Fabrizio De André - Principe libero

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Un film di Luca Facchini. Con Luca Marinelli, Ennio Fantastichini, Valentina Bellè, Elena Radonicich.
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Titolo originale Fabrizio De André: Principe libero. Biografico, Ratings: Kids+13, durata 193 min. - Italia 2018. - Nexo Digital uscita martedì 23 gennaio 2018. MYMONETRO Fabrizio De André - Principe libero * * * - - valutazione media: 3,15 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il principe incompleto

di Jack Cinema


Feedback: 215 | altri commenti e recensioni di Jack Cinema
mercoledì 24 gennaio 2018

Delusione.
Un film concepito male.
A parte la scarsa e forzata somiglianza fisica e timbrica, il film non rende giustizia ne' alla persona ne' all'artista.
Chi si avvicinasse al personaggio seguendo la sceneggiatura ne avrebbe l'idea di un genio le cui opere scaturiscono quasi per caso, tra una scopata in un bordello, una scappata extraconiugale e una sbronza in qualche bar tra i carrugi.
Il suo carattere goliardico e seduttore, che emerge tra gli anfratti della sua timidezza, e' infatti l'ultimo aspetto che dovrebbe avere risalto, non perché non sia reale o non sia parte integrante della sua vita, ma per due motivi: primo perché un personaggio così schivo e così ostico ai riflettori avrebbe fatto a meno di "raccontarsi" al grande pubblico nelle sue vesti più intime, secondo perché ne esce fortemente indebolita la sua parte più sensibile, quella che ha dato vita ai personaggi più "umani", che raccontano le storie di tutti i giorni delle persone di tutti i giorni. Gli "ultimi", i dimenticati.
L'assassino, la prostituta, il ladro di cervi, la transessuale, il soldato con un segreto amore omosessuale.
Quelsottobosco urbano, quel "sottoproletariato", come lui stesso lo definiva, di cui il Miche' suicida in cella era espressione, raccontato con parole così profonde, o un Geordie che lui sentiva quasi come un terzo figlio suo, e per la cui sorte provava una empatia tale da dedicargli versi memorabili. Quei versi scaturiscono da uno studio accurato di tempi lontani, da una passione per l'umanità e per i suoi errori, per la storia, che solo un approfondimento culturale, musicale, antropologico, poetico, a partire dai tempi degli apostoli dei vangeli apocrifi della buona novella al "vecchio professore" della città vecchia passando per il medioevo del "Re fa rullare i tamburi" possono generare, con tanta dolcezza nel raccontare episodi spesso cruenti o violenti.
Di questo studio, di questa passione, di tanto impegno nelle lotte sociali, solo qualche cenno in tre ore di sceneggiatura.
Non una scena di impegno sociale o di discussione sulla pena di morte, ad esempio, non un accenno del Gorilla di Brassens.
Non una parola sugli accadimenti contemporanei, sulle lotte e sulle conquiste sociali, sulle guerre, sulle emarginazioni, sulle violenze, non un riferimento a quella "Storia sbagliata" di Pasolini ucciso, mentre ci sarebbe stato tanto da dire, da raccontare, da suonare.
Si, l'amico Tenco morto suicida gioca un ruolo fondamentale, e Preghiera in gennaio ne è buona testimonianza, ma tutto il resto?
Pare che tutti i personaggi di Spoon River (Fernanda Pivano e' nominata solo per nome e pochi sanno cosa ha tradotto) siano nati quasi per caso, o come se il Bombarolo fosse un gentile omaggio con l'acquisto di una stecca di sigarette, e che il Maggio parigino lui l'abbia vissuto solo tra le braccia di Dori, isolandosi dal mondo. Non è così.
Fabrizio e' sempre stato accanto ad ogni singolo essere umano che compie la sua lotta, giorno per giorno, e la sua anarchia più profonda e' sicuramente frutto di incontri, di dialoghi, di partecipazione e di uno studio che in questo film paiono essere non pervenute, salvo sporadiche battute. In tre ore di film almeno tre scene di sesso, di tradimento, di sbronze, e di immancabile fumo. Non che non dovessero essere raccontate, anzi sono aspetti che fanno parte di quelle umane debolezze e fallibilità di cui Faber stesso era innamorato negli altri esseri umani, e di quella indole anarchica che e' stata il manifesto della sua vita, ma farne i caratteri dominanti di una personalità così poetica e profonda, tralasciandone invece la parte umanistica e intellettuale, quella cioè che ha fatto il genio delle sue creazioni, mi pare del tutto riduttivo e parziale.
Anche degli amici e dei colleghi di cui si circonda, a Genova come a Tempio, quegli amici che costituiscono l'humus intellettuale e musicale di un impegno fervido e creativo, poco viene raccontato: La PFM neanche citata, Mauro Pagani, Ivano fossati, Giampiero Reverberi, neanche nominati, e neanche un cenno, neanche un fotogramma, su quel folletto di Mark Harris, il geniale arrangiatore, tastierista, suonatore di bandoneon, al quale si devono, tra le tante altre cose, tutti gli intro elettronici sperimentali del disco dell'indiano.
Un disco di svolta post rapimento, che sarebbe stato bello raccontare con qualche accenno anche nelle sue tracce più oniriche o fantasiose, come i Verdi Pascoli o Franziska. Capisco che non si possa fare una monografia d'autore in un film, e che forse neanche era lo scopo del film.
Ma in tre ore di (troppo)lungometragggio, forse qualche pezzo significativo in più l'avrei messo, magari spiegandone nella sceneggiatura la genesi.
Parlo per esempio di qualche traccia dalla "buona novella", così come della Giovanna D'Arco, o della Princesa che "a un avvocato di Milano ha rubato il cuore", o della stessa "Geordie" Parlo della interpretazione dei comandamenti nel Testamento di Tito, che è di fatto una rivelazione della sua umanità e un "j'accuse" ai benpensanti clericali.
Quindi era lui, era la sua personalità, erano le sue idee. Era il Fabrizio da raccontare. Se per tre volte ritorna la stupenda "canzone dell'amore perduto", si sarebbe potuto fare cenno anche a quei Rom di Khorekane' in Anime Salve, di una cultura lontana dalla sua terra ma che per lui costituiva una "goccia di splendore", ad esempio.
Tra l'altro un film pieno anacronismi musicali funzionali -a detta di altre critiche- ad una scelta consapevole e ad un adattamento estetico, ma che a me pare un controsenso, se si vuole narrare la vita di un "cantastorie" le cui opere sono figlie del loro tempo, sia da un punto di vista socio-politico che da un punto di vista estetico.
Nulla nasce per caso, neanche il Don Raffaè, ipotesi di quel Raffaele Cutolo che emerge dai ritratti di una società marginale permeata dal potere mafioso, che evidentemente Faber aveva avuto il tempo di analizzare, studiare, capire.
Invece nel film non c'è traccia di quel tempo di studio sociale ne' tantomeno di una canzone che sarà destinata ad essere annoverata tra i capolavori di un artista a tutto tondo, che parlava, scriveva, cantava e pensava in dialetti diversi e di luoghi diversi, da Genova all'oriente, da Napoli alla Gallura, facendo di ogni idioma una lingua sua e universale, ed universalmente espressiva, come un grammelot senza finzione fonetica.
Un film quindi che pare incompiuto e incompleto, non adatto a far conoscere alle nuove generazioni un De Andre' poeta, e musicista, anarchico e profondo, intellettuale e amante del proletariato, di famiglia borghese ma dalla vita umile; e al contempo non efficace per chi ne conosce già il carattere e le opere, e che forse nutre aspettative di rappresentazione più ad ampio spettro.
Da segnalare un ottimo Fantastichini nei panni di Giuseppe De Andre', che però ruba a mio avviso troppa scena al racconto del figlio.

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maria martedì 6 febbraio 2018
non voleva essere una biografia
33%
No
67%

Le omissioni che tu evidenzi ci sono certamente ma fanno parte di una scelta stilistica e narrativa. Il film non vuole essere la biografia di Fabrizio de Andrè ma l'esplorazione di una parte della sua anima e della sua vita, soprattutto privata - anche se legata indissolubilmente al suo percorso musicale.E in questo ritratto intimo e inedito riesce perfettamente a restituirci la sua memoria e l'infinito affetto per lui. Poi,certamente, tutto si può fare meglio. Ma non lo ritengo affatto un tradimento della sua immagine e della sua storia, piuttosto un arricchimento.

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