Un semplice incidente

Il dubbio come forma di verità

Anche se mancano quasi due mesi a Natale siamo pronti a sostenere che tre film, in questo 2025, hanno intercettato l'aria del tempo, la Storia con la "s" maiuscola e si propongono quindi, fin d'ora, come i tre film dell'anno: Una battaglia dopo l'altra di Paul Thomas Anderson, La voce di Hind Rajab di Kawthar ibn Haniyya e, qualche mese prima, Un semplice incidente di Jafar Panahi. Il film iraniano, premiato a Cannes con la Palma d'oro, è l'ennesimo gioiello di un cineasta da tempo perseguitato in patria. Ma invece di ribadire il valore politico di un'opera girata in clandestinità preferiamo usare questo spazio per cantarne le lodi da un punto di vista squisitamente cinematografico. Un semplice incidente è un thriller che ti prende alla gola e non ti molla più. L'innesco, certo, è super politico: un uomo che è stato in galera in quanto oppositore del regime crede di riconoscere l'aguzzino che a suo tempo l'aveva ferocemente torturato. La parola importante, in questo breve riassunto, è "crede": il prigioniero era sempre bendato e ritiene di aver riconosciuto il boia dalla voce e dalla camminata, ma non è sicuro. Comunque lo sequestra e lo scarrozza dovunque, confrontandosi con altri ex compagni di prigionia. Nascono discussioni e ricordi che sono angoscianti e, in qualche momento, persino comici. Panahi non è solo un artista d'opposizione: è un regista pazzesco e Un semplice incidente è molto semplicemente un film imperdibile.
Da La Repubblica, 6 novembre 2025


di Alberto Crespi, 6 novembre 2025