Titolo originale | Masters of Horror: Dance of the Dead |
Anno | 2005 |
Genere | Horror |
Produzione | Canada, USA |
Durata | 59 minuti |
Regia di | Tobe Hooper |
Attori | Jonathan Tucker, Jessica Lowndes, Ryan McDonald, Marilyn Norry, Lucie Guest Robert Englund, Emily Anne Graham, Genevieve Buechner, Margot Berner, Sharon Heath, Don MacKay, Karen Austin, Erica Carroll, Melena Rounis. |
MYmonetro | 2,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 18 gennaio 2011
Una società apocalittica col vizio di risvegliare i morti...
CONSIGLIATO NÌ
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Perché quando il cinema pensa al futuro, lo rappresenta spesso nero, violento e insopportabilmente irrecuperabile? È proprio quello che ci aspetta? Stringendo i denti e tenendo stretta l'ultima delle speranze, possiamo immergerci in questo horror senza timore: è tutto un gioco, talmente senza regole da risultare incredibile, e il cinefilo lo sa bene, se non c'è immedesimazione, la storia non regge. Raramente si vedono così tanti personaggi antipatici in uno stesso film: Peggy (Jessica Lowndes), una ragazza di sani principi, ligia cameriera nel locale della madre, incontra Jak (Jonathan Tucker), motociclista sbandato, abbastanza bello da essere dannato e nascondere un cuore d'oro. La giovane ha sempre vissuto dentro una campana di vetro, riparata dalle grinfie del mondo esterno, e ora che ha conosciuto Jak, vuole rompere quella corazza e uscire per assaporare profumi (ma sarebbe meglio dire odori nauseabondi) e sensazioni mai provate prima (ovvero trip della mente). Così ha inizio un viaggio senza ritorno nella casa dell'inferno Muskeet, un locale ai margini della città, dove il proprietario M. C. (Robert Englund, il vecchio Freddie Krueger) offre ai clienti un umiliante teatrino dei morti, resuscitati per qualche minuto con una scarica elettrica e lanciati sul palco a danzare l'ultimo ballo.
Peggy è assetata di conoscenza; stufa di vivere sotto le ali protettive della madre, vuole rompere la serratura e scoprire il mondo per volare da sola, pur sapendo di correre il rischio di cadere. Nei suoi occhi c'è la voglia di confrontarsi con persone fuori dalla realtà, distanti anni luce dalle sue abitudini e dagli insegnamenti materni, e proprio per questo così intriganti. Il fascino della trasgressione, debolezza tipicamente adolescenziale, è il motore della vicenda. Tutto quello che ne consegue è un elogio alla prevedibilità: la città è abitata da persone desolate, senza riferimenti, che vanno avanti grazie alla consolazione della droga, al brivido dei furti e all'eccitazione dei riti macabri, ma Peggy riuscirà a scoprire ugualmente la sua "verità", agghiacciante quanto tutto il resto. Così tutto quanto diventa parte di una rappresentazione del futuro sconfortante, dove un'umanità completamente disumanizzata non si sorprende più di nulla: il vizio è il pane quotidiano e ciò che ora ci sembra impensabile è all'ordine del giorno. Ma il crimine, se non esiste più un'etica con la quale confrontarsi, può diventare anche molto noioso. Hooper si scorda di questo rischio, e mostrandoci un destino troppo amaro, cade in pieno nel tranello.
Se l'ingenua protagonista femminile si lancia in una nuova vita senza limiti, dimenticandosi di riflettere, lo stesso si può dire per lo stile di ripresa. Sulla scia dell'iniziazione a un'esistenza spericolata, la regia segue un ritmo teso e molto movimentato, scandito da offuscamenti e vibrazioni di camera che ci fanno vedere con gli occhi dei personaggi. Una scelta estetica fine a se stessa che rivela la vera natura del film: un esercizio di stile fatto da un bravo alunno (regista di Non aprite quella porta, capostipite di un nuovo genere horror negli anni Settanta) che ha dimenticato momentaneamente la lezione. Ispirato da un racconto di Richard Matheson, il cineasta preme l'acceleratore sulla violenza, mostrandola nei suoi aspetti più grezzi, senza dare peso alle implicazioni psicologiche che contiene. Un monito per avvisarci di quello che potrebbe succederci? Forse, se questo è il mondo che ci aspetta, è meglio prendere qualche precauzione. Ma dare ascolto a questo film è impossibile.
Non è facile racchiudere in meno di un'ora un soggetto, un'idea, e svilupparla in così breve tempo, ma Hooper ci mette del suo per fare il peggio possibile. Cinquanta e passa minuti di scene da videoclip musicale genere hard rock, è un fastidio continuo che neanche la trama aiuta a distogliere visto che anche la storia in se stessa è molto deludente.