La dolce vita |
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Un film di Federico Fellini.
Con Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aimée, Yvonne Furneaux.
continua»
Commedia,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 173 min.
- Italia, Francia 1960.
- Cineteca di Bologna
uscita lunedì 7 ottobre 2024.
MYMONETRO
La dolce vita ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Ca..o che film
di paolino77Feedback: 1000 | altri commenti e recensioni di paolino77 |
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giovedì 18 agosto 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Qualche critico disse che questo non era degno di chiamarsi cinema, ma forse è qualcosa di più che cinema. E' una parte della vita di chi guarda, e riesce a modificare qualcosa nei suoi spettatori. In questo senso, soprattutto per quest'ultimo aspetto, è un film assolutamente eccezionale, forse unico, forse davvero il film del secolo (del XX secolo). Una tecnica di una presisione millimetrica, un calcolo freddo per quello che doveva sembrare un resoconto a caldo, un lavoro di alto artigianato, calcolato ma frutto anche di illuminazioni tanto da sacrificare sequenze e personaggi e aggiungerne invece altri, a causa di quella visione delle cose tipica di Fellini di saper essere ad un tempo dentro e insieme fuori dal film, con una narrazione, una descrizione che nei dettagli e nelle sfumature coglie e rappresenta umori, sensazioni, timori, speranze, velleità di una società che stava (in ogni cosa questo è il momento migliore per vedere tutto, per capire tutto, o per accettare tutto) trasformandosi negli anni di passaggio al "boom", col rapporto uomo-donna che stava cambiando (le case chiuse erano state abolite da poco), con l'ascesa della borghesia, volgare e arrivista (i nobili non contano più nulla e vivono come in un universo parallelo), con la pagana deificazione delle star dello spettacolo, con personaggi venuti non si sa da dove (nella scena dell'"orgia" finale ne incontriamo molti per la prima volta) sfatti nel ripetere riti fino alla noia e alla ricerca di emozioni surrogate giocando a nascondino con la morale e con la morte (chiara l'allusione al "caso Montesi" - che ha rivelato agli italiani dei begli altarini - nella scena dell'ingenua ubriaca e addobbata come una grossa gallina). Il film è anche una esaltante opera d'arte in cui concorrono svariati talenti; dal genio di Fellini che unisce tutto, come in tutti i suoi film, in un "corpo" cinematografico impressionante come pochi, o forse come nessuno (forse Kubrick, ma siamo in un altro "dottore" della condizione umana, con una visione del mondo non troppo dissimile nelle conclusioni ma meno "dolce", appunto, di quella felliniana), al talento di Flaiano, capace di rimettere a posto con una battuta come lama di rasoio una scena o una sequenza rispetto al rischio di sentimentalismo causa lo spiritualismo, l'amore per le persone e le cose di Fellini; a quello di Pinelli, decisivo nella trasfigurazione della realtà in fiaba assieme allo scenografo e costumista Gherardi (un Oscar strameritato); alle collaborazioni con Brunello Rondi (che conosceva certi ambienti ritratti nel film e ha suggerito su quali personaggi si doveva più insistere) e a quella, non accreditata, di Pasolini, che fornì consigli e aiutò Fellini in certe scelte importanti. Paradossalmente, la scena che rivelò le maggiori difficoltà fu proprio l'"orgia" finale; ma qui Fellini fu aiutato dal suo occhio, sempre sul crinale tra orrore e estasi, qui chiaramente (o si dovrebbe dire oscuramente) più verso la prima sensazione. "Non esiste, è una invenzione (magari bella) di Fellini"; "L'Italia era proprio così". Chi ha ragione? Per comprendere Fellini bisogna considerare che per lui la realtà - come ribadirà in "Otto e mezzo" - è inseparabile, non ha senso al di fuori dell'esperienza soggettiva, che vuol dire anche sogno, fantasia, fantasticheria, ma sfido io a chi sappia aver rappresentato, rivelato meglio di lui con verità minuzuisa certi aspetti della realtà che tutto quanto è seguito al film non ha fatto che dimostrare.
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