
Titolo originale | Let me Go |
Anno | 2023 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Francia |
Durata | 93 minuti |
Regia di | Maxime Rappaz |
Attori | Jeanne Balibar, Thomas Sarbacher, Pierre-Antoine Dubey, Véronique Mermoud Martin Reinartz, Gianfranco Poddighe, Alex Freeman, Marco Calamandrei, Philippe Schuler. |
Uscita | giovedì 12 dicembre 2024 |
Tag | Da vedere 2023 |
Distribuzione | Wanted |
MYmonetro | 3,53 su 15 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 10 dicembre 2024
Claudine è una donna di mezza età che ha passato tutta la vita ad occuparsi del figlio, sacrificando sé stessa e i suoi sogni. In Italia al Box Office Solo per una notte ha incassato 14,4 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Claudine è la madre di un giovane uomo disabile, che accudisce a casa, dove lavora come sarta. Tutti i santi giorni, tranne il martedì, quando prende il treno e va lontano. Oltre la diga della Grande-Dixence c'è un hotel dove sceglie un uomo, per piacere, per niente, senza legami. Italiano, inglese, tedesco, dopo uno scambio educato di battute incentrate sul paese d'origine dei forestieri, Claudine si invita a salire nella loro camera. Consuma un amplesso, ringrazia e se ne va. Poi un giorno incontra Michael, un ingegnere idrico affascinante e affascinato, che fa progressivamente deragliare la sua routine ascetica.
Incontrare Jeanne Balibar è un dono, un impulso poetico che Maxime Rappaz abbraccia col suo ritmo e la sua silhouette, discreta e fluttuante sopra le architetture di cemento, le cime rocciose e gli angoli scoscesi.
Una panoramica verticale scorre con la funivia lungo la facciata metallica di un hotel e coglie insieme una donna e un paesaggio sublimato dal suo passaggio, dai suoi infiniti riflessi.
Immerso in una fredda luce bianca, Solo per una notte appartiene a un genere inesauribile e non importa quante storie d'amore impossibili abbia collezionato, l'orizzonte del melodramma prende atto ogni volta della loro singolarità. Quella singolarità, come il movimento romantico, è incarnato dal corpo dell'attrice fino a piegare la rigidità delle linee che la sovrastano come l'amore grande per suo figlio. Così grande che non ne ha più per nessun altro. E per se stessa? È la domanda sommessa che pone questo ritratto sofisticato e classico, con il suo pudore antico e la sua deliberata lentezza.
Ambientata nel 1997, prima che i social network prendessero d'assalto le nostre vite e prima che la principessa Diana cedesse al suo tragico destino (il figlio di Claudine la venera insieme a Johnny Logan), l'opera prima di Rappaz annulla gli stereotipi di genere - la madre, la santa, la puttana - per raccontare soprattutto una donna. Una donna un po' teorica a cui Jeanne Balibar dona carne, sangue e un dolore invisibile ma tangibile a chi, come Michael (Thomas Sarbacher), la guarda da vicino. Nei talami occasionali, Claudine vuole soltanto spegnere il mondo, accarezzare, farsi accarezzare, sentirsi viva con qualcuno che non vedrà mai più. Il mistero fuori campo della sua 'libertina' viene dissipato tra le mura domestiche, dove la scopriamo madre devota di un figlio (Pierre-Antoine Dubey) che dipende completamente da lei. È l'amore per lui a imprigionarla, a incatenare l'uno all'altra, senza commiserazione. Poi uno sguardo e un varco si apre in quel suo quotidiano a orologeria, nuovi gesti e nuove possibilità si spalancano per la protagonista che marcia su tacchi troppo alti, ficcati nel cuore di un uomo e di un impressionante impianto idroelettrico.
Presenza-assenza incandescente, Balibar dona sottotesti inaspettati a una storia di emancipazione intima e romantica, solcando un orizzonte apertamente anacronistico. Calamitati dalla sua aura non possiamo che salire in vetta, dove si procura la materia prima per scrivere lettere fittizie inviate al figlio 'da un padre assente'. Tra le due vite di Claudine c'è un compartimento stagno che solo lei può attraversare e che il film si guarda bene dal giudicare, giocando su una dualità permanente, quella di una donna in altitudine che afferma il suo diritto a condurre la vita che crede - è la bella passeggera di un passaggio rituale - e quello di una madre a valle, dedicata e segreta dietro il grembiule di lavoro. Jeanne Balibar è il film, è un'ascensione solitaria e malinconica nella geometria obliqua di Maxime Rappaz.
Ribadisco: film molto svizzero. Incombe una diga enorme, su un bacino ugualmente gelido e immenso. C'è un albergo che sembra un ospedale con camere squallide col lavandino in camera. Una musica martellante rende più tetro quel che di per sé è già abbastanza tetro. Presumibilmente anni ottanta, si fuma nei locali.
Ci troviamo intensamente immersi nella storia di una donna non più così giovane, Claudine, (una splendida Jeanne Balibar) che dalla sua storia passata, di cui veniamo a conoscere solo qualche frammento, non riesce a permettersi una solida storia d’amore. Con un uomo, anche lui non più un ragazzo, un virile ma delicato Michaël (Thomas Serbacher), che non solo l’ama [...] Vai alla recensione »
bellissimo film su un tema delicato che non cade mai nello stereotipo.
Claudine, madre e amante; l'ordine e il controllo come schermi e schemi per tutelare l'esistenza di fronte all'imprevedibilità dei sentimenti, allo smarrimento della ragione, all'abbandono, alla solitudine. È ferma da troppo tempo, anche se sempre in movimento; ha un vissuto profondo come tale è anche la crisi che sta attraversando e che la condurrà a ripensarsi come donna e innamorata, a ricalibrare [...] Vai alla recensione »
Con i suoi 285 metri di altezza, la diga svizzera della Grande Dixence, nel Canton Vallese, è la diga più alta d'Europa e la terza più alta al mondo. Un paesaggio metaforico e ricco di fascino, non solo alpino, che fa da sfondo alla non meno impervia vicenda esistenziale di Claudine, nel film dell'esordiente Maxime Rappaz che in originale è ancora più esplicito di "Solo per una notte" col titolo di [...] Vai alla recensione »
Il debuttante è senza dubbio audace. Inizia il film con la camminata di una donna, impermeabile e tronchetti con il tacco, sulla diga delle Diablerets. Nota un tempo agli svizzeri della regione agli ingegneri del settore. Ora ha il suo bel comprensorio turistico, con passerella sul ghiacciaio. La diga tornerà utile, non è solo paesaggio: calcoliamo un punto a favore delle sceneggiatrici Marion Vernoux [...] Vai alla recensione »
Claudine è una donna cinquantenne che vive in una cittadina della Svizzera francese. Fa la sarta nel suo laboratorio casalingo dove riceve clienti abituali e assiste con dedizione il figlio Baptiste, che ha un debole per Lady Diana e una passione per il cantante Johnny Logan. Siamo nel 1997 in "Solo per una notte", primo lungometraggio del regista svizzero Maxime Rappaz.
Una bella opera prima per Maxime Rappaz e un ruolo su misura per Jeanne Balibar: Claudine, sarta e madre devota che dedica tutta la sua vita al figlio disabile. Ogni martedì però va in un albergo di montagna e si concede a uomini di passaggio, apparentemente solo per raccogliere storie che racconterà al figlio sotto forma di lettere fittizie di un padre sempre in viaggio.
Una silhouette chiara viaggia su un treno tra le montagne. Chioma scura, spalle allineate, busto ben diritto. Un tunnel, alture incombenti, giochi di luce. Una donna attorno ai cinquant'anni alta ed elegante, rossetto rosso, stivaletti col tacco, vestito di biancore che ricorda la neve, cammina fiera costeggiando la monumentale diga idroelettrica della Grande-Dixence in Svizzera.
Ogni martedì Claudine lascia il figlio disabile per un hotel di montagna dove incontra uomini sconosciuti con un denominatore comune: non rivederli mai più. Quando uno di loro le proporrà qualcosa d'altro, Claudine vacillerà. Due ore di noia e di sesso senza glamour né niente. Vademecum di come non si ama. Né un figlio, né un uomo, né il cinema. E tanto meno il pubblico.
Nelle settimane precedenti la morte di Diana (ed è meglio non svelare per quale minuscolo e importante motivo) tra la svizzera Val d'Herens e l'imponente diga Dixence, ogni mercoledì la sarta 50enne e nubile Claudine, madre di un giovanotto disabile a cui ha dedicato tutto, prende autobus e funivia e passa un pomeriggio di sesso occasionale in un hotel.
Una donna viaggia in treno. È sola. Dai vetri della carrozza dov'è seduta, si intravede il predominio della natura. Questione di un attimo, perché l'opera umana si prende subito la scena. Ora quella donna cammina sopra una diga e poi all'interno di una funivia scende a valle, verso un hotel. Claudine, questo il suo nome, si affaccia oltre una tenda per dare un'occhiata alla sala da pranzo.
Estate 1997. Claudine (Jeanne Balibar) una sarta cinquantenne single con figlio disabile conduce una doppia vita. Per la maggior parte del tempo resta al proprio domicilio in un cantone svizzero cucendo vestiti su misura per la gente del luogo, ma un giorno a settimana prende treno e teleferica e si trasferisce in un hotel in alta montagna dove incontra uomini di passaggio per una sola notte di piacere. [...] Vai alla recensione »
Una volta a settimana, non di più, non di meno, Claudine (la meravigliosa Jeanne Balibar, protagonista assoluta di Solo per una notte di Maxime Rappaz) smette di essere la madre coraggiosa di un ragazzo disabile e diventa una donna affascinante e spavalda. La vediamo prendere un treno e scalare (letteralmente, quasi) una montagna per arrivare in un albergo in cima a una diga e lì sedurre con poche [...] Vai alla recensione »
Quello che si può definire la differenziazione di genere è il criterio fondamentale con cui concepiamo le relazioni e lo spazio. Ordinatore dei rapporti tra gli individui, tale sistema si radica e cagiona, nel bene e nel male, rigide schematizzazioni ed aspettative. Che atteggiamenti si pretendono da un uomo o da una donna per reputarli tali? Quali ruoli devono interpretare affinché li si ritenga bravi [...] Vai alla recensione »
Il primo lungometraggio di Maxime Rappaz, regista svizzero uscito dall'ambiente della moda, è un racconto delicato e sensuale della curiosa routine di Claudine (Balibar). Ogni martedì lascia la sua val le, salta su una teleferica e sale in un ristorante a 2.500 metri. Con la complicità del maître sceglie uno sconosciuto di passaggio e si offre a lui.
Claudine (Jeanne Balibar) si occupa amorevolmente di Baptiste, il figlio disabile, ma un giorno a settimana indossa un elegante abito bianco e si reca in un hotel per fare sesso con uomini di passaggio dai quali si fa raccontare particolari della propria città di provenienza. I racconti che raccoglie li usa per scrivere lettere al figlio (siamo nel 1997) fingendo che provengano da suo padre, figura [...] Vai alla recensione »