eugenio
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venerdì 19 marzo 2021
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lei mi parla ancora. il potere del ricordo
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Il nuovo film di Pupi Avati emoziona e tanto anche. In primo luogo, vedere un personaggio “storico” di film comici anni ’90, come Renato Pozzetto, in un ruolo intensamente drammatico è già motivo di interesse. Tuttavia, è la storia, ampia, intima e “verista” intinta dal sapore di dolce amarezza a imperniare il soggetto di Lei mi parla ancora.
Il film racconta una storia anacronistica di questi tempi che assomiglia per molti versi alla vicenda personale di Pupi Avati. Una storia d'amore durata sessantacinque anni, liberamente ispirata alla biografia di Giuseppe Sgarbi che restituisce il significato di una locuzione avverbiale, sempre, oggigiorno quasi tabu.
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Il nuovo film di Pupi Avati emoziona e tanto anche. In primo luogo, vedere un personaggio “storico” di film comici anni ’90, come Renato Pozzetto, in un ruolo intensamente drammatico è già motivo di interesse. Tuttavia, è la storia, ampia, intima e “verista” intinta dal sapore di dolce amarezza a imperniare il soggetto di Lei mi parla ancora.
Il film racconta una storia anacronistica di questi tempi che assomiglia per molti versi alla vicenda personale di Pupi Avati. Una storia d'amore durata sessantacinque anni, liberamente ispirata alla biografia di Giuseppe Sgarbi che restituisce il significato di una locuzione avverbiale, sempre, oggigiorno quasi tabu.
Sono tutti giovani che della parola “sempre“ non conoscono il significato, i protagonisti di Lei mi parla ancora, giovani vecchi, incapaci di vedere il presente, un pò come lo stesso regista che lo spiega associandolo al passato. Un archetipo ancestrale, vestito di una malinconia e permeato da una nobile saudade che non guarda solo alle nostalgiche emozioni ma, dotato di un’accezione positivista al futuro, rimanda all’immortalità, parlandoci in una narrazione aperta al mondo circostante. Come quello che circonda il protagonista Nino (il bravissimo Renato Pozzetto) e la costruzione tendente all’idillio di un amore totalizzante con Rina (Stefania Sandrelli) che nasce, cresce e supera ogni ostacolo.
Trait-uniontra presente e passato è un ghost-writer, Amicangelo, (il sempre teatrale Fabrizio Gifuni), uno scrittore “fantasma” (immagine putativamente non casuale), che si trova, su “commissione” della figlia di Nino (editrice) –pena una mancata pubblicazione del romanzo di una vita- a delineare la vicenda di una coppia. Una coppia che ha superato ogni difficoltà economica, capace di superare le pieghe del tempo, dagli anni amari dell’alluvione del Polesine all’incertezza di un futuro da costruire insieme. Nino e Rina (Stefania Sandrelli) sono due personaggi simbolo di un’umanità che non esiste più e che continua a parlare anche dopo la morte.
È quell’amarezza che fa parte della vita, del ricordo e di tanto cinema di Avati, mai dolciastro, ma vivo proprio perché portatore di una nostalgia potente, fugace, impercettibile sullo sfondo di un paesaggio che si fa dell’anima, fatto di canzoni, amicizia e oggetti dimenticati nei bar, in cui un tiro a pallone sembra assurgere a metafora di una vita che sale e che scende, nella ciclicità circadiana che ritorna parabola discendente, bambina.
Sì, bambina perché la storia di Sgarbi, lo stile di un regista come Avati che rende la vicenda personalissima, la trovata e la capacità di giocare su un interprete come Pozzetto, sono elementi preziosi di sogno, ai poli opposti dell’anima fredda e pronta a registrare (oggi si scrive così) su un elemento digitale.
Frammenti di passato, i magnifici anni ’50 del riscatto, le storie che si fanno presente negli sguardi quasi metafisici di Nino e Amicangelo; la scelta di miscelare sapientemente i due piani, facendo interloquire personaggi in fasi diverse della loro vita (Nina giovane ha il volto candido di Isabella Ragonese) e preservando tuttavia il sentimento dell’oggi, grazie al sommo potere del ricordo.
Ricordo che si fa letteratura e, con Avati, cinema.
E che cinema! Affaticato da uno sviluppo ondivago, dall’incedere ingenuo, Lei mi parla ancora sbaglia, stona ma alla fine ha in sé la forza di preservare quel piglio di compostezza, creatività e soprattutto genuinità che molte pellicole odierne sembrano avere dimenticato. Del resto: L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Una sentenza d’amore, sì, d’amore per il cinema in senso lato.
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felicity
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lunedì 15 novembre 2021
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l’idealizzazione forza l’immedesimazione
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Lei mi parla ancora di Pupi Avati, dal romanzo di Giuseppe Sgarbi, è un film sull’amore eterno che sopravvive grazie alle parole e la scrittura.
Lei mi parla ancora cerca la commozione caricando a mille le emozioni. A tratti ci riesce soprattutto grazie all’intensità di Renato Pozzetto per la prima volta in un ruolo drammatico. Il momento più vivo è il ritorno a casa di Rina giovane (interpretata da Isabella Ragonese) e c’è un flash in cui la luce illumina inizialmente i suoi piedi. C’erano tutti gli elementi per trasformare Lei mi parla ancora in un film di fantasmi, quasi una specie di ghost-story che in forme più o meno dirette ha attraversato alcuni di suoi horror gotici, in particolare l’ottimo Le strelle nel fosso.
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Lei mi parla ancora di Pupi Avati, dal romanzo di Giuseppe Sgarbi, è un film sull’amore eterno che sopravvive grazie alle parole e la scrittura.
Lei mi parla ancora cerca la commozione caricando a mille le emozioni. A tratti ci riesce soprattutto grazie all’intensità di Renato Pozzetto per la prima volta in un ruolo drammatico. Il momento più vivo è il ritorno a casa di Rina giovane (interpretata da Isabella Ragonese) e c’è un flash in cui la luce illumina inizialmente i suoi piedi. C’erano tutti gli elementi per trasformare Lei mi parla ancora in un film di fantasmi, quasi una specie di ghost-story che in forme più o meno dirette ha attraversato alcuni di suoi horror gotici, in particolare l’ottimo Le strelle nel fosso. Sono le improvvise illuminazioni di un film discontinuo (dovuto probabilmente anche ai problemi di produzione legati alla pandemia), che fa avvertire lo scarto nel momento in cui ritorna sulla terra: il negozio di telefonini, il treno, la stazioni, luoghi e situazioni in cui dal sogno c’è un improvviso risveglio. E soprattutto appare forzata e costruita tutta la parte del rapporto tra Pozzetto e Fabrizio Gifuni che si difende comunque con consumato mestiere. “Come fa a scrivere la mia storia se non è capace di amministrare la sua?” chiede infatti Nino allo scrittore. Un contrasto che però non viene alimentato ma solo attraversato e che funziona meglio quando i due personaggi sono separati, come nel corso della bufera di neve.
Lei mi parla ancora scivola sulla storia, l’accarezza spesso con qualche scossone come nella tensione durante il primo incontro tra Rina e la famiglia di Nino. L’idealizzazione forza l’immedesimazione, esasperando lo schema che il cinema di Avati ha usato molte volte: raccontare una storia personale come se fosse universale.- E chi non ci entra dentro resta fuori. E anche i ricordi del cineforum con Il settimo sigillo di Bergman appare solo una facile analogia per mostrare, come una preveggenza, le ombre della morte, per poi rimetterci dentro l’amore che ci sopravvive per sempre. Uno dei luoghi in cui può alimentarsi è, appunto, la casa. Con i dipinti, con i suoi oggetti, con la sua storia. Ma rispetto, per esempio, a quelle di Regalo di Natale, La casa dalle finestre che ridono e Aiutami a sognare, quella di Lei mi parla ancora è solo sfocata. E gran parte della storia che c’è dentro, è assente o non si vede.
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lovemovies
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domenica 16 aprile 2023
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grande cinema italiano
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Quando un film prende spunto (più o meno liberamente) dalla trama di un libro, il buon risultato finale è quasi sempre già garantito. Questo film ne è la conferma, nonostante si possa osservare che la seconda parte (quella che racconta la vita dei protagonisti dopo le nozze) appare breve rispetto all'integrale durata del film. Detto ciò, tutto è prezioso e si passa dall'amorevole regia di Avati (in stato di grazia) alla superba interpretazione di tutti gli attori (con un inedito Pozzetto di smisurata bravura), dagli oggetti artistici che riempiono le stanze della casa, alla fotografia ed alla realizzazione di ambienti e usanze dell'epoca.
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Quando un film prende spunto (più o meno liberamente) dalla trama di un libro, il buon risultato finale è quasi sempre già garantito. Questo film ne è la conferma, nonostante si possa osservare che la seconda parte (quella che racconta la vita dei protagonisti dopo le nozze) appare breve rispetto all'integrale durata del film. Detto ciò, tutto è prezioso e si passa dall'amorevole regia di Avati (in stato di grazia) alla superba interpretazione di tutti gli attori (con un inedito Pozzetto di smisurata bravura), dagli oggetti artistici che riempiono le stanze della casa, alla fotografia ed alla realizzazione di ambienti e usanze dell'epoca. Va da sè che quando in un film tutto è prezioso, è scontato che si parli d'amore. In questa storia si tratta di un amore immortale, perché così tanto potente da non spegnersi nemmeno dopo la la resa dei corpi. Non si può catalogare il film fra quelli definibili strappalacrime. Sarebbe un errore, perché in tanti momenti le lacrime arrivano spontanee, senza che niente e nessuno ce le venga a strappare fuori.
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