Magnolia |
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Un film di Paul Thomas Anderson.
Con Jason Robards, Julianne Moore, Tom Cruise, Philip Baker Hall, John C. Reilly.
continua»
Drammatico,
durata 160 min.
- Austria 2000.
MYMONETRO
Magnolia
valutazione media:
3,61
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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In questa Valle(y) di lacrime.di Nicola PiceFeedback: 0 |
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giovedì 14 febbraio 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Fa sempre piacere (ri)vedere "Magnolia" di Anderson, ieri in onda su rete4. E che dire che non sia stato già detto... Nove storie che raccontano nove vite in una qualsiasisi afosa giornata a San Ferdinando Valley, California del Sud. Nove vite che si intrecciano, sfiorandosi senza mai incontrarsi, perchè la vita qui nell'impero americano d'occidente scorre rapidissima alla velocità della luce, durissima, senza la possibilità minima di relazioni che non siano poco più che superficiali. Qui non c'è nulla che sappia di umano se non il dolore di un'esistenza inautentica persa a rincorrere ambizioni impossibili/desideri irrealizzabili, qui è l'infelicità a farla da padrone ben celata dietro maschere insincere che si contraggono partorendo grotteschi ipocriti sorrisi socialmente accettabili, qui non c'è posto per l'amore (vero) - di qualunque tipo esso sia - perchè non c'è il tempo per l'amore, perchè l'amore richiede tempo, qui c'è solo rancore, frustrazione, rimorsi, fame di denaro, di successo televisivo. Paul Thomas Anderson descrive magistralmente una umanità (?) all'anno zero e, muovendo la macchina da presa come un entomologo alle prese con un microscopio ingranditore, analizza in maniera spietata il corto circuito emozionale di cui è vittima la società americana (solo quella americana?): l'io e il tu ormai non comunicano tra loro, l'unica dinamica interpersonale è l'aggressività becera, la violenta affermazione dei propri egoismi. Nobilmente ispirato allo stupendo "America oggi" di Robert Altman, che era figlio a sua volta delle short stories carveriane, questo film non manca di difetti, vittima com'è di alcuni virtuosismi barocchi e di una certa lungaggine, che gli impediscono di essere un capolavoro tout court come, al contrario, era stato il precendente - e ben più lineare - "Boogie nights". Rimane, comunque, un gran film che pone - toccando alternativamente le corde del cinismo aggressivo e quelle patetismo ingenuo - fondati interrogativi sui reali bisogni dell'uomo e sulla sua disperata ricerca di un senso che completi la vita, sul desiderio di essere compresi e amati. Un film che è nella sua circolarità narrativa anche una lezione di tecnica cinematografica: piani sequenza che ricordano il "Taxi driver" del miglior Scorsese ma anche ricorso spregiudicato alla soggettiva, ottima fotografia virata su tonalità cupe, uso sapienziale del montaggio alternato. Un film che ci regala alcune interpretazioni straordinarie: un Tom Cruise mai più così bravo ed ispirato, maschera ora dolente ora eccessivamente grottesca, John Reilly che fa l'agente di polizia, il personaggio più autentico ed umano del film, la nevrotica Julianne Moore, accanita consumatrice di psicofarmaci; e poi, la controversa geniale scena finale della pioggia di rane morte, anti-biblica conclusione perchè non più purificatrice come potrebbe essere il fuoco, metaforico velo, bensì, che cade e copre col dovuto disgusto questa valle(y) di miserie umane.
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