Happiest Season è la prima rom-com di Natale a tema LGBT.
Il film mette in scena una storia che poggia sulle difficoltà del coming out con la famiglia. Un momento cruciale, preceduto da un percorso altrettanto complesso, quello che prelude al coming out. Soprattutto se la famiglia in questione dà un peso esagerato alle apparenze. Soprattutto, ancora, se il tutto avviene nel periodo più magico, ma anche più stressante, dell’anno: quello delle festività.
È una commedia romantica d’impianto piuttosto classico. La scelta di mettere al centro di una rom-com natalizia una coppia omosessuale è senz’altro una novità, ma il film in sé non lo è altrettanto.
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Happiest Season è la prima rom-com di Natale a tema LGBT.
Il film mette in scena una storia che poggia sulle difficoltà del coming out con la famiglia. Un momento cruciale, preceduto da un percorso altrettanto complesso, quello che prelude al coming out. Soprattutto se la famiglia in questione dà un peso esagerato alle apparenze. Soprattutto, ancora, se il tutto avviene nel periodo più magico, ma anche più stressante, dell’anno: quello delle festività.
È una commedia romantica d’impianto piuttosto classico. La scelta di mettere al centro di una rom-com natalizia una coppia omosessuale è senz’altro una novità, ma il film in sé non lo è altrettanto. La mancanza di originalità nei meccanismi e nella struttura non sono in questo caso un difetto. Happiest Season fa quello che una commedia natalizia deve fare, soprattutto in termini di creazione dell’atmosfera. Si respira il Natale, sia nel suo essere il periodo più meraviglioso dell’anno, sia nella sua accezione di festività stressante per eccellenza. Ci sono le case addobbate, la pista di pattinaggio, le strade piene di gente in festa e La vita è meravigliosa al cinema.
Dopo qualche momento davvero divertente a inizio film si perde progressivamente la voglia di ridere perché è il film stesso che inizia ad essere disfunzionale. Scene che dovrebbero essere toccanti – e cruciali per la narrazione – inframezzate da trovate slapstick, buchi di sceneggiatura e soluzioni frettolose. Un vero peccato, considerando lo spunto interessante e le premesse valide tanto quanto le intenzioni.
La Stewart è in assoluto il pregio maggiore del film: sempre in parte, naturale, tenera e buffa nello stesso momento. La sua prova poggia su una parte scritta bene, è un personaggio a tutto tondo; si riesce subito ad entrare in connessione con lei ed è per lei che facciamo il tifo dall’inizio alla fine.
Happiest Season prende le mosse da una storia carica di potenziale, interessante, più che valida negli intenti, ma finisce col perdersi. Perdersi in un andamento troppo discontinuo, con punte di comicità forzata e una gestione discutibile sia dei momenti drammatici che di quelli romantici.
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