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Passeggeri della notte, Hers: «Non scelgo mai prima gli attori, amo vederli impadronirsi delle mie storie»

Il regista ci parla del suo quarto film, Passeggeri della notte, racconto storico e familiare che vede Charlotte Gainsbourg nel ruolo di una donna che, dopo esser stata lasciata, si ritrova a vivere forse per la prima volta. Dal 13 aprile al cinema.
di Luigi Coluccio

martedì 11 aprile 2023 - Incontri

Mikhaël Hers – sceneggiatore, regista e produttore francese – ha all’attivo quattro film, tutte storie che crescono da una perdita, un rimpianto, un ricordo, tutte lezioni di come si possa andare avanti e ricomporsi attorno a quello che non c’è più.

L’ultimo di questa quaterna è Passeggeri della notte, racconto storico e famigliare assieme di come la moglie e madre Elisabeth (Charlotte Gainsbourg), dopo esser stata lasciata dal marito, deve tornare a vivere forse per la prima volta, per lei e per i suoi figli, e insieme attraversare nuove scelte, nuovi orizzonti, nuove necessità. 

Passeggeri della notte ha una precisa collocazione temporale che va dal 1981 al 1988, che corrisponde alla prima presidenza Mitterrand. In questo settennato la parabola della famiglia Davies sembra andare in senso opposto rispetto al grande fervore che si sperimentava nella Francia dell’epoca, tra l’abbandono del capofamiglia e la ricerca di una nuova stabilità – anche se è curioso come lo slogan della campagna elettorale di Mitterrand, “La forza tranquilla”, si adatti perfettamente alla figura di Charlotte Gainsbourg. 
Per me è stato molto importante aprire il film con la sequenza della vittoria di Mitterrand, anche se poi Passeggeri della notte non è di per sé un film politica. Mi è sembrato però un sistema efficace per inserire il film dentro quell’epoca, con il prisma di questa famiglia che passa attraverso i festeggiamenti senza veramente partecipare, come se in questa gioia che si respira tra la folla già si annunciassero dei tormenti futuri per loro. Non ho assolutamente voluto fare un film politico, ma era importante per me mettere dei riferimenti. Ed effettivamente lo slogan potrebbe essere accostato al personaggio di Elisabeth per via della forza e al contempo della vulnerabilità che traspare, e la stessa Charlotte Gainsbourg emana sensibilità, fragilità, dando comunque l’impressione di avere una “colonna vertebrale” molto forte. Forse non parlerei di tranquillità, perché è una donna in preda a molti dubbi, però quello che mi è interessato è mostrare proprio l’ambivalenza tra questi due aspetti.

Abbiamo anche delle chiare coordinate spaziali, e cioè quelle del 15° arrondissement parigino, porzione cittadina che racchiude il centro commerciale Beaugrenelle, l’Hotel Nikko, la vicina Maison de la Radio – edifici sorti per la maggior parte alle fine degli anni ’70 e simbolo anche essi di una nuova Francia.
È vero. Per me il desiderio di girare un film affonda sempre in cose molto concrete, e ho scelto quella zona anche perché non è un quartiere che si vede molto al cinema – tranne che nel Wenders de L’amico americano, non è presente a livello di immagini. Il 15° arrondissement è tutti gli effetti un personaggio del film. La mia ispirazione parte dai luoghi, è in questo caso mi è sembrata molto interessante questa coabitazione tra le torri, la Senna, le strade residenziali, è tutto molto raccolto, uno o due chilometri quadrati, ma per me è stata una grande fonte di suggestione.

Questa sorte di mappa topografica ritorna spesso, vista la compresenza di natura e urbanizzazione che sta al centro dei suoi film. C’è sempre un personaggio che si affaccia alla finestra contemplando l’orizzonte cittadino, c’è sempre una gita o una festa da fare in un parco – Parigi, Berlino, New York, Annecy, non importa dove siamo.
Sì, io sono sempre molto colpito dai paesaggi cittadini che coabitano con paesaggi di campagna, forse perché sono cresciuto in un ambiente di questo tipo. Trovo sempre molto commovente vedere degli spazi estremamente abitati a fianco di spazi boschivi, ad esempio. Per la disperazione del mio direttore della fotografia, che si lamenta molto del fatto che io amo vedere le cose dall’alto. Spesso scelgo dove girare non tanto per via degli interni ma per quello che si vede dalla finestra.

In Passeggeri della notte c’è un accostamento continuo con immagini di repertorio tratte da documentari, notiziari e riprese d’epoca o addirittura ricostruite proprio per il film, per una sorta di sguardo documentaristico assoluto.
Io amo girare con una “scenografia” reale, il creare una sorta di bolla dietro la quale si intravede il mondo. È un po’ questo il mio ideale di cinema. Mi piace riprendere un attore che interpreta un determinato personaggio e dietro intuire che c’è una strada che vive, persone che si muovono. È una cosa molto importante per me. 


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