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martedì 15 febbraio 2022
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bho....
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matteo fedele
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venerdì 15 maggio 2020
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troppo veloce per essere credibile
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Il film più impersonale di Stephen Frears corre. Vola quasi, come il suo antieroe protagonista. Va talmente veloce che viene da chiedersi come faccia a non fermarsi mai. Dà per scontate tutte le tappe della carriera di Armstrong. Sembra essere sicuro che il pubblico le conosca già. E quindi le riassume anziché approfondirle, le costeggia senza fermarsi e poi pedala via. Non cerca la frustrazione di Lance prima di iniziare col doping. Non mostra la sofferenza della malattia e la forza di volontà con cui ne è uscito. Non evidenzia il legame di fratellanza all'interno della sua squadra e l'ovvia paura di essere scoperti.
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Il film più impersonale di Stephen Frears corre. Vola quasi, come il suo antieroe protagonista. Va talmente veloce che viene da chiedersi come faccia a non fermarsi mai. Dà per scontate tutte le tappe della carriera di Armstrong. Sembra essere sicuro che il pubblico le conosca già. E quindi le riassume anziché approfondirle, le costeggia senza fermarsi e poi pedala via. Non cerca la frustrazione di Lance prima di iniziare col doping. Non mostra la sofferenza della malattia e la forza di volontà con cui ne è uscito. Non evidenzia il legame di fratellanza all'interno della sua squadra e l'ovvia paura di essere scoperti. E soprattutto non esterna il senso di colpa che l'ha portato da colpevole a pentito. Prima si atteggia a padrino mafioso, minacciando i colleghi a bassa voce durante le gare e facendo monologhi da delirio di onnipotenza mentre scende le scale. Poi il suo ex compagno di ventura confessa, e confessa anche lui. Si sentiva in colpa? Si è sentito meglio dopo la revoca dei suoi premi immeritati? Il film non ce lo dice perché anziché romanzare mantiene la dimensione giornalistica del libro-inchiesta da cui è tratto. Ed è questo il suo limite principale. Mentre il cast è il suo punto di forza. Ben Foster è ottimo nei panni di Armstrong e Jesse Plemons svetta in quelli del suo combattuto compagno Landis. Bravo anche Chris O’Dowd nel ruolo del giornalista David Walsh. La sua ardua indagine ricorda quella di “Tutti gli uomini del presidente” e questo parallelismo rende tutt'altro che casuale la breve presenza di Dustin Hoffman (omaggiato anche con un accenno di “Mrs. Robinson” in colonna sonora). Ma tutti loro avrebbero beneficiato di una narrazione meno forsennata.
In sintesi un’opera solo discreta, che avrebbe potuto essere un ottimo dramma sportivo e giornalistico se non avesse scelto di fare la cronistoria di un'intera carriera e si fosse invece concentrato sui piccoli momenti. Come la scena in cui Lance rinuncia ai suoi impegni per stare con un bambino malato di cancro, una delle poche in cui vediamo il Lance autentico, l'unica in cui il film vola davvero.
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sellerone
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giovedì 20 settembre 2018
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il giallo del ciclismo
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Rischiava di essere un documentario, per fortuna la narrazione ha avuto la capacità di fare bene il suo lavoro dandoci un prodotto di buona qualità. Uno scandalo epocale, non per il doping, ma per il doppio tradimento di un uomo affamato vi vittoria e di rivincita che non si è fermato quando doveva. La parte buona dello sport però emerge e svela tutto. Non entro in quello che succede anche oggi, ma questo film è un atto dovuto non tanto per la brutta storia su cui si basa, quanto per la presenza di persone oneste che l'hanno fatta emergere.
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gianleo67
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martedì 28 giugno 2016
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il giallo della maglia gialla
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Esordio, malattia, ascesa e caduta di Lance Armstrong, uno dei più grandi fenomeni del ciclismo moderno passato dagli altari degli Champs-Élysées alla polvere delle accuse di doping, fino alla definitiva revoca dei suoi maggiori titoli sportivi. Tutto secondo la ricostruzione dei fatti del suo più attento osservatore e grande detrattore: il giornalista sportivo del Sunday Times, David Walsh.
l giallo della maglia gialla più controversa della storia del ciclismo in un biobic on cyclette del britannico Stephen Frears è l'adattamento decisamente sbiadito del libro-inchiesta del suo conterraneo David Walsh (Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong): una cronaca noiosetta e romanzata di una vicenda umana e sportiva che si tiene lontana tanto dalle spettacolari fatiche dalla Grande Boucle quanto dalla complessità di un fenomeno ben più ampio di cui pare non volere o sapere cogliere la reale dimensione epocale.
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Esordio, malattia, ascesa e caduta di Lance Armstrong, uno dei più grandi fenomeni del ciclismo moderno passato dagli altari degli Champs-Élysées alla polvere delle accuse di doping, fino alla definitiva revoca dei suoi maggiori titoli sportivi. Tutto secondo la ricostruzione dei fatti del suo più attento osservatore e grande detrattore: il giornalista sportivo del Sunday Times, David Walsh.
l giallo della maglia gialla più controversa della storia del ciclismo in un biobic on cyclette del britannico Stephen Frears è l'adattamento decisamente sbiadito del libro-inchiesta del suo conterraneo David Walsh (Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong): una cronaca noiosetta e romanzata di una vicenda umana e sportiva che si tiene lontana tanto dalle spettacolari fatiche dalla Grande Boucle quanto dalla complessità di un fenomeno ben più ampio di cui pare non volere o sapere cogliere la reale dimensione epocale. Che il ciclismo fosse uno sport ostico e difficile da rendere da un punto di vista cinematografico è una cosa di cui il film di Frears pare non fare mistero, mantenendosi quasi sempre a bordo pista e più spesso nelle retrovie di una carovana sportiva trasformata nell'ospedale da campo di una pratica farmacologica fraudolenta e pericolosa; ma ciò che lo rende una ricognizione documentaria sanza lode e con molte infamie è piuttosto lo sposare l'insopportabile clichè del film a tesi con l'algido schematismo di un'operazione verità che puzza di mistificazione lontano un miglio.
Confuso e indeciso tra una rappresentazione di finzione di fatti reali in cui le psicologie dei personaggi sembrano appiattite sul versante di un incomprensibile pregiudizio mefistofelico ed una disonesta videocronaca di vicende notorie giudicate col senno di poi, questa cronoscalata verso la vergogna e il disonore di una gogna mediatica fuori campo sembra l'inutile accanimento terapeutico verso una singola cellula malata di uno dei cancri del nostro tempo (la frode nello sport in generale e nel ciclismo in particolare) che si guarda bene dal j'accuse generalizzato verso un sistema disonesto e metastatico di cui si limita a fornire solo indizi labili ed inconsistenti: la connivenza delle istituzioni sportive, l'interesse economico degli sponsor, la resilienza corporativa degli atleti, persino la stupidità interessata dei mezzi di informazione. Ne riesce un quadro parziale e altrettanto ingannevole quindi, in cui l'attore principale sembrerebbe solo un diabolico arrivista texano che sperimenta sul proprio corpo le venefiche pozioni di un elisir, se non di lunga vita, almeno di lunga vittoria; capace quasi da solo di tenere in scacco un sistema di controlli e arginare le falle di una teoria del complotto che vanta centinaia di testimoni per più di una ventina di anni. Nessuna disamina seria quindi di un fenomeno che avrebbe meritato un trattamento più rispettoso dell'intelligenza dello spettatore e più amore per la verità dei fatti, ma uno scialbo sensazionalismo in cui le bugie non solo non hanno le gambe corte ma sono in grado addirittura di vincere sette, dicasi sette, Tour de France di fila. Roba che Hinault ancora si morde le mani e Fausto Coppi non ha ancora finito di rivoltarsi nella tomba. Attori sotto il livello di guardia e un Dustin Hoffman nel ruolo di uno spericolato speculatore assicurativo che in queto film c'entra come i cavoli a merenda. Quando dicevo che quello là non me la contava giusta non mi credeva nessuno.
"Io sto qui che aspetto Bartali
scalpitando sui miei sandali...
e tu mi fai dobbiamo andare al cine…
…e vai al cine vacci tu"
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iuriv
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domenica 6 marzo 2016
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ascesa e caduta di un baro.
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Quella di Lance Armstrong è una vicenda complessa. Una truffa ai danni degli appassionati di ciclismo, contemplata da un uomo divorato dall'ambizione personale e, tutto sommato, tollerata da un mondo che aveva bisogno di una storia edificante per lavare le proprie macchie.
Frears la porta sullo schermo tentando di andare al sodo, eliminando preamboli e purificando il suo lavoro da ogni tentazione salvifica. Con Armstrong il regista ci va giù pesante, forse giustamente. Sorvola sui matrimoni, sugli scampoli di successo e si concentra sulla solitudine di quest'uomo che, una volta sconfitto un cancro che in molti davano per incurabile, si è sentito onnipotente.
Ad accompagnarci al fianco di questa figura carismatica ma deviata c'è Ben Foster, attore che sbaglia qualche espressione (mimica forse un po' eccessiva in alcuni tratti particolarmente delicati della pellicola), ma somigliante alla controparte originale a tal punto da ricordare una fotocopia in tre dimensioni.
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Quella di Lance Armstrong è una vicenda complessa. Una truffa ai danni degli appassionati di ciclismo, contemplata da un uomo divorato dall'ambizione personale e, tutto sommato, tollerata da un mondo che aveva bisogno di una storia edificante per lavare le proprie macchie.
Frears la porta sullo schermo tentando di andare al sodo, eliminando preamboli e purificando il suo lavoro da ogni tentazione salvifica. Con Armstrong il regista ci va giù pesante, forse giustamente. Sorvola sui matrimoni, sugli scampoli di successo e si concentra sulla solitudine di quest'uomo che, una volta sconfitto un cancro che in molti davano per incurabile, si è sentito onnipotente.
Ad accompagnarci al fianco di questa figura carismatica ma deviata c'è Ben Foster, attore che sbaglia qualche espressione (mimica forse un po' eccessiva in alcuni tratti particolarmente delicati della pellicola), ma somigliante alla controparte originale a tal punto da ricordare una fotocopia in tre dimensioni.
E così Frears ha gioco facile a miscelare le scene del suo film con gli spezzoni televisivi e le immagini di repertorio, modificate abilmente per fondere la realtà con la finzione. Indubbiamente lo scarso tempo a disposizione ha molti svantaggi, tra cui quello di non poter andare veramente a fondo della vicenda, tralasciando punti che forse avrebbero spiegato meglio la deriva psicologica del ciclista, ma ha anche il vantaggio di condensare gli avvenimenti, premiando il ritmo. Il giusto tocco musicale, poi, riesce a rendere la visione godibile, nonostante un protagonista negativo e odioso.
Parallelamente alla storia principale, il regista omaggia l'autore del libro da cui è stata tratta, narrando le fasi della sua indagine. Dai dubbi iniziali sulla resurrezione del ciclista americano, fino agli affondi indiziari che gli faranno trovare alleati importanti. Ma probabilmente il punto debole del film è proprio nel trattamento lieve a cui viene sottoposta la fase investigativa e che trova il suo culmine nell'inutile presenza di un Dustin Hoffmann che sembra non avere nemmeno troppa voglia di essere li.
The Program è quindi un film che punta sull'immediatezza della visione. Difficilmente lascia strascichi, perché nonostante provi a prendere di petto Armstrong, la verità è che lascia dietro di se poco su cui riflettere. Una buona pellicola, comunque, che fa passare un'ora e mezza coinvolgendo lo spettatore, anche grazie a un ritmo sostenuto ad alcune scene di ciclismo indovinate.
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filippo catani
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venerdì 16 ottobre 2015
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ascesa e caduta di lance armstrong
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Lance Armstrong è un discreto corridore fin quando la sua carriera viene bruscamente fermata da un tumore ai testicoli. Ritornato in sella, l'atleta americano riuscirà a vincere sette Tour de France consecutivi. Un noto giornalista sportivo nutre sospetti sulle sue prestazioni.
Forse è stata la vicenda che più ha sconvolto gli appassionati di ciclismo e di sport in generale. Certo che dietro al "caso Armstrong" ci sono montagne di responsabilità che chissà se verranno mai alla luce. Dopo l'ottimo documentario The Armstrong lie si passa quì a una pellicola superbamente interpretata da Ben Foster. Il regista Frears ha il merito di intavolare una pellicola che magari agli appassionati non racconta nulla di nuovo ma che ai profani spiega chiaramente chi era Armstrong e quale potere avesse assunto all'interno del mondo del ciclismo che gli permetteva di fare brutte frequentazioni.
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Lance Armstrong è un discreto corridore fin quando la sua carriera viene bruscamente fermata da un tumore ai testicoli. Ritornato in sella, l'atleta americano riuscirà a vincere sette Tour de France consecutivi. Un noto giornalista sportivo nutre sospetti sulle sue prestazioni.
Forse è stata la vicenda che più ha sconvolto gli appassionati di ciclismo e di sport in generale. Certo che dietro al "caso Armstrong" ci sono montagne di responsabilità che chissà se verranno mai alla luce. Dopo l'ottimo documentario The Armstrong lie si passa quì a una pellicola superbamente interpretata da Ben Foster. Il regista Frears ha il merito di intavolare una pellicola che magari agli appassionati non racconta nulla di nuovo ma che ai profani spiega chiaramente chi era Armstrong e quale potere avesse assunto all'interno del mondo del ciclismo che gli permetteva di fare brutte frequentazioni. Ecco allora che oltre al lato sportivo ciò che più interessa al regista è il lato umano di un uomo che anche davanti allo specchio mentiva a se stesso dicendo a più riprese di non essere mai stato trovato positivo a un controllo antidoping (frase che ripeterà ossessivamente fino all'intervista con Oprah). Certo Armstrong era il frutto di un albero marcio che posava le sue radici in uno sport messo a dura prova dall'intervento di doping e dottori. Bello il duello con il giornalista Welsh che si trova a lottare praticamente contro tutti per sgominare l'inganno Armstrong. Insomma un buon film su una vicenda che deve ancora vedere tutte le sue conclusioni.
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flyanto
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venerdì 16 ottobre 2015
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la biografia di un grande ciclista dopato
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"The Program" racconta la biografia del famoso ciclista statunitense Lance Armstrong: la sua inarrestabile salita e la sua conseguente caduta dopo la scoperta e l'ammissione definitiva dalla parte del ciclista stesso di avere sempre fatto uso di sostanze dopanti sono qui ben presentate dal regista Stephen Frears. Il ritratto che ne emerge è quello di un uomo tutto sommato molto fragile, disposto a tutto pur di raggiungere quello che più vuole e nel film viene evidenziato che sin dall'inizio egli, pur essendo un buon ciclista, non possedeva affatto quelle capacità o qualità che occorrono per emergere. Mancanze che si possono benissimo ottenere artificialmente grazie all' aiuto di svariate sostanze atte ad accrescere le proprie potenzialità e proprio all'uso costante di esse, Armstrong divenne un campione mondiale, vincendo per ben sette volte il tour de France.
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"The Program" racconta la biografia del famoso ciclista statunitense Lance Armstrong: la sua inarrestabile salita e la sua conseguente caduta dopo la scoperta e l'ammissione definitiva dalla parte del ciclista stesso di avere sempre fatto uso di sostanze dopanti sono qui ben presentate dal regista Stephen Frears. Il ritratto che ne emerge è quello di un uomo tutto sommato molto fragile, disposto a tutto pur di raggiungere quello che più vuole e nel film viene evidenziato che sin dall'inizio egli, pur essendo un buon ciclista, non possedeva affatto quelle capacità o qualità che occorrono per emergere. Mancanze che si possono benissimo ottenere artificialmente grazie all' aiuto di svariate sostanze atte ad accrescere le proprie potenzialità e proprio all'uso costante di esse, Armstrong divenne un campione mondiale, vincendo per ben sette volte il tour de France.
Stephen Frears, maestro nella regia, costruisce un'opera lineare e fedele ai fatti reali, e la rende anche avvincente presentando il ritratto del ciclista Armstrong in tutte le sue sfaccettature e motivazioni che lo hanno indotto a comportarsi così nel corso della sua carriera sportiva. E così lo spettatore assiste al passaggio da parte di Armstrong dall'essere ben determinato a sfondare nel ciclismo, al suo sconcerto ed alla sua sofferenza alla notizia di avere un cancro ad un testicolo, alla sua conseguente soddisfazione dopo aver brillantemente superato il serio male, al suo sincero intento di aiutare poi altre persone affette da mali incurabili, sino alla sua palese arroganza e superiorità nel corso e dopo ogni vittoria ciclistica e durante soprattutto le svariate e fondate accuse di essere dopato ed alla finale ammissione, ormai peraltro anche sbugiardato pubblicamente da parte di un giornalista irlandese ed infine da un compagno del suo stesso team.. E tutta questa altalena di stati d'animo (quanto mai umani) viene ben resa anche dalla recitazione dell'attore Ben Foster, sapientemente scelto da Frears per il ruolo di Lance Armstrong e che, peraltro, grazie anche ad un abile ed esperto make-up, riesce anche ad assomigliare un poco fisicamente al ciclista reale.
Interessante, altamente consigliabile.
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gaaab
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martedì 13 ottobre 2015
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il coraggio di stephen frears
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“ Stephen Frears è coraggioso, a tratti persino bravo ma alla fine il suo film risulta positivo al controllo qualità almeno quanto il suo protagonista ”
Ascesa e caduta in poco meno di due ore per Stephen Frears, regista di Philomena e The Queen qui chiamato a tratteggiare i lineamenti della frode sportiva probabilmente più celebre e clamorosa di tutti i tempi, quella del vincitore per 7 volte consecutive del Tour de France: Lance Armstrong. Nel farlo il regista si è affidato alla sceneggiatura di John Hodge, che ha preso spunto da Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong, libro di David Walsh. La ricostruzione storica ci conquista, grazie anche ad un intenso, somigliante e credibile Ben Foster e alle splendide riprese “su strada” con telecamera montata sulla bici.
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“ Stephen Frears è coraggioso, a tratti persino bravo ma alla fine il suo film risulta positivo al controllo qualità almeno quanto il suo protagonista ”
Ascesa e caduta in poco meno di due ore per Stephen Frears, regista di Philomena e The Queen qui chiamato a tratteggiare i lineamenti della frode sportiva probabilmente più celebre e clamorosa di tutti i tempi, quella del vincitore per 7 volte consecutive del Tour de France: Lance Armstrong. Nel farlo il regista si è affidato alla sceneggiatura di John Hodge, che ha preso spunto da Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong, libro di David Walsh. La ricostruzione storica ci conquista, grazie anche ad un intenso, somigliante e credibile Ben Foster e alle splendide riprese “su strada” con telecamera montata sulla bici. Dall'altra però ci disorienta perché il racconto, soprattutto nella prima parte è saturo di eventi che si susseguono ad un ritmo troppo elevato per essere assimilato dal pubblico in sala.
A circa metà dell'opera la narrazione si fa più dinamica e quasi “sorrentiniana” ricordandoci a tratti persino Il Divo, grazie ad innesti grafici che personaggio dopo personaggio presentano i celebri atleti che componevano il “treno azzurro” del texano. Il film scatta poi improvvisamente sui pedali volando indisturbato verso il traguardo, senza curarsi di lasciare il tempo ad una profonda riflessione sui fatti e alzando le mani in segno di vittoria sotto il cartello dei titoli di coda. Un finale che somiglia ad un velocista che pur di arrivare primo non si cura minimamente del suo stile e del valore del suo ematocrito.
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pointbreak
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lunedì 12 ottobre 2015
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il grande bluff
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Gli appassionati di ciclismo non si aspettino grandi emozioni sportive, impervie salite o volate storiche. Solo piccoli flash amarcord introducono la pellicola di Frears basata sul marciume legato al doping e sull'inchiesta di un bravo giornalista che mantiene la schiena dritta e non si fa piegare da nessuno. Il film è un insolito biopic-investigativo tratto proprio dal libro di David Walsh, cronista del Sunday Times che già nel 2004 aveva scritto "L.
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Gli appassionati di ciclismo non si aspettino grandi emozioni sportive, impervie salite o volate storiche. Solo piccoli flash amarcord introducono la pellicola di Frears basata sul marciume legato al doping e sull'inchiesta di un bravo giornalista che mantiene la schiena dritta e non si fa piegare da nessuno. Il film è un insolito biopic-investigativo tratto proprio dal libro di David Walsh, cronista del Sunday Times che già nel 2004 aveva scritto "L.A. Confidential, i segreti di Lance Armstrong".
L'indagine parte dalle nefandezze di un medico italiano, Michele Ferrari (pare volesse bloccare l'uscita del film, non riuscendoci per fortuna) indicato come l'artefice del "programma" – da qui il titolo – poi definito come la «più complessa e duratura macchina da doping mai vista nello sport professionistico». Armstrong, giovane americano dal fisico non avvezzo alle lunghe tappe del Tour de France, vuole emergere dall'anonimato e affidarsi a Ferrari per costruire i suoi successi artefatti.
Una storia sconcertante, drammaticamente vera, appassionante e coinvolgente anche per chi non ha mai seguito il ciclismo. Dal tumore guarito al testicolo, alle 7 vittorie consecutive del Tour, passando per le iniezioni di gruppo della squadra del “treno blu”. Il tutto, condito da bugie sconvolgenti raccontate con una tale nonchalance da lasciare nello spettatore un’amara sensazione di sconfitta.
Il limite del plot, come in quasi tutti i biopic, è la carenza di sorprese: lo spettatore sa già come andrà a finire. Ma non per questo la sceneggiatura è meno cinegenica di altre biografie. Il merito del regista è proprio quello di tenere incollato allo schermo un pubblico ampio, dalle donne (poco propense a questo sport) a chi non ha mai seguito una sola tappa del Tour. La pellicola scorre con un buon climax e senza occhio all'orologio grazie al sapiente montaggio (anche sonoro) e all’ottima performance di Ben Foster, aiutato da una netta somiglianza col ciclista. Nella seconda parte tuttavia emergono leggeri cali di tensione; si sarebbe potuto sfruttare di più il talento di Dustin Hoffman, ridotto a una piccola apparizione.
Il finale risulta un po' troppo sbrigativo, quasi a voler lasciare un lieve spazio di redenzione per il finto campione-eroe, ossessionato dal successo e prigioniero del suo ego. La sua maschera cadrà giù solo dopo una fredda confessione in tv. Da lì tornerà a scalare un'ultima lunga e difficile salita: quella della vita.
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nico_lrn
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venerdì 9 ottobre 2015
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realtà, non finzione
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Le storie vere sono sempre difficili da raccontare: spesso si conosce il finale, e ce ne altera la percezione della trama. Qui Frears rivela l'inizio, il "motore" del "perché?": la morbosità dell'eccellenza. Ci è riuscito, con inquadrature e soprattuto effetti sonori che rispecchiano bene le corse in bici e con la rappresentazione di un personaggio talmente "vittima" del suo ego che, nella sua abitazione, è sempre solo. La somiglianza dell'attore ad Armstrong è sorprendente, soprattutto nel pedalare e nei caratteri somatici. Consigliato a chi non prende tutto come sembra, a chi non piace il lieto fine e soprattutto a chi è appassionato di ciclismo: uno sport passionale, chi lo sporca deve essere punito.
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