene adombrato come aggravante della sua pazzia - così come si avverte la centralità della Aleramo nel composito universo letterario di quegli anni; allo stesso modo il generale clima storico non viene sottaciuto: si sa che è in corso la prima guerra mondiale. E’ proprio la forza di quell’amore che prende il sopravvento sul resto, quell’amore nonostante tutto il resto e che dà – esso solo - l’impressione di provocare la follia di Dino Campana. Follia con ogni probabilità causata dalla sifilide, presumibilmente contratta per via di frequenti incontri con prostitute e che lo porterà in manicomio e alla morte nel 1932.
Riteniamo meritata la Coppa Volpi assegnata a Stefano Accorsi per la migliore interpretazione maschile della 59. edizione del festival cinematografico di Venezia. Chiamato dal regista ad andare oltre, supponiamo che il popolare attore italiano abbia corrisposto a queste aspettative e che alcune sue caratteristiche che in altre circostanze possono essergli nuociute, quali la fissità dello sguardo o una voce talora stridula, in questo caso si siano perfettamente attagliate a rendere le caratteristiche del personaggio Dino Campana e le circostanze di questa storia.
Enzo Vignoli,
11 settembre 2002
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