iconologo
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giovedì 14 giugno 2018
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se titolasse lazzaro “infelice”sarebbe piu' visto
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Ma è un dilemma noto, che basti l'immagine e non la parola, tanto i pochi capiscono. Uno storico americano dell’economia (Landes) rimise in circolazione un detto tedesco “L’aria della città rende liberi” per confermare l’idea generale che le città nel passato hanno creato diritti maggiori rispetto alle gerarchie oligarchiche delle campagne: pur con drammi che sussistono in ogni mutamento, nel caso della rivoluzione industriale bambini e donne massacrati dalla fatica, da aborti e da incidenti sul lavoro. Nel film –raffinato sotto ogni aspetto e più lirico del precedente “Le meraviglie”- pgni idea meccanica di progresso è ribaltata.
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Ma è un dilemma noto, che basti l'immagine e non la parola, tanto i pochi capiscono. Uno storico americano dell’economia (Landes) rimise in circolazione un detto tedesco “L’aria della città rende liberi” per confermare l’idea generale che le città nel passato hanno creato diritti maggiori rispetto alle gerarchie oligarchiche delle campagne: pur con drammi che sussistono in ogni mutamento, nel caso della rivoluzione industriale bambini e donne massacrati dalla fatica, da aborti e da incidenti sul lavoro. Nel film –raffinato sotto ogni aspetto e più lirico del precedente “Le meraviglie”- pgni idea meccanica di progresso è ribaltata. La città è assente nei rapporti sociali, nel bene e nel male: non il lavoro né la politica, che recano pur sempre una dialettica tra le persone, non la devianza o la violenza. In questo senso il film non mette “troppa carne al fuoco” e resta una splendida favola negativa, da interpretare; i migliori film magari con due parole di dialogo riescono a far spiccare dei valori. Qui l’angelo rischia di confondersi con quel santino che la camerierina bacia più volte.
Una villa isolata dal resto del paese, in un paesaggio lunare, perpetua la soggezione mezzadrile, senza salari, con sovraffollamento e mancanza di scuola per i bambini. Va in crisi per il contrasto tra la marchesa (poco sviscerata in realtà nel suo modo concreto di vivere, a parte lezioni sul galateo della tavola e sull’universalità dello sfruttamento) e il figlio marchesino, neppure capace di pungersi un dito o di rinunciare alle sigarette..
Ma quando arrivano i Carabinieri e lo scandalo va sui giornali, i contadini si disperdono, e anni dopo in città la convivenza di alcuni di essi resta disumana: vivono di furti o imbrogli, se non peggio (da dove bengono soldi per i pasticcini?); le radici sono perdute come la sapienza di chi non sa più cuocere le erbe selvatiche; uno di essi chiama gli immigrati a vendrsial ribasso. Il marchesino pure si rivela nei fatti uno straccione, speculatore, profittatore sui poveri. Chi mantiene la purezza e l’altruismo è solo il “lazzarone” sempre felice: non ha avuto genitori, non muore cadendo, non invecchia, non ha fame.
Diciamola la conclusione, che non danneggerà il film: girerà, giustamente nelle tv ma solo a Natale. Quasi san Sebastiano, il protagonista morirà colpito dai clienti della Banca del Popolo, terrorizzati dalla sua sincerità, di avere una fionda in tasca che non ha usato mai neppure contro gli uccelli comefanno i ragazzi di campagna. Nella città non si può più avere nessun “Miracolo a Milano”; a resistere è solo la pura vita, un lupo inurbato pure lui e che sa stare nel traffico delle automobili. La gentilezza e la purezza sono cacciate ai margini, anche la musica sparisce dopo che le suore l’hanno vietata ai poveri. Ma forse Bresson, Olmi, Pasolini erano stati più incisivi, come si dovrebbe fare in una Italia confusa e piena di paura verso i diversi, bisognosa di santi ma non silenziosi. DA; Iconologo
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giovannaalati
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giovedì 21 giugno 2018
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un film " illuminante"
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Certo non è un film facile, ho dovuto leggere la recensione di my movies e molti commenti per apprezzarlo meglio, nel bene e nel male. Certo non sempre Alice padroneggia i vari linguaggi che si intersecano tra loro, ma forse é una sua scelta.
Per esempio trovo illuminante, nel senso proprio del termine il gioco di accendere e spegnere l'unica lampadina della casa, tanto c'è la luna a rischiarare le notti di quei poveri cristi.
Lazzaro ci accompagna in tutto il film con la sua anacronistica dolcezza, facciamoci portare per mano, da lui e da Alice, vera interprete di sentimenti ed emozioni senza tempo.
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loland10
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domenica 24 giugno 2018
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(ir)reali incontri...
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“Lazzaro felice” (2018) è il terzo lungometraggio della regista di Fiesole Alice Rohrwacher.
Dal Festival di Cannes dove è stato premiato per la sceneggiatura originale ad opera della stessa regista. È subito distribuito nelle sale, strano a dirsi, per un mese di giugno dove l'appetito per il grande schermo non è mai una prova di partecipazione. Il pubblico ha voglia di stare dentro una sala? Una domanda d'obbligo quando si vedono schermi illuminati che guardano se stessi.
E così esiste un cinema italiano che cerca di andare oltre lo schermo, di sperare in qualcosa oltre un orizzonte, di osservare un'interiorità labile di persone statuarie e spinose, ultime e prime.
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“Lazzaro felice” (2018) è il terzo lungometraggio della regista di Fiesole Alice Rohrwacher.
Dal Festival di Cannes dove è stato premiato per la sceneggiatura originale ad opera della stessa regista. È subito distribuito nelle sale, strano a dirsi, per un mese di giugno dove l'appetito per il grande schermo non è mai una prova di partecipazione. Il pubblico ha voglia di stare dentro una sala? Una domanda d'obbligo quando si vedono schermi illuminati che guardano se stessi.
E così esiste un cinema italiano che cerca di andare oltre lo schermo, di sperare in qualcosa oltre un orizzonte, di osservare un'interiorità labile di persone statuarie e spinose, ultime e prime. In un'area piena di lavori, piena di odori, piena di vestiti e robe accalcate, piena di tanti in poco spazio si intravede un'umanità oltre il nostro percepire, si osserva un fuoco sopra i nostri sguardi e si percepisce un didentro tenue, poco colorato, invisibile che resta nel non detto o non visto.
I volti, le facce, i visi e i gesti dei mezzadri (non sanno altro...lavorano per mangiare, nessun contratto, nessun orario e nessun posto decente per dormire e sbrigare le faccende personali) sono da incorniciare: vengono da quello che ci ostiniamo a non vedere.
Lazzaro vive in una comunità di contadini, si dà da fare in tutto, aiuta e vuole bene a tutti sopratutto al suo amico Tancredi; la Contessa costringe tutto il gruppo ad un lavoro durissimo tra povertà e miseria; poi Lazzaro rimane da solo a cercare l'amico. Per caso, dopo un passaggio, si ritrova vicino ad una ferrovia di una città con un altro gruppo di persone che conoscono il suo nome. È un girovagare il suo senza una vera e propria destinazione.
Lazzaro è un ragazzo debole, umile e semplice ma in ogni incontro trasmette armonia e gioia di vivere. E anche amico dei lupi che seguono, favoleggiando, ogni suo passo.
Dal reale all'irreale, dal silenzio assordante al rumore dei treni, dal vuoto dei luoghi agli incroci di strade e di gente per male.
La prima parte del film resta da incorniciare, semplice, dismessa, nessuna retorica, limpida e agreste senza essere vana o studiata. Immediata e sincera. L'aia con le oche, le galline, la polvere, il pasto, il bere, la trebbiatura (osservare il marchio 'Fabiani' che dice dei tempi e del tempo non passato per loro), il luogo, i cancelli, gli interni, il fattore, il vestiario, il silenzio (reale e della musica assente) sono marchi che restano indelebili. Un contraltare vero tra mondo non conosciuto e un'ignoranza voluta, ma la schiettezza, l'immediatezza e il volto di Lazzaro aggiungono ad ogni cosa e inquadratura la memoria di una pellicola che parte da una storia italiana e da un racconto di sguardi personali provenienti da altri registi. Per primo Ermanno Olmi: si sente subito il profumo del cineasta bergamasco nella ripresa asciutta e povera della regista: come non pensare da subito al realismo senza contraddizioni de 'L'albero degli zoccoli'. Modi, piccole carrellate, stop, fermi immagini, linguaggio e tipo di pellicola (proiezione ridotta a mo di 'sceneggiato' degli anni che furono).
La seconda parte appare più favolistica quasi a completarne i personaggi: si ritrovano tutti o quasi con mansioni diverse e stessi problemi. Dalla campagna all'asfalto, dalla mezzadria di una contessa furba ai piccoli inganni, ruberie e alloggio di fortuna. Ecco dal paesaggio del ricatto (e fanno capolino anche i Taviani) prende il sopravvento il luogo dei fantasmi ('Fantasmi a Roma' di Antonio Pietrangeli del 1961) e del loro mondo misero è fasullo. Reale, sogno, fiaba, surreale e vita grama in ogni caso. Lazzaro figlio di un mondo inesistente e invisibile, ultimo e ignorante, amico senza circostanze. Lieve e leggerissimo ci entra dentro passando davanti a tutti anche dietro una fionda regalatagli dal suo Tancredi. Ecco il sangue sembra non fargli paura.Marcello ('Dogman' di M. Garrone) e Lazzaro sembrano conoscersi. Storie e diverse con alcune assonanze comuni.
Lunatico, longevo, leale e amico dei lupi; Assennato e amorfo, assonnato e attento; Zigzagando per campi, zimbello di tutti e un aiuto per tutti: Zitto e calmo, zotico e spento, il nostro felice si sdoppia ogni volta per dare una mano; Ariosamente statico e miserevolmente caparbio; Rustico, ignorante, stupido e anche altro ma Felice ridesta ogni stile non per buonismo o pietà ma per semplice umanità, rapporto senza condizioni, respiro di aria fresca e purezza di un santo, senza saperlo, di tutti i giorni. Che abita o può abitare a fianco a noi. Offuscato nei sogni e libero. Perdente ma sano, semplice ma sempre vivo. Un ragazzo, Lazzaro, da conservare: e il 'fanciullino' (‘pascoliano’) che non (t’)aspetti.
Cast: da assaporare con gli sguardi e le poche cose che sembrano dirci. Adriano Tardiolo (Lazzaro), alla sua primissima esperienza d’attore, buca lo schermo e rimane impresso, Luca Chikovani (Tancredi ragazzo) cantante e suo primo ruolo, e vanno ricordati tutti i volti muti e semplici che rendono vero questo film. Natalino Balasso (Nicola) ci accompagna nella ‘fiaba’ come un personaggio di Collodi.
Regia non compiaciuta, partecipe, viva e dentro i particolari.
Voto: 7½ (***½).
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lbavassano
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sabato 2 giugno 2018
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dubbi
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Se "Dogman" mi ha deluso, "Lazzaro felice" accresce i miei dubbi sulla giuria dell'ultimo Festival di Cannes. Se "Le meraviglie" mi aveva piacevolmente sorpreso, per la capacità dell'autrice di rielaborare in forma poetica una materia, credo, a lei ben nota, qui mi pare puntare troppo in alto.
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maurizio.meres
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lunedì 4 giugno 2018
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lazzaro,lo specchio della purezza dell'anima
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La bravissima regista Alice Rohrwacher ormai entrata di diritto nella nuova era di registi Italiani validi e di personalità propria,coraggiosi e soprattutto continuativi nella ricerca espressiva cinematografica.
Attingere ma soprattutto ricomporre da altri maestri del cinema Italiano,sensazioni, stati d'animo,ambientazioni,cogliere l'attimo espressivo dei personaggi veri reali,è un segno di grande maturazione professionale,in questo film viene esaltata in una forma quasi fantastica la purezza dell'anima umana,attraverso le sembianze di un ragazzo la forma più pura della bontà,dell'altruismo,della vera essenza dell'anima che non conosce il male,un innocenza utopica in questo mondo,come in quadro astratto bisogna capire quello che la regista nella sua più profonda sensibilità vuole esprimere,ma ripercorrendo gli altri lavori di Alice si può dire che riproporre cinematograficamente la semplicità di ciò che ci circonda è la sua natura fatta anche di silenzi nell'atmosfera surreale di ciò che vuole diffondere,ma soprattutto dalla vera purezza del profondo dell'essere.
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La bravissima regista Alice Rohrwacher ormai entrata di diritto nella nuova era di registi Italiani validi e di personalità propria,coraggiosi e soprattutto continuativi nella ricerca espressiva cinematografica.
Attingere ma soprattutto ricomporre da altri maestri del cinema Italiano,sensazioni, stati d'animo,ambientazioni,cogliere l'attimo espressivo dei personaggi veri reali,è un segno di grande maturazione professionale,in questo film viene esaltata in una forma quasi fantastica la purezza dell'anima umana,attraverso le sembianze di un ragazzo la forma più pura della bontà,dell'altruismo,della vera essenza dell'anima che non conosce il male,un innocenza utopica in questo mondo,come in quadro astratto bisogna capire quello che la regista nella sua più profonda sensibilità vuole esprimere,ma ripercorrendo gli altri lavori di Alice si può dire che riproporre cinematograficamente la semplicità di ciò che ci circonda è la sua natura fatta anche di silenzi nell'atmosfera surreale di ciò che vuole diffondere,ma soprattutto dalla vera purezza del profondo dell'essere.
Lazzaro in questo film è un ragazzo che vive in una specie di comune schiavizzata dal cosiddetto padrone,egli è solo,senza genitori e parenti forse non conosce neanche la sua età perché l'anima non conosce l'evolversi del tempo,lui diventa la rappresentazione materializzata del puro spirito,in una esaltazione quasi mistica ,dove l'essere umano è il vero messia.
Ambientazione ottime girate nella valle dei Calanchi vicino Civita di Bagnoregio,dove il silenzio è il rumore della natura rendono l'ottima sceneggiatura vera e interpretativamente libera.
Un film che entra in perfetta sintonia tra il cinema d'autore e un publico attento,riflessivo e amante delle nuove idee,sicuramente super consigliato.
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aurash
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domenica 10 giugno 2018
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dannoso
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Il protagonista, al di là della edulcorata nerrazione che ne viene fatta dall'autrice, è un ragazzo presumibilmente affetto da sindrome autistica che, nel contesto della comunità chiusa e quasi-manicomiale in cui vive, subisce insieme ai propri compagni senza mai in alcun modo ribellarsi, ogni forma di angheria psicologica e di sopruso economico. La storia finisce in tal modo col descrivere un ininterrotto e immutabile esercizio di sadismo sociale che a tratti annoia, ma ben più spesso indispone, irrita, intriso com'è di una rassegnazione assoluta anzi mistica direi (della quale infatti l'autrice invita a compiacersi) che invece fortunatamente per noi tutti non trova riscontro nel mondo reale.
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Il protagonista, al di là della edulcorata nerrazione che ne viene fatta dall'autrice, è un ragazzo presumibilmente affetto da sindrome autistica che, nel contesto della comunità chiusa e quasi-manicomiale in cui vive, subisce insieme ai propri compagni senza mai in alcun modo ribellarsi, ogni forma di angheria psicologica e di sopruso economico. La storia finisce in tal modo col descrivere un ininterrotto e immutabile esercizio di sadismo sociale che a tratti annoia, ma ben più spesso indispone, irrita, intriso com'è di una rassegnazione assoluta anzi mistica direi (della quale infatti l'autrice invita a compiacersi) che invece fortunatamente per noi tutti non trova riscontro nel mondo reale. Una favola/incubo quindi, in cui nell'indifferenza generale - delle vittime come dei carnefici - si consuma ogni genere di nequizia umana, sia psicologica che materiale.
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flyanto
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venerdì 15 giugno 2018
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una creatura fuori dal comune
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La regista Alice Rohrwacher ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche con la sua ultima opera “Lazzaro Felice”. Lazzaro è il protagonista della storia ed è un giovane contadino che svolge con dovizia e responsabilità le proprie mansioni nei campi di tabacco insieme agli altri braccianti e contadini del luogo. Essi sono tutti dipendenti di una signora di origini nobili, una marchesa ad essere precisi, la quale è la proprietaria terriera di vasti appezzamenti dove è coltivato il tabacco. Ella è una donna malvagia che tiene sotto la sua potestà tutta la suddetta comunità contadina, pagando il minimo i lavoranti, non permettendo loro di far valere i propri diritti ed, anzi, tenendo loro nella più completa ignoranza, cosicchè essi non si possano né far valere né ribellare.
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La regista Alice Rohrwacher ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche con la sua ultima opera “Lazzaro Felice”. Lazzaro è il protagonista della storia ed è un giovane contadino che svolge con dovizia e responsabilità le proprie mansioni nei campi di tabacco insieme agli altri braccianti e contadini del luogo. Essi sono tutti dipendenti di una signora di origini nobili, una marchesa ad essere precisi, la quale è la proprietaria terriera di vasti appezzamenti dove è coltivato il tabacco. Ella è una donna malvagia che tiene sotto la sua potestà tutta la suddetta comunità contadina, pagando il minimo i lavoranti, non permettendo loro di far valere i propri diritti ed, anzi, tenendo loro nella più completa ignoranza, cosicchè essi non si possano né far valere né ribellare. Un giorno il di lei figlio scappa dalla casa e si rifugia nei campi con la complicità di Lazzaro che, nel frattempo, è diventato un suo devoto amico. Da questo momento in poi la situazione generale cambierà radicalmente perché, grazie all’intervento della Polizia, verrà scoperto lo stato di grave sfruttamento in cui i contadini sono tenuti e, arrestata la donna, quest’ultimi verranno trasferiti in città presso dei centri di accoglienza. Tutti tranne, però, Lazzaro che nel contempo è scivolato in una sorta di burrone e di cui, pertanto, l’ esistenza non viene rilevata dalle suddette Forze dell’Ordine. Quando Lazzaro si sveglia dalla caduta, sono trascorsi nel frattempo svariati anni e la condizione degli ex-contadini non è affatto migliorata dal loro trasferimento in città: essi infatti, vivono in baracche malsane e cadenti collocate nella più remota periferia e si mantengono chiedendo l’ elemosina ai passanti o svolgenbdo qualche lavoretto occasionale. Lazzaro riesce a trovarli ed unirsi nuovamente a loro, tra lo stupore di tutti che, ormai invecchiati come vuole la natura, si meravigliano che egli, invece, appaia sempre con l’aspetto giovane ed in buona salute come ai tempi della precedente vita in campagna, quasi non fosse accaduto nulla e si fosse fermato il tempo….
Quella di “Lazzaro Felice” è una storia molto ‘sui generis’, molto surreale, imperniata soprattutto sulla figura di questo giovane innocente e di buoni sentimenti che è anche molto ‘naif’ in quanto a contatto con la natura, affatto istruito e sempre ben disposto nei confronti degli altri. Privo di ogni malizia e cattiveria, per non dire di alcun sentimento negativo, egli rappresenta colui che, quasi come un Gesù, con la sua spontaneità ed il suo candore/bontà (che ben si evince dallo stesso sguardo) riesce ad elevarsi su tutti, scatenando, a seconda della natura umana, ammirazione o derisione, quando non anche diffidenza od addirittura violenza. L’accusa mossa dalla Rohwacher si muove contro l’intrinseca cattiveria degli esseri umani (o, per lo meno di alcuni di loro) e del progresso raggiunto dagli stessi uomini che il più delle volte li ‘danneggia’, estrapolando la loro parte peggiore: solo chi , come Lazzaro, è realmente dotato di buoni sentimenti e di una spontaneità diretta si erge sopra tutto e tutti non ‘sporcandosi’ di ciò che è marcio o vile.
La prima parte del film, ambientata nelle vaste campagne, è quella migliore e richiama alla lontana il cinema del regista Ermanno Olmi per la fotografia e le situazioni; la seconda, invece, risulta molto più deludente e, quasi, esasperata nelle riprese e nel contenuto simbolico e ciò svilisce di molto il valore dell’intera opera. In ogni caso, con “Lazzaro Felice” si è ben lungi dal successo e dalla piena realizzazione del precedente “Corpo Celeste” dove l’atipica e quanto mai vera figura del personaggio femminile dominava efficacemente tutta la storia. Peccato!
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elenabrogliatto
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domenica 17 giugno 2018
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faticoso ma straordinario
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Sono andata al cinema certamente fiduciosa nella regia e nella giuria di Cannes. Dal trailer non avevo intuito molto, forse lo avevo guardato frettolosamente...comunque l’ho visto da sola e questo ha sicuramente contribuito ad immergermi completamente in questa scrittura/visione che mi ha rapita confusa e commossa: alla ricerca faticosa di una logica e di un ordine nelle cose, alla fine mi solo abbandonata alla pura visione, ho pianto per la bontà di Lazzaro e la meschinità della gente comune perché lui non ha potuto sopravvivere, nulla è cambiato anche nel mondo libero e civilizzato, dove il degrado e la violenza rendono la vita degli uomini ancora più penosa e prigioniera.
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Sono andata al cinema certamente fiduciosa nella regia e nella giuria di Cannes. Dal trailer non avevo intuito molto, forse lo avevo guardato frettolosamente...comunque l’ho visto da sola e questo ha sicuramente contribuito ad immergermi completamente in questa scrittura/visione che mi ha rapita confusa e commossa: alla ricerca faticosa di una logica e di un ordine nelle cose, alla fine mi solo abbandonata alla pura visione, ho pianto per la bontà di Lazzaro e la meschinità della gente comune perché lui non ha potuto sopravvivere, nulla è cambiato anche nel mondo libero e civilizzato, dove il degrado e la violenza rendono la vita degli uomini ancora più penosa e prigioniera. Meravigliosa la fotografia. Io sono uscita dal cinema completamente estraniata, un sabato sera estivo a Torino, ho faticato a riprendere contatto con la realtà la città,i rumori, la gente. Ma dove vivo, mi sono chiesta inconsapevolmente. Nella molteplicita di luoghi c’era Torino mi pare. Forse cercavo Lazzaro o qualcosa che lo rappresentasse. Una visione a tratti faticosa ma che sa accendere pensieri e riflessioni potenti.
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doctorcinema
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martedì 26 giugno 2018
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un film da metabolizzare per apprezzarlo appieno.
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"Lazzaro felice" è la terza opera cinematografica di Alice Rohrwacher e racconta la storia di un gruppo di contadini costretti a vivere in delle catapecchie fatiscenti adiacenti ad una vecchia villa padronale e obbligati a lavorare la terra per conto di una dispotica contessa, vivendo una vita povera, priva di ogni diritto lavorativo e nella totale incosapevolezza del fatto di essere sfruttati. Nella comunità spicca la presenza del giovane Lazzaro, un ragazzo talmente semplice e buono da apparire quasi stupido e del quale gli altri contadini sono soliti approfittarsi, affidandogli i compiti più gravosi.
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"Lazzaro felice" è la terza opera cinematografica di Alice Rohrwacher e racconta la storia di un gruppo di contadini costretti a vivere in delle catapecchie fatiscenti adiacenti ad una vecchia villa padronale e obbligati a lavorare la terra per conto di una dispotica contessa, vivendo una vita povera, priva di ogni diritto lavorativo e nella totale incosapevolezza del fatto di essere sfruttati. Nella comunità spicca la presenza del giovane Lazzaro, un ragazzo talmente semplice e buono da apparire quasi stupido e del quale gli altri contadini sono soliti approfittarsi, affidandogli i compiti più gravosi. Lazzaro vedrà cambiare la propria vita nel momento in cui instaurerà un'amicizia, tanto profonda quanto anomala, con Tancredi, il figlio della contessa. I due sembrano quasi completarsi a vicenda: la fervida immaginazione di Tancredi, il quale vuole ribellarsi al mondo nel quale la famiglia lo obbliga a vivere, si miscela con l'ingenuità infantile e disarmante di Lazzaro, che invece nulla sa del mondo circostante. La vita riserverà poi a Lazzaro delle sorprese, che sono tali anche per lo spettatore, e che lo porteranno a vivere un'esistenza diversa dagli altri a causa del suo essere speciale.
Il film della Rohrwacher è una sorta di favola moderna, dai risvolti metaforici, e che può essere divisa in due grandi tronconi che corrispondono orientivamente alle due metà del film.
La prima parte offre uno spaccato della vita contadina che è stata uno dei punti cardine dell'Italia nel periodo a cavallo della seconda guerra mondiale. Veniamo immersi nel mondo di questa povera gente che vive in un mondo che non esiste più, un mondo che per loro rappresenta un'abominevole normalità. E a farci da guida inconsapevole in questo contesto, troviamo un ragazzo dagli occhi limpidi come Lazzaro, che sembra (è?) un angelo sceso lì tra quella povera gente come se il suo compito sia quello di prendersi carico delle loro sofferenze.
La seconda parte, della quale non voglio svelare nulla perchè rappresenta quella più intrigante per l'evoluzione che la storia attraversa, è di tenore solo apparentemente diverso, ma in realtà nasconde tra le pieghe dei personaggi e delle vicende un mondo che non è cambiato alcun modo.
L'opera della Rohrwacher riesce ad essere allo stesso tempo delicata, con la figura di Lazzaro che non può che instillare un senso di dolcezza nello spettatore, ma anche potente e con un senso incombente di fatalismo che la pervade sino al durissimo finale.
Bisogna ovviamente accettare alcune incongruenze narrative, necessarie affinchè il racconto possa andare avanti e prendere la piega desiderata, ma come già detto all'inizio siamo davanti ad una favola. Una favola che spazia dai canoni bucolici a quelli post-moderni e vagamente distopici, con un fulcro centrale rappresentato da Lazzaro.
Da un punto di vista tecnico il film è più che godibile, girato bene dalla Rohrwacher anche grazie alla presenza di veri contadini (reclutati dalla regista tra coloro che avevano la possibilità di lasciare le proprie terre per tutto il tempo delle riprese) e di un protagonista, Adriano Tardiolo, che bagna il proprio esordio al cinema con una prova convincente nei panni di Lazzaro.
La sceneggiatura è più che interessante, non a caso premiata al recente Festival di Cannes; la fotografia partecipa alla creazione di un'atmosfera dai tratti prevalentemente malinconici, grigi.
Nel complesso, un film che rende necessaria un'opera di riflessione per poter essere analizzato e apprezzato (e anche per questo ho voluto prendermi del tempo prima di recensirlo, avendolo già visto diverse settimane fa). A mio parere, è un film che offre diverse chiavi di lettura, il che lo rende di un certo spessore e per nulla banale.
Si va ad incastonare tra le pellicole più interessanti della recente stagione cinematografica italiana.
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giacomoricci
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domenica 10 giugno 2018
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un film nobile negli intenti ma noioso nei fatti.
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Devo amettere che ame Alice Rohrwacker è sempre piaciuta come regista e infatti i suoi primi due film corpo celeste e le meraviglie mi avevano conquistato. io infatti personalmente quando ho saputo che sarebbe uscito il suo nuovo film e che era stato tra l'altro apprezzatissimo al festival di cannes avevo grandissime aspettative. purtroppo però quando sono andato a vederlo la prima settimana di proiezione sono andato sono uscito completamente deluso econ il cuore spezzato perchè mi aspettavo il dilm dell'anno e invece poi si è rvelato tutto fumo e niente arrosto. il problema principale del film secondo me è che c'è troppa carne al fuoco che rende la stroia (e sopratutto i personaggi) del tutto inconsistenti senza alcuno spessore.
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Devo amettere che ame Alice Rohrwacker è sempre piaciuta come regista e infatti i suoi primi due film corpo celeste e le meraviglie mi avevano conquistato. io infatti personalmente quando ho saputo che sarebbe uscito il suo nuovo film e che era stato tra l'altro apprezzatissimo al festival di cannes avevo grandissime aspettative. purtroppo però quando sono andato a vederlo la prima settimana di proiezione sono andato sono uscito completamente deluso econ il cuore spezzato perchè mi aspettavo il dilm dell'anno e invece poi si è rvelato tutto fumo e niente arrosto. il problema principale del film secondo me è che c'è troppa carne al fuoco che rende la stroia (e sopratutto i personaggi) del tutto inconsistenti senza alcuno spessore. a partire dal protagonista che da l'idea di essere un povero deficente che fa tutto quello che la gente gli chiede , questo personaggio sarebbe potuto essere approfondito in maniera molto piu poetica e invece la regista si è ben guardata dal farlo ed ha scelto la via più semplice vvero quella di farlo apparire come un povero scemo senza dargli apputno alcuno spessore. tuttavia però il film passa da una prima patte girata discretamente bene con un ottima fotografia e interpretazioni ad una seconda parte soporifera e banale dove non si capisce il perchè dell'avvenire di alcuni fatti. in conclusione questo film è stata solo un occasione spreacata e devo dire che io da una regista come Alice Rohrwacker non mi sarei mai aspettato un opera di unacosi grande superficialità.
un film apputno nblie negli intenti ma noiossimo nei fatti.
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