di Marco Chiani
Chi l'ha detto che per essere giudicato valido un qualsiasi prodotto deve per forza stupire? Se la narrativa alta quasi mai cerca il twist ad effetto, quella popolare vuole smuovere, sconvolgere strappare emozioni sempre e comunque.
Between, serie canadese prodotta da City insieme a Netflix, che la commercializza internazionalmente, in linea generale, non ha stupito nessuno con la sua prima stagione, eppure anche la seconda batte pervicacemente sulla stessa visione. Quasi avessimo a che fare con un corpo unico.
Ideata da Michael McGowan, la storia di una comunità popolata da soli ragazzi, perché i maggiori di 22 anni sono stati decimati da un virus sconosciuto, schiude panorami notissimi, sia narrativamente alti, si pensi soltanto al William Golding di "Il signore delle mosche", sia di consumo, lo Stephen King di "Grano rosso sangue", molto post-apocalittico, qualche eco dal magnifico "Ma come si può uccidere un bambino?" di Narciso Ibáñez Serrador. È davvero quello che racconta Between?
La sobrietà dell'impianto, che non deve essere scambiata per pochezza, può lasciare spaesati i fruitori maniaci di una serialità con mezzi a disposizioni sempre più ingenti, dentro e fuori casa Netflix. Ma la scelta di declinare (certamente in minore) e in chiave young adult il tema della comunità isolata da una decisione governativa è piuttosto vincente, anche se i soldi a disposizione sono quelli che sono.
Non si registrano pindarismi registici nella serie di McGowan, né interpretazioni particolarmente memorabili, ma un insieme di fili narrativi che afferiscono potenti alla matassa di un percorso di crescita incidentato da chissà cosa, più contenuto che forma, in sostanza. Si pensi anche ai dialoghi, spesse volte fiacchi si direbbe, che sembrano guardare ad un'autenticità quasi mai esplorata dal cinema e dalla serialità ben impaginata: dopotutto non sono mica tanti gli adolescenti a parlare come i libri stampati.
Pretty Lake, la cittadina in quarantena, a prima vista non è tanto differente dalla Chester's Mill di Under the Dome, ma una frontalità inaspettata finisce col filtrare le storie di Wiley, adolescente con neonato al seguito, Adam, il mezzo genio che è inoltre il primo a capire che a restare vivi sono soltanto i minori di 22 anni, Mark, recluso nel carcere della cittadina, e il resto di una folla di giovinastri ognuno a suo modo portatore di una sfaccettatura dell'essere al mondo oggi.
I nuovi sei episodi di Between, disponibili su Netflix, si aggiungono ai sei precedenti, continuando a raccontare di recinzioni - reali e metaforiche - da valicare, di chi non di rado promette o arriva a portare cure che potrebbero risolvere tutto, di una masnada di ragazzini più o meno organizzati, di cibo che manca, ancora della ricerca di un futuro da mettere in piedi.
La struttura sociale creata e distrutta, più e più volte, sta ad aggirare l'anarchia, lo spirito di uno sciacallaggio serpeggiante dietro a molti gesti, nella certezza atroce che ognuno è solo (ben oltre la valicata) e c'è anche un governo, un dio o chi per lui davvero contro tutti.
La seconda stagione di Between, insomma, entra nel vivo, osa di più rispetto alla prima, quasi fosse l'entrata a regime di un motore che merita di essere esaminato nel completo sotto una luce diversa. Quella di una mediazione nuova tra alto e basso.