The Program |
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Un film di Stephen Frears.
Con Ben Foster, Chris O'Dowd, Dustin Hoffman, Lee Pace.
continua»
Titolo originale The Program.
Biografico,
Ratings: Kids+13,
durata 103 min.
- Gran Bretagna 2015.
- Videa
uscita giovedì 8 ottobre 2015.
MYMONETRO
The Program
valutazione media:
2,73
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il grande bluffdi PointBreakFeedback: 934 | altri commenti e recensioni di PointBreak |
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lunedì 12 ottobre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Gli appassionati di ciclismo non si aspettino grandi emozioni sportive, impervie salite o volate storiche. Solo piccoli flash amarcord introducono la pellicola di Frears basata sul marciume legato al doping e sull'inchiesta di un bravo giornalista che mantiene la schiena dritta e non si fa piegare da nessuno. Il film è un insolito biopic-investigativo tratto proprio dal libro di David Walsh, cronista del Sunday Times che già nel 2004 aveva scritto "L.A. Confidential, i segreti di Lance Armstrong".
L'indagine parte dalle nefandezze di un medico italiano, Michele Ferrari (pare volesse bloccare l'uscita del film, non riuscendoci per fortuna) indicato come l'artefice del "programma" – da qui il titolo – poi definito come la «più complessa e duratura macchina da doping mai vista nello sport professionistico». Armstrong, giovane americano dal fisico non avvezzo alle lunghe tappe del Tour de France, vuole emergere dall'anonimato e affidarsi a Ferrari per costruire i suoi successi artefatti.
Una storia sconcertante, drammaticamente vera, appassionante e coinvolgente anche per chi non ha mai seguito il ciclismo. Dal tumore guarito al testicolo, alle 7 vittorie consecutive del Tour, passando per le iniezioni di gruppo della squadra del “treno blu”. Il tutto, condito da bugie sconvolgenti raccontate con una tale nonchalance da lasciare nello spettatore un’amara sensazione di sconfitta.
Il limite del plot, come in quasi tutti i biopic, è la carenza di sorprese: lo spettatore sa già come andrà a finire. Ma non per questo la sceneggiatura è meno cinegenica di altre biografie. Il merito del regista è proprio quello di tenere incollato allo schermo un pubblico ampio, dalle donne (poco propense a questo sport) a chi non ha mai seguito una sola tappa del Tour. La pellicola scorre con un buon climax e senza occhio all'orologio grazie al sapiente montaggio (anche sonoro) e all’ottima performance di Ben Foster, aiutato da una netta somiglianza col ciclista. Nella seconda parte tuttavia emergono leggeri cali di tensione; si sarebbe potuto sfruttare di più il talento di Dustin Hoffman, ridotto a una piccola apparizione.
Il finale risulta un po' troppo sbrigativo, quasi a voler lasciare un lieve spazio di redenzione per il finto campione-eroe, ossessionato dal successo e prigioniero del suo ego. La sua maschera cadrà giù solo dopo una fredda confessione in tv. Da lì tornerà a scalare un'ultima lunga e difficile salita: quella della vita.
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