gattoquatto
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venerdì 24 febbraio 2023
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eccessivo e inconcludente.
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Inizialmente coinvolgente per l'idea di base e per l'ambientazione, pian piano il film si trasforma in un pulp movie angosciante e claustrofobico. La violenza prende il sopravvento su qualsiasi approfondimento sociale, umano, culturale. Resta un lavoro ben confezionato ma nel complesso grossolano e inconcludente.
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brando fioravanti
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mercoledì 6 aprile 2022
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il buco
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In tutti i film che vediamo c'è sempre uno sproposito di violenza, il buco uno dei pochi film dove si può giustificare tutto, anche se le immagine possono davvero infastidire. Una vera rappresentazione dell'inferno i comportamenti più meschini e depravati che gli uomini possono avere in circostanze disumane.metafora estrema delle nostre società con tutti i suoi dislivelli.
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ennio
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giovedì 6 maggio 2021
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buona idea lasciata a vagheggiare nelle metafore
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Decidetevi: se fate un film distopico, più o meno claustrofobico, più o meno d'azione, poi portatelo alle sue naturali conseguenze. Ne "il buco", invece, viene sprecata un'idea abbastanza interessante, basata su una prigione-voragine da incubo ove o si mangia a crepapelle o si muore di fame e ci si sbrana a vicenda, a seconda del livello in cui si è sistemati.
Purtroppo, nella seconda metà, il film diventa fumettone, iniziano i sogni e le metafore sulla vita. Arrivano gli eroi idealisti che vogliono fare la rivoluzione e distribuire democraticamente il cibo un pò per tutti, salvo, per arrivare a ciò, ammazzare a bastonate chiunque si opponga a questo nobile progetto (già visto nel 1917 in Russia).
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Decidetevi: se fate un film distopico, più o meno claustrofobico, più o meno d'azione, poi portatelo alle sue naturali conseguenze. Ne "il buco", invece, viene sprecata un'idea abbastanza interessante, basata su una prigione-voragine da incubo ove o si mangia a crepapelle o si muore di fame e ci si sbrana a vicenda, a seconda del livello in cui si è sistemati.
Purtroppo, nella seconda metà, il film diventa fumettone, iniziano i sogni e le metafore sulla vita. Arrivano gli eroi idealisti che vogliono fare la rivoluzione e distribuire democraticamente il cibo un pò per tutti, salvo, per arrivare a ciò, ammazzare a bastonate chiunque si opponga a questo nobile progetto (già visto nel 1917 in Russia). Poi arrivano i simboli (la bambina, il cane), che hanno il pregio di impedire, di fatto, una qualche conclusione decente del film lasciando tutto negli indefiniti interrogativi onirici che tanto piacciono allo spettatore medio.
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dandy
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lunedì 15 febbraio 2021
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"e'' ovvio."
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Il regista esordisce con un film indubbiamente affascinante,sia nell'idea di base che nella gestione dello svolgimento.Straordinario dal punto di vista visivo,ed efficace nell'ennesima rappresentazione dell'umanità che tira fuori il peggio di se nelle situazioni estreme ma è ancora capace di qualche azione positiva(con puntuale finale speranzoso) con una messa in scena fredda e impassibile,tra momenti di crudezza e sprazzi di ironia macabra.Ma se gli echi di film precedenti come "The cube","Snow Piecer" o il successivo "The hunt" non pesano troppo,le allusioni politico-sociali sono più scontate(quelli che stanno di sopra contro quelli che stanno di sotto)e c'è qualche situazione forzata(il salvataggio in extremis del protagonista,le connotazioni cristologiche che assume col progredire della storia,il fatto che sia il primo a tentare la missione,la provenienza inspiegata della bambina e i sogni e le visioni dove parla con i compagni deceduti).
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Il regista esordisce con un film indubbiamente affascinante,sia nell'idea di base che nella gestione dello svolgimento.Straordinario dal punto di vista visivo,ed efficace nell'ennesima rappresentazione dell'umanità che tira fuori il peggio di se nelle situazioni estreme ma è ancora capace di qualche azione positiva(con puntuale finale speranzoso) con una messa in scena fredda e impassibile,tra momenti di crudezza e sprazzi di ironia macabra.Ma se gli echi di film precedenti come "The cube","Snow Piecer" o il successivo "The hunt" non pesano troppo,le allusioni politico-sociali sono più scontate(quelli che stanno di sopra contro quelli che stanno di sotto)e c'è qualche situazione forzata(il salvataggio in extremis del protagonista,le connotazioni cristologiche che assume col progredire della storia,il fatto che sia il primo a tentare la missione,la provenienza inspiegata della bambina e i sogni e le visioni dove parla con i compagni deceduti).Anche il finale sospeso può non risultare proprio azzeccato.Molto bravi gli attori.Distribuito da Netflix a inizio 2020 dopo la rassegna in diversi festival mondiali,ha suscitato grande eco mediatica perchè considerato da molti (esageratamente)come un'allegoria della reclusione forzata dovuta all'attuale pandemia del Covid-19.
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daniele fanin
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sabato 27 giugno 2020
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homo homini lupus
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In una distopia senza tempo e senza luogo, come senza tempo e luogo e’ la ferinita’ umana verso i propri simili, una torre con centinaia di piani viene adibita a prigione, dove si finisce per punizione o, in qualche caso, per scelta, come accade al protagonista Goreng ed all’ex-amministratrice Imoguiri. La struttura, definita un centro di autogestione verticale, consiste di una cella per piano, il primo e’ il piano piu’ alto, che ospita due prigionieri e di un ascensore centrale da cui una volta al giorno viene fatta scendere una piattaforma con il cibo per tutti i detenuti, di raffinatissima qualita’ e fattura e che basterebbe per tutti, se ognuno prendesse solo cio’ di cui ha effettivamente bisogno per sopravvivere.
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In una distopia senza tempo e senza luogo, come senza tempo e luogo e’ la ferinita’ umana verso i propri simili, una torre con centinaia di piani viene adibita a prigione, dove si finisce per punizione o, in qualche caso, per scelta, come accade al protagonista Goreng ed all’ex-amministratrice Imoguiri. La struttura, definita un centro di autogestione verticale, consiste di una cella per piano, il primo e’ il piano piu’ alto, che ospita due prigionieri e di un ascensore centrale da cui una volta al giorno viene fatta scendere una piattaforma con il cibo per tutti i detenuti, di raffinatissima qualita’ e fattura e che basterebbe per tutti, se ognuno prendesse solo cio’ di cui ha effettivamente bisogno per sopravvivere. I prigionieri hanno pochi minuti per mangiare tutto cio’ che vogliono, o quello quello che viene lasciato dai piani superiori. Ogni mese, senza alcuna logica, i prigionieri vengono assegnati ad un piano diverso, con tutto cio’ che ne deriva in termini di disponibilita’ di cibo. Una volta accettate le non-regole del luogo, non c’e’ piu’ differenza fra condannati e volontari e i tentativi di introdurre una parvenza di umanita’ e di una semplice cooperazione sociale che risolverebbero i problemi alimentari di tutti, falliscono e neppure l’estremo sforzo di imporre quelle semplici regole con la forza riesce veramente a cambiare lo scenario ed il destino dei reclusi. Emblematicamente, il film termina al piano terra, il piano 333 che in numerologia richiama la guida spirituale che aiuta coloro che si trovano in difficilta’, sebbene il messaggio finale, impersonato da una bambina apparentemente nata in cattivita’, non appaia poi cosi’ positivo.
Il Buco, presentato al Toronto International Film Festival, e’ stato acquistato da Netflix ed e’ subito diventato uno dei piu’ popolari della piattaforma. E a ragione, verrebbe da dire. Tratto da un testo teatrale, il film, opera prima del regista basco Galder Gaztelu-Urrutia, non e’ di facile visione ma chi ha lo stomaco per sostenere le violentissime e disturbanti immagini viene ripagato con una parabola terribile ma sofisticata ed intellettualmente godibile sull’imperfezione ed animalita’ umana, con una stilizzazione formale di assoluto rilievo e continui richiami sia cinematografici, in primis Peter Greenway per l’elaborazione culinaria, che letterari, Dante ed il suo inferno, nonche’ politico-filosofici a vario spettro, con una critica aperta dei sistemi politici sia liberalistici che socialisti. Buone ed incisive anche le prove degli interpreti, che il regista ha argutamente scelto fra attori solitamente impiegati per ruoli brillanti e comici.
Tenuta presente la difficolta’ di alcune scene, che potrebbero sconvolgere alcuni spettatori, il film e’ sicuramente da vedere per il suo valore artistico e stilistico e rappresenta senz’altro una prova di coraggio, che e’ onesto riconoscere ed apprezzare, di Netflix, piattaforma molto popolare ma che non verrebbe propriamente da definire d’essai
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felicity
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lunedì 18 maggio 2020
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horror fin troppo metaforico
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Invettiva sulla disuguaglianza e l’egoismo umano travestita da thriller sci-fi, il concept stesso alla base di questo film low budget è una grande metafora della scarsità di risorse e della guerra di classe.
Si tratta di un modo particolarmente ispirato e di genere per entrare nel vivo della politica di classe e di come nascano risentimenti tra i diversi strati della società civile, ma, qualora questo tipo di letture impegnate non vi interessano, Il Buco rimane comunque un fanta-horror teso e capace di divertire gli appassionati fino alla fine.
A differenza di molti film che prendono questa strada Il buco non si perde nell’autoreferenzialità, scorrendo e funzionando dall’inizio alla fine.
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Invettiva sulla disuguaglianza e l’egoismo umano travestita da thriller sci-fi, il concept stesso alla base di questo film low budget è una grande metafora della scarsità di risorse e della guerra di classe.
Si tratta di un modo particolarmente ispirato e di genere per entrare nel vivo della politica di classe e di come nascano risentimenti tra i diversi strati della società civile, ma, qualora questo tipo di letture impegnate non vi interessano, Il Buco rimane comunque un fanta-horror teso e capace di divertire gli appassionati fino alla fine.
A differenza di molti film che prendono questa strada Il buco non si perde nell’autoreferenzialità, scorrendo e funzionando dall’inizio alla fine.
Il film funziona proprio per la sua componente visiva, quantomai eloquente.
La scelta di scarnificare e rendere estremamente semplice, quasi non degno di interesse quello che vediamo attorno ai personaggi, cozza violentemente con la ricchezza e l’abbondanza che scende dalla piattaforma, almeno nei piani più alti.
Il buco è un film pregno, dalla prima all’ultima inquadratura, che non spreca mai tempo per argomentare la sua tesi. Quasi in maniera ossessiva, potremmo aggiungere. Anche se non ha particolari problemi di ritmo, il film potrebbe apparire per certi versi ripetitivo. Forse un trattamento più ampio avrebbe giovato, per dare un po’ di aria al racconto.
Negli spazi stretti e disadorni che dominano il film è poi inevitabile che siano i personaggi ed i loro interpreti ad avere grande responsabilità sulla sua riuscita.
Gli attori reggono molto bene i 90 minuti di durata, grazie anche ad un buon lavoro di scrittura dei personaggi, ben caratterizzati e diversi fra loro.
In sintesi il film non è altro che una riuscitissima metafora, che trasforma i suoi temi ideologici in qualcosa di molto più emozionante di quanto potrebbe mai essere la sola pura teoria. Che oltretutto sia un film di genere capace di angosciare e far parteggiare per oltre 90 minuti dovrebbe poi garantire che anche gli spettatori indifferenti agli aspetti più impegnati e riflessivi lo trovino ugualmente soddisfacente.
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no_data
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venerdì 24 aprile 2020
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un film impegnativo
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Il primo titolo che mi è venuto alla mente mentre guardavo questo film cercando di comprenderne il significato è stato ''Circle'' di Haaron Ann e Mario Miscione. Non per la trama o l'ambientazione completamente diverse, ma perchè tentano di rappresentare il comportamento dell'uomo messo in situazioni estreme di vita o di morte. Le scelte che il personaggio compie sono ogni volta per il suo bene o per quello degli altri.
Nel film di Gtatzel-Urrutia l'approfondimento psicologico è maggiore così come è chiara l'intenzione degli sceneggiatori di ricondurre il tutto ad una metafora sacrifico-salvifica di chiara impronta cristiana.
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Il primo titolo che mi è venuto alla mente mentre guardavo questo film cercando di comprenderne il significato è stato ''Circle'' di Haaron Ann e Mario Miscione. Non per la trama o l'ambientazione completamente diverse, ma perchè tentano di rappresentare il comportamento dell'uomo messo in situazioni estreme di vita o di morte. Le scelte che il personaggio compie sono ogni volta per il suo bene o per quello degli altri.
Nel film di Gtatzel-Urrutia l'approfondimento psicologico è maggiore così come è chiara l'intenzione degli sceneggiatori di ricondurre il tutto ad una metafora sacrifico-salvifica di chiara impronta cristiana. Tutti nel il buco sacrificano qualcosa ma alcuni lo fanno per il bene di altri e solo essi sono la vera speranza per il cambiamento.
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no_data
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venerdì 24 aprile 2020
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un film impegnativo
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Il primo titolo che mi è venuto alla mente mentre guardavo questo film cercando di comprenderne il significato è stato ''Circle'' di Haaron Ann e Mario Miscione. Non per la trama o l'ambientazione completamente diverse, ma perchè tentano di rappresentare il comportamento dell'uomo messo in situazioni estreme di vita o di morte. Le scelte che il personaggio compie sono ogni volta per il suo bene o per quello degli altri. Nel film di Gtatzel-Urrutia l'approfondimento psicologico è maggiore così come è chiara l'intenzione degli sceneggiatori di ricondurre il tutto ad una metafora sacrifico-salvifica di chiara impronta cristiana. Tutti nel il buco sacrificano qualcosa ma alcuni lo fanno per il bene di altri e solo essi sono la vera speranza per il cambiamento.
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onufrio
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domenica 19 aprile 2020
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la fossa
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Un messaggio critico e severo alla nostra società, accecata dalla brama di potere. Un viaggio all'interno dei gironi infernali alla ricerca di una salvezza, un messaggio di speranza che vada oltre le angustie e le cattiverie subite e commesse dal genere umano. Un Horror claustrofobico, forte e al tempo stesso riflessivo. Una spruzzata di novità nel panorama cinematografico attuale.
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mongo95
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venerdì 3 aprile 2020
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el hoyo: prospettive di redenzione
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Nel variegato panorama contemporaneo del cinema impegnato di denuncia sociale (da Parasite a Joker), la pellicola di Gaztelu-Urrutia offre spunti di riflessione inediti, interpretazioni di una prospettiva di svolta religiosa alle storture della civiltà capitalista.
Il contesto è il classico, indeterminato presente distopico, rappresentato dal microcosmo della Fossa, prigione anonima e disumana nella sua architettura industriale, che porta all’estremo le dinamiche della gerarchia sociale e delle disuguaglianze. Letteralmente, i pochi che stanno sopra decidono il destino dei molti di sotto, controllando i mezzi di sussistenza.
La soluzione per uscire dal meccanismo diabolico è tanto semplice quanto illusoria: limitandosi a consumare il minimo necessario, razionare il cibo, sarebbe possibile la sopravvivenza di tutta la società.
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Nel variegato panorama contemporaneo del cinema impegnato di denuncia sociale (da Parasite a Joker), la pellicola di Gaztelu-Urrutia offre spunti di riflessione inediti, interpretazioni di una prospettiva di svolta religiosa alle storture della civiltà capitalista.
Il contesto è il classico, indeterminato presente distopico, rappresentato dal microcosmo della Fossa, prigione anonima e disumana nella sua architettura industriale, che porta all’estremo le dinamiche della gerarchia sociale e delle disuguaglianze. Letteralmente, i pochi che stanno sopra decidono il destino dei molti di sotto, controllando i mezzi di sussistenza.
La soluzione per uscire dal meccanismo diabolico è tanto semplice quanto illusoria: limitandosi a consumare il minimo necessario, razionare il cibo, sarebbe possibile la sopravvivenza di tutta la società. Ciò ovviamente non accade, neppure i pochi fortunati che si ritrovano in livelli più alti (la “scalata sociale”) sono disposti a rinunciare al nuovo “benessere” in aiuto di chi è rimasto indietro.
Ma è qui che la parabola politica si interrompe, senza prospettare soluzioni. Impossibile cambiare una società del genere dal suo interno, la “presa di coscienza di classe” da parte dei prigionieri fallisce miseramente: la solidarietà reciproca non emerge spontaneamente, come scoprirà il personaggio di Imoguiri, l’ex funzionaria. Nessuna rivoluzione politica può mutare il destino degli abitanti della Fossa.
Ed è qui la novità di El Hoyo: perché avvenga la svolta è necessario un intervento esterno, che assume tratti religioso-cristiani nel protagonista Goreng, che incarna, nella sua vicenda, la figura del Messia, del Cristo. Proprio l’elemento religioso è preponderante in un’interpretazione integrale del film.
Partendo dal concetto dell’Amministrazione, entità ineffabile dai tratti di un Dio trascendente che ha creato il mondo (la Fossa) secondo regole precise, offrendo ai suoi abitanti ricchezza e risorse (il banchetto quotidiano), che gli uomini non hanno però saputo rispettare, sfruttandole scriteriatamente, istituendo una società di violenza, disuguaglianza e dominio dei pochi sui molti. Il Dio/Amministrazione, rinunciando all’idea di un’autoregolamentazione come solidarietà reciporca, è stato costretto a inviare un elemento esterno di rottura, il Cristo/Goreng, perché diffondesse l’idea di un cambiamento possibile. Inizia la sua Passione, folle discesa nei bassifondi di questo mondo fallito; per raggiungerne il punto più profondo, nel simbolico livello 333: qui la Trinità di Padre/Amministrazione e Figlio/Goreng si compie nell’ascesa dello Spirito Santo/bambina ai livelli superiori. Goreng ha portato redenzione agli uomini, letteralmente morendo per i loro peccati: ciò è manifesto nell’immagine di Goreng sanguinate al termine della discesa, che volge lo sguardo verso la luce dei livelli superiori; un rimando all’iconografia di Cristo in croce che si rivolge morente al Signore che l’ha abbandonato.
In El Hoyo si fondono prospettive politiche e religiose, l’idea di una redenzione delle masse tramite non tanto il comunismo storico, quanto la dottrina cristiana applicata al marxismo, teologia della liberazione che individua la salvezza nella dirompente rivoluzione della sofferenza del Cristo, summa del potenziale di emancipazione sociale e politica del messaggio cristiano. Quando la trasformazione non parte dall’interno della società stessa, è necessario l’intervento divino scompaginante la Storia.
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