Anche i ricchi muoiono
Ebbene sì! Anche i ricchi muoiono. E come da copione, con i soldi che si ritrovano (qualcuno se li è pure sudati) possono scegliersi la vita e, udite udite, finanche la morte si scelgono. Che ci faccia ancora arrabbiare un’ovvietà del genere può soltanto farmi apprezzare di più l’invidia sociale come motore di cambiamento di ogni tempo e base di tutte le rivoluzioni a cominciare da quella francese che, sarebbe bene non dimenticare mai, fu rivoluzione borghese per eccellenza e prima di tutto.
E come muore un sottoproletario che si deve affidare alle amorevoli cure del sistema sanitario nazionale americano o italiano? (quest’ultimo molto meglio di sicuro) E che è costretto a muoversi in un monolocale di 30 metri quadri? Preghiamo Almodovar di scriverci su il prossimo film così da accontentare tutte le classi sociali più indigenti cui appartengo anch’io (giusto per fugare qualunque equivoco dei soliti ben pensanti e falsamente progressisti).
Ci sarebbe da augurarsi che ci fossero ancora borghesi illuminati che invece che pensare tutto il giorno a come fregare il fisco avessero a cuore ancora il bene comune. E per bene comune ci metterei, secondo me, anche la possibilità, trasversale a tutte le classi sociali, di poter scegliere come e quando morire. Se i ricchi sfruttassero la propria posizione sociale e le proprie influenze per favorire leggi che finiscono poi per tutelare i diritti di tutti e a prescindere dalla disponibilità finanziaria di ciascuno, io di certo non mi metterei a polemizzare beceramente contro le classi “superiori”.
Allora, se per leggere il film riuscissi a liberarmi momentaneamente delle lenti classiste di foggia fondamentalmente marxiana allora forse proverei a spostare l’attenzione verso alcuni contenuti che avrebbero meritato maggiore considerazione da parte di certa platea.
I ruoli di genere, la guerra, le sorti del pianeta, la questione climatica, la faccenda della democrazia moderna e le sue prospettive. E poi la questione della sessualità e il sesso (sfrenato?) come antidoto a tutti i dolori del mondo (qui Almodovar mostra una quasi ossessione per l’argomento e ce lo deve mettere dappertutto il sesso come il prezzemolo altrimenti scoppia. Almodovar l’ultimo dei freudiani) Tutte questioncine molto legate tra loro e che mettono paradossalmente in secondo piano la morte della protagonista. Ecco forse se un appunto grande si può fare al regista è di aver messo insieme un sacco di temi che avrebbero meritato ciascuno un film dedicato. Ma forse era questa l’intenzione del regista? Affogare il tema dell’eutanasia e del suicidio assistito in questioni che hanno un respiro più collettivo e sociale? Come a dire che il dolore privato è in fondo ben poca cosa se paragonato al dolore più diffuso della società nel suo complesso destinata all’autodistruzione se non daremo risposte celeri ed efficaci nel più breve tempo. Parafrasando “Rick Blaine” che si rivolge accoratamente a “Ilsa Lund” sembra quasi che il regista voglia far dire a Martha prima di lasciare l’amica Ingrid e volgendosi a quest’ultima: “...Le pose da eroina non mi piacciono, ma tu sai che i problemi di due piccole persone come noi (le mie metastasi, la nostra amicizia) non contano in questa immensa tragedia” (“La stanza accanto” come “Casablanca?”) Insomma le questioni sociali hanno la priorità sulle questioni private e in tutte le epoche? Ma a pensarci bene, l’eutanasia o il suicidio assistito non sono forse anche queste questioni sociali? E che toccano nel profondo l’essenza stessa di una convivenza sociale che va oltre la mera “territorialità sovrana” e che voglia dirsi minimamente civile?
E se i ricchi non spendessero per il lusso i poveri morirebbero di fame! È ancora così purtroppo ed è inutile negarselo. E conviene ogni tanto ristudiarlo Marx soprattutto in questi tempi di tragedia.
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