Il peso del mondo è amore sotto il fardello di solitudine, sotto il fardello di insoddisfazione. In sogno
ci tocca il corpo, nel pensiero costruisce un miracolo, nell’immaginazione s’angoscia fino a nascer nell’umano ma noi il peso lo portiamo stancamente e dobbiamo trovar riposo tra le braccia dell’amore. Questa poesia di corpi caldi splendono insieme al buio, la mano si muove verso il centro della carne, la pelle trema di felicità e l’anima viene gioiosa fino agli occhi.
Sì, sì, questo è quel che volevo, ho sempre voluto, ho sempre voluto, tornare al mio corpo dove sono nato.
L'aulica canzone di Allen Ginsberg purché decontestualizzata al contesto della beat generation, può essere utilizzata come assioma dell'ultimo film di Emanuele Corapi, L’amore a domicilio disponibile su Amazon prime.
[+]
Il peso del mondo è amore sotto il fardello di solitudine, sotto il fardello di insoddisfazione. In sogno
ci tocca il corpo, nel pensiero costruisce un miracolo, nell’immaginazione s’angoscia fino a nascer nell’umano ma noi il peso lo portiamo stancamente e dobbiamo trovar riposo tra le braccia dell’amore. Questa poesia di corpi caldi splendono insieme al buio, la mano si muove verso il centro della carne, la pelle trema di felicità e l’anima viene gioiosa fino agli occhi.
Sì, sì, questo è quel che volevo, ho sempre voluto, ho sempre voluto, tornare al mio corpo dove sono nato.
L'aulica canzone di Allen Ginsberg purché decontestualizzata al contesto della beat generation, può essere utilizzata come assioma dell'ultimo film di Emanuele Corapi, L’amore a domicilio disponibile su Amazon prime.
Protagonista è Renato (Simone Liberati), perito assicurativo dalla latente malinconia che ricorda una fiamma che alimenta la sostanza stessa della sua umanità, grazie alla quale riesce ad affrontare con tenacia ogni difficoltà. Sensibile alla singolarità delle persone più che alle sue idee, angosciato da remote turbe adolescenziali (come la paura di non trovar più la bicicletta fino al reale furto vissuto come sollievo, nel riuscito monologo iniziale), con un padre che si piange addosso e una madre che lo ha abbandonato, Renato è testimone dello sviluppo contraddittorio delle sconfitte della vita e ricerca una vitalità tormentata, una cosa bella, in un esito incerto di una polizza errata o di un amore malvissuto con una donna per la quale non prova più nulla, Simona.
Finchè un giorno incontra per caso Anna (Miriam Leone), dai capelli rossi, sgraziata e rockettara, che bascula nella città come una peripatetica svalvolata. Viene “rimorchiata” dall’incerto Renato che lo porta a casa sua, lei cerca il sesso, lui accetta e dopo aver consumato un rapporto inatteso, si innamora perdutamente di lei, ammaliato da quegli occhi verde-gatto e da quella gioia di vivere che lui, ahimè, non ha mai potuto godere appieno.
Anna non è proprio quello stinco di santo che si possa pensare (del resto la premessa è d’auspicio): è agli arresti domiciliari con una madre (talis) prostituta dal cuore mica tanto d’oro, bersagliata da controlli di polizia quasi continui (e frutto di un interesse specifico come si vedrà nello sviluppo del film). Frequenta l’università per dare un senso alla sua vita pur non avendo mai superato un esame, è affamata di vita ma per converso, permane barricata in quattro mura con un vecchio televisore a tubo catodico, grazie a un’attenuante che le ha fatto evitare il carcere dopo una rapina a mano armata finita male.
Per di più, non potrà più a breve stare in quella casa perché venduta all’asta giudiziaria e ciliegina sulla torta, vivrà anche l’arrivo dell’ex fidanzato francese -evaso chiaramente- che ha pianificato un gran colpo in un compro-oro di Roma (avendo un aggancio inaspettato, la moglie del gestore).
Volente o nolente, tutto ciò finirà per alterare i già precari equilibri di Renato che imparerà a essere meno imbranato e a comprendere quanto un amore totalizzante, possa far capolino persino tra gli scampoli apparentemente senza luce di un uomo “verdoniano” un po’ disfattista.
Sì, perché Emiliano Corapi, volutamente nel film prende spunto dal classico, ingenuo e goffo personaggio reso celebre dai film del grande Verdone negli anni ’80 per tradurre, senza melensaggini, il rapporto complicato di un amore timoroso ma bisognoso di vita e come in ogni commedia che si rispecchi tormentato dall’inadeguatezza.
Renato e Anna rappresentano i due complementary opposites di una relazione affaticata e graziosa, capaci di dar la giusta scena ai numerosi personaggi di contorno: dalla malinconica saudade del padre di lui che aggiusta il carrellino scozzese per la spesa come un pensionato, lasciandosi andare ai ricordi di un tempo con una moglie che non l’hai mai amato, infliggendosi masochisticamente un amore malato, a quello burrascoso della figlia con la madre priva di quella solidarietà emotiva tra i due uomini.
L’amore a domicilioconiuga con dolcezza e piacevolezza la commedia agrodolce sul significato della parola “relazione amorosa” (con tanto di citazioni colte di Dante Alighieri al Amor ch'a nullo amato amar perdona per sottolineare che chi è inondato di amore non può a sua volta non riamare) virando per la malinconica riflessione col dramma esistenziale del nostro Renato, sino all’inatteso colpo in gioielleria (quello che gli americani chiamerebbero heist movie) con un montaggio serrato, inquadrature dinamiche e un gioco delle parti che senza scomodar Pirandello si manifesta vivace e frizzante, capace di esaltare i difetti dei protagonisti ma trovando in essi una via, anzi un’occasione, per mutarli in pregi. E scusate se è poco in meno di un’ora e mezza di pellicola.
[-]
|
|