Light of My Life è la storia di due sopravvissuti e prima ancora di un padre e della sua bambina.
Come in The Road torna la durezza della conversazioni sulla morte, l’omicidio, trovano più spazio discussioni filosofiche sulla morale e l'etica, gare di spelling, storie nate dall'immaginazione, ma che contengono un insegnamento di forza e un fondamento su cosa sia giusto e cosa sbagliato; mentre più della fisicità della lotta alla sopravvivenza brillano, ancora, sentimenti come la tenerezza e l'affetto.
L'Affleck regista rappresenta il tutto in una serie di primi piani e nelle frequentissime riprese orizzontali, dove la macchina da presa osserva in plongée le due figure del padre e della figlia sdraiate fianco a fianco, poste alla pari e alla stessa altezza. Perché Dad e Rag sono alla pari prima di tutto emotivamente e razionalmente: a Rag nulla viene nascosto, tutto è spiegato e descritto come a un'adulta, causando una maturazione individuale che non può che, infine, condurre a quella declinazione conclusiva che accosta Light of My Life ad un coming-of-age, con un abbraccio tra la bambina, forte, in piedi, e il padre, sfiancato, seduto, bisognoso del suo sostegno.
A prima vista può apparire un film troppo dialogato. In realtà non lo è. Perché la parola al tempo stesso è difesa ed è rifugio. Ed è l’unico modo che ci permette, anzi che ci costringe a ricordare chi non c’è più. Ma che ci consente anche di negare il nostro passato.
Qui sta ancora una volta l’estrema complessità del cinema di Casey Affleck regista. Saper andare oltre quello che mostra. E la parola si alterna con esemplare equilibrio con le scene d’azione. Il finale è, sotto questo aspetto, imponente.
Essendo un progetto di Casey Affleck la sua interpretazione è potente. Il film non brilla per l’originalità del suo scenario, siamo dalle parti del post apocalittico dall’estetica derelitta di The Road con suggestioni da molti altri film sul genere visti negli ultimi 20 anni, è però la maniera in cui i due protagonisti lo vivono a renderlo unico. In primis questo padre che pare disilluso da tutto, sempre mogio ma anche determinato. Non ha speranza, non ha obiettivi se non quelli a breve termine e grazie ai quali si illumina di tanto in tanto con un misto di senso del dovere e autentico effetto. La maniera in cui intrattiene la figlia e cerca di avere con lei dei momenti d’intimità come se nulla fosse accaduto è forte. Alla stessa maniera questa bambina in procinto di diventare ragazza, sempre più dotata di una testa autonoma, in un mondo così è una bomba ad orologeria a cui facilmente si vuole bene.
E se pure il film vive di diverse flessioni di ritmo proprio per il suo non voler essere spettacolare ma anzi liberarsi di ogni forma di eccesso, di divismo, di esagerazione e di artificio, lo stesso tra una digressione e l’altra ci sono dei momenti unici. C’è poco da dire, in un film del genere sono questi acuti a contare, quelli che poi rimangono impressi.
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