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Un piccolo capolavoro, un giallo anni ‘70 alla Hitchcock di Laslo Benedek, il regista de Il selvaggio con Marlon Brando. I protagonisti sono due attori cari a Bergman, Max Von Sydow, nella parte del presunto folle ingiustamente segregato nel manicomio criminale, la fortezza maniero che si affaccia sul mare plumbeo di un gelido paesaggio invernale scandinavo, e Liv Ullmann, la diabolica sorella dell’assassino al centro dell’intrigo, entrambi alle prese con l’ineffabile ispettore, una sorta di Sherlock Holmes svedese, interpretato da Trevor Howard, accompagnato, come il personaggio di Doyle, da un giovane aiutante, tanto pignolo e solerte quanto ottuso. Il meccanismo è quello della stanza chiusa e lo spettatore dovrà capire come il maniaco omicida o per meglio dire il vendicatore giustiziere riesce ad uscire di prigione ogni sera e a rientrarvi la notte stessa nonostante la cosa appaia impossibile da realizzarsi. Interessante l’ambientazione nel piccolo villaggio innevato in cui si muovono i personaggi, che sembrano usciti da un romanzo di Dostoevskij, ognuno preda delle proprie passioni e custode di segreti inconfessabili che ne fanno al tempo stesso vittime e carnefici dei propri simili. Il rinvio quasi parodistico a Il settimo sigillo di Bergman, attraverso le partite a scacchi che Von Sydow fa con l’attempato secondino del carcere, e l’ironica trovata finale, il sorprendente colpo di scena alla Hitchcock, donano al racconto, altrimenti impregnato da una visione pessimista della società, la tonalità della commedia nera, che anziché stonare si sposa bene sia con l’impianto della trama, da classico giallo inglese, sia con l’atmosfera lugubre da tragedia familiare russa.
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