Il senso di paralisi della volontà vissuto da Martha (nel senso che la società e le sue leggi le impediscono di esercitarla) diventa il pretesto molto metaforico per discutere della più ampia "paralisi" di una società oppressiva, ormai irredimibile che difetta soprattutto di capacità di immedesimazione. Una società in cui la compassione è assente, decisamente.
Joyce si respira lungo tutto il film a ben guardare e non solo mentre “la neve cade stancamente…stancamente come se scendesse la loro ultima ora, su tutti i vivi e i morti". Tutti i personaggi principali sono molto joyciani tanto che mi verrebbe da dire che il film è liberamente ispirato a “Gente di Dublino” (e non guardano forse le due amiche un film “The dead” titolo dell’ultimo dei racconti dell’omonima raccolta?)
Il film rappresenta, secondo me, una buona sintesi intensa e insieme amara tra riflessione interiore e analisi sociale. Con una piccola nota forse non so quanto contemplata dal cineasta spagnolo:l’«introspezione» individuale (o autoanalisi o ripiegamento interiore) come si conciliano con la riflessione collettiva o l’analisi sociale? In che rapporto stanno i due termini? Allora, come si combinano il decadimento fisico personale di Martha e la decadenza della società più nel suo complesso? Forse la risposta il regista la dà già per scontata, poiché il “guardarsi dentro” rimane pur sempre il primo stadio di un percorso che dovrebbe sfociare poi, come inevitabile conseguenza, nell’accoglimento e nell’incontro tra differenti individui e differenti “ideali”. Seppure non tutti gli ideali hanno identica legittimità in un dato periodo storico. Ed è a partire da quest’ultima considerazione banale che si consuma lo scontro, invece molto “epico”, tra la volontà di Martha e la volontà della società vigente quella che vuole impedirle di aderire all’ideale della “dolce morte”.
Sulla questione eutanasia di Martha è stato già detto molto. Io invece qui vorrei soffermarmi sulle due figure emblematiche di Ingrid e Damian che nell’economia del film di Almodovar sembrano assurgere a rappresentanti di due visioni del mondo che appaiono opposte in superficie, ma che sembrano convergere ad un dato momento.
Riprendo quanto dice Damian, qui in veste di “avvocato del diavolo”, a Ingrid al "ristorante" che mi pare paradigmatico di questo discorso: Damian “... Le persone dovrebbero essere consapevoli dello stato del cazzo del pianeta su cui vivono…Stiamo rilasciando più CO2 nell'aria di quanto abbiamo mai fatto. Prima o poi, e ho paura che sarà prima, tutto questo andrà a farsi benedire. Niente accelererà la fine di questo pianeta più della sopravvivenza del neoliberismo e dell'ascesa dell'estrema destra. E noi li abbiamo proprio qui che marciano fianco a fianco…”. Come dargli torto? Sembra la fotografia spietata dei mala tempora che corrono. C’è un non so che di terribile in queste affermazioni e non semplicemente per la loro schietta brutalità. Forse il tutto si comprende meglio se confrontiamo la risposta di Ingrid che appare altrettanto terribile, a pensarci bene, seppure intrisa in apparenza di maggiore speranza e fiducia nel mondo e nelle persone: “…Non puoi andartene in giro a dire alle persone che non c'è speranza... sto vivendo ogni giorno pensando che troverò Martha senza vita, ma questo non mi impedisce di godermi ogni minuto con lei…perchéci sono molti modi di vivere dentro una tragedia,ovviamente mi fa soffrire, ma posso accettarlo e sto provando a vivere con la stessa gioia che ha lei e con la stessa gratitudine”.
A parte l’encomiabile comportamento di Ingrid verso Martha, dov’è qui il problema, allora?
“Ci sono molti modi di vivere dentro una tragedia”, dice Ingrid. O ci sono soltanto “molti modi di crogiolarsi in una tragedia?”. Eh già, perché forse ciascuno di noi in questo momento storico si sente come l’orchestrale del Titanic che continua a suonare mentre la nave affonda inesorabilmente. E allora non si può che provare a “godersi il momento presente” così com’è, seppure angoscioso. Questo è tutto? Non rimane che trarre dai sintomi della sofferenza il massimo del vantaggio secondario che ci è consentito? Che è poi la logica che rifiuta categoricamente Martha quando ha deciso che non c’è alcun vantaggio nella sofferenza e sceglie di porre fine ai sintomi procurandosi la morte. Poiché questi sintomi diventano unici testimoni dell’esistenza di Martha. Un’esistenza che finisce semplicemente per accadere nel suo ripetersi ininterrotto e senza meta. Il cancro le preclude ormai qualsiasi promessa di futuro e di scopo.
Ingrid e Damian forse rappresentano due modi di vivere la rassegnazione. Uno rinunciatario e arrendevole e un po’ “vigliacco” persino (Damian) e l’altro in apparenza più energico, reattivo, stoico a suo modo (Ingrid). E tuttavia speculari pur nella loro apparente asimmetricità. A loro modo entrambi esprimono la stessa identica assenza di speranza alla fin fine. Sprofondati come sono tutti e due in un “abisso temporale” sospeso tra un passato che non passa e un futuro che non c’è. “Conoscono cosa è accaduto. Vivono ciò che accade e sanno cosa accadrà”. Ma tutta questa splendida consapevolezza non gli servirà a niente, non eviterà la catastrofe. Il regista è carico di un pessimismo inconsolabile, pare, davvero joyciano, quando fa dire a Damian “Beh è tragico forse… è spiacevole sentirmelo dire, ma non ho più alcuna fiducia che la gente faccia la cosa giusta”. Damian non dice esattamente che la gente è idiota nel suo approccio agli altri e al mondo,soggiogata com’è da credenze balzane e pregiudizi e stereotipi, sempre incapace di pensare razionalmente e di comprendere il mondo, sebbene credo che Joyce avrebbe apprezzato certa invettiva visto che lui a suo tempo ci andava giù duro con i suoi conterranei in veste di esemplari significativi di certa umanità incorreggibile.
Dunque, ecco Damian impassibile, cinico, diremmo, nella sua consapevolezza tragica (l’immobilità del volto di Turturro è esemplare in tal senso) che le leggi dell’economia (il neoliberismo) ormai prevalgono su quelle della politica. Ingrid, invece, più ottimista, è disposta a credere che tutto sommato c’è pur sempre vita. C’è della moralità in una umanità che continua a svilupparsi. Anche se per svilupparsi è disposta a sacrificarne una parte. Ingrid qui dovrebbe rappresentare la “potenza della vita”, ma anche della stessa ragione, forse, che prevalgono sul disfattismo cosmico. Da un lato Damian che si rassegna all’esaltazione realista, ormai imperante, della crudeltà che può venire tristemente accertata dalla nostra esperienza quotidiana. E dall’altro Ingrid, rassegnata pure lei, che però si fa ispirare più volentieri dall’astrattezza metafisica della pietà.
Ma ciò che è peggio è che abbiamo finito, forse per un meccanismo di difesa, per giudicare come occasionale o fortuita la situazione tragica del pianeta agonizzante. È qui la vera tragedia, forse, che i due protagonisti incarnano inconsapevolmente. E come reagiscono i due ex amanti alla tragedia che incombe? Da una parte, Damian, che oppone il classico cammino esistenziale individuale. Ovvero l’illusione di chi, stanco e rassegnato all’andazzo del mondo, per sentirsi a posto con la propria coscienza e preservare la propria purezza ideologica si rifugia nel comodo cantuccio del radicalismo solitario. Ma sarà saggio reagire al neoliberismo e all’avanzata delle destre estreme e alle loro conseguenze con altrettanto egotismo asociale individuale? All’opposto Ingrid che invece vuole provare a godersi ogni momento di vita che rimane per quanto doloroso sia. In ogni caso tutti e due si considerano spacciati, mi pare.
E la condizione di Martha non sembra la metafora di ciò che stanno vivendo Damian e Ingrid? Tutti vivono a loro modo una condizione di “totale incapacità/impossibilità di agire: Martha non può agire la propria volontà di morire se non ricorrendo al sotterfugio illegale della pillola letale scovata nel dark web, ma anche gli altri due sono o si sentono comunque assolutamente impotenti e incapaci di agire in un mondo che “andrà a farsi benedire, ho paura, prima che poi”. E allora non resterebbe a ciascuno che cimentarsi nella prova della mera sopravvivenza in attesa dell’inevitabile? Martha riesce a ribellarsi al (proprio) destino, e rifiuta il mero pensiero della sopravvivenza quello che diventa azione senza scopo, fine in sé. Martha si assicura paradossalmente con la propria morte autoprocurata ancora un’ultima “possibilità di azione” e prima che sopraggiunga il deterioramento definitivo causato dal cancro.Certo, può apparire paradossale trasformare – l’atto finale della morte nell’inizio di qualcosa che si rivelerà una fine -. “Il cancro non mi avrà. Perché me ne sarò andata molto prima e per mia volontà”. E non c’è niente da capire. Questo è il modo in cui Martha ha scelto di combattere la sua battaglia. E non si rassegna alle ingiunzioni dei giudici, dei politici e dei poliziotti “uomini di fede” che vorrebbero piegarla alla loro ossessione di “vita ad ogni costo” e che vogliono imporle le loro buone e sante ragioni per vivere.
E quale possibilità di azione resta invece a Damian e Ingrid di fronte all’agonia del mondo e di quella personale, seppure più simbolica, intesa qui come senso di inanità di fronte al destino del pianeta?- . Come condurranno le rispettive battaglie i nostri due “eroi?”. Che le persone comincino a suicidarsi in questo mondo agonizzante – non appare una soluzione immediatamente praticabile proprio concretamente. Tutto sommato la condizione di Ingrid e Damian non è “terminale” come quella di Martha. Seppure anche la loro condizione possa considerarsi estrema, borderline, diciamo così. “Terminali” di lunga scadenza, potremmo definirli, cioè tenuti in vita ad oltranza attraverso una sedazione massiva delle coscienze che dovrebbe alleviare il fatidico mal di vivere.
A Damian e Ingrid non resta che l’astrazione pura quella che non ha alcuna ricaduta nella realtà fattuale. E l’arte del mugugno sterile o la fiducia da anime belle la fanno da padroni. Insomma a Ingrid e Damian il massimo dell’azione che gli è concessa è osservare l’azione stessa di questo mondo che va a farsi benedire. A loro non rimane che limitarsi unicamente a descrivere ciò che accade. Un po’ come fa Damian nelle sue conferenze prive di passione. O come quando si rifugia nei maledetti ricordi e ripensa a quando “un giorno senza sesso era sempre un giorno incompleto”. Nient’altro che ricordi che però lo isolano ancora di più nel maledetto pensiero e sembra quasi come uno che non sa nemmeno dov’è in realtà e che ci fa qui. Insomma, l’introspezione non sembra una risposta all’infelicità personale, né ai mali del mondo. Certo c’è anche l’arte che dà sollievo come gli suggerisce Ingrid, sebbene,risponde Damian, “ogni poeta al mondo che scrivesse una poesia sulla crisi climatica non salverebbe nemmeno un albero”.
Qui Damian mobilità tutto il “realismo” che cova dentro di sé nel momento in cui ci informa che non crede affatto che l’arte possa rappresentare una salvezza per l’umanità. Non è facendo della poesia che salveremo gli alberi o che cancelleremo ogni sorta di ingiustizia o di altra meschinità umana.
Damian sembra quasi disprezzare l’arte perché in quanto tale essa esiste per testimoniare fatalmente proprio la miseria umana. Paradossalmente non esisterebbe l’arte se non ci fossero le miserie umane. Allora, l’arte esiste unicamente per poterla mostrare la miseria.
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” e di “artisti”, sarebbe il caso di dire
Dunque, Ingrid o Damian? Chi dei due ha ragione? Chi è più morale tra i due? Come gestire l’incertezza? La reazione nichilista isolazionista di Damian che si strugge nei ricordi di un passato nostalgico o il vitalismo speranzoso che sa un tantino di “Rifiuto/Diniego”di Ingrid che si concentra sul presente e si protegge dal pensiero agghiacciante dell’inevitabilità della morte stessa? Tuttavia, la posizione ideologica di Damian, o il suo intimo cinico convincimento, non credo che lo porterebbero per principio a negare aiuto a chi ne avesse bisogno. Non è il caso di farne una questione morale di “giusto o sbagliato”. Si tratta di fare una scelta. La scelta di come vivere l’agonia personale. Sia che si tratti del declino fisico causato da un cancro, sia che si tratti di come affrontare quotidianamente la realtà esterna di un mondo in stato di coma morale ed etico forse irreversibili. A ciascuno il suo (modo), dunque. E allora, Damian o Ingrid? Poco importa! Perché in un modo o nell’altro il tormento continuerà e l’esito finale è assicurato. Forse! O come direbbe Ingrid “non può essere il suicidio collettivo la soluzione” alla miseria umana. Basta starsene lì ad aspettare…!
Belle le musiche che personalmente ho trovato evocative di certe atmosfere Hitchcockiane.
3 stelle e 1/2 ad Almodovar
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