nucciogiordano
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giovedì 26 agosto 2021
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una domanda riguardo al film rosso insambul.
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Il mio giudizio sul film (mediocre) è del tutto soggettivo in quanto ammetto di essere carente di una solida cultura cinematografica , ma rimango della stessa opinione dopo due visioni.A parte cio',ho una domanda:perchè la madre di Deniz afferma ,disinvoltamente,all'attore principale di dover abbandonare -di nuovo- un'altra casa?Insomma , perchè questo continuo traslocare?Grazie.
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nanobrontolo
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domenica 20 giugno 2021
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cosa avrà voluto dire?
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Atmosfere e fotografia Ozpetek 100%. Ma per tutto il resto non ho capito cosa ha voluto dire: inutile e noioso!
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martedì 2 febbraio 2021
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confermo
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Confermo la inemozionlitá che non ho provato, in questo film, di Ozpetek....ho visto solo Napoli Velata e Le Fate ignoranti di lui, peró anche tanta carne al fuoco e tensione che sfociava spesso e quasi sempre in bellezza, oppure in emozioni ..gradevoli
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no_data
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mercoledì 6 giugno 2018
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istanbul la bella
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Non è il miglior Ozpetek, ma visto che parliamo di un genio , un maestro assoluto di cinema il film è comunque da vedere ed ha un suo fascino ed un suo perchè . visto chi c'è dietro la macchina da presa non potrebbe essere altrimenti.
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sebastiano.lorusso
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lunedì 25 settembre 2017
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artificioso e inutilmente lento
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Se nei primi prodotti Ozpetek potesse quantomeno vantare una qualche originalità tematica, che tuttavia non ha mancato, talvolta, di risultare troppo uguale a se stessa, "Rosso Istanbul" è l'ennesimo riproporsi degli stessi soggetti, seppur con qualche trascurabile novità, con una grossolana caduta stilistica. Il vero sbaglio è nella concezione di questa pellicola, tratta da un romanzo che non ho letto ma immagino sia decisamente entusiasmante per spingere il suo stesso autore a trarne un film. Un film in cui evidentemente il regista non ha saputo smettere di essere scrittore, cadendo in una rappresentazione eccessivamente romanzata e poco cinematografica.
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Se nei primi prodotti Ozpetek potesse quantomeno vantare una qualche originalità tematica, che tuttavia non ha mancato, talvolta, di risultare troppo uguale a se stessa, "Rosso Istanbul" è l'ennesimo riproporsi degli stessi soggetti, seppur con qualche trascurabile novità, con una grossolana caduta stilistica. Il vero sbaglio è nella concezione di questa pellicola, tratta da un romanzo che non ho letto ma immagino sia decisamente entusiasmante per spingere il suo stesso autore a trarne un film. Un film in cui evidentemente il regista non ha saputo smettere di essere scrittore, cadendo in una rappresentazione eccessivamente romanzata e poco cinematografica. Il titolo è senza dubbio di grande suggestione, un'aspettativa che va completamente perduta come se il regista avesse deciso prima il nome del film per poi percorrere una strada diversa dalla sua idea iniziale, dimenticandosi di questo "rosso" che profumava di incenso e che invece si scioglie unicamente nella (pacchiana) schermata di transizione per i titoli di coda. Ma, senza lasciarsi trasportare da aspettative da botteghino, ciò che colpisce sono i dialoghi e la loro disarmante artificiosità. Se l'arte letteraria e quella cinematografica sono distinte è perche si basano su tecniche distinte. Motivo per il quale un regista non può estrarre da un (suo) romanzo frasi come "Il dolore separe le persone o le unisce per sempre" o "Non è un uomo felice - Chi di noi lo è?" e inserirle a crudo in un prodotto cinematografico. Ne nascono dialoghi innaturali e pomposi, che, con il solito sfondo ozpetekiano di amori infelici, nostalgia, solitudine e disagio, danno origine a un film inutilmente lento e in definitiva privo di un pathos genuino.
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lupo67
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martedì 25 luglio 2017
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un rosso sconclusionato
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Voto: 6
Tratta dall’omonimo libro scritto dallo stesso regista turco, e dedicato a sua madre, quest’ultima opera è un racconto dalla trama aperta: lo scrittore Orhan Sahin torna nella natìa Turchia per aiutare il famoso regista Deniz Soysal con il suo primo romanzo. Lì, incontrerà persone e luoghi che rievocheranno una vita che si era lasciato alle spalle.
Una trama come questa lascia spazio a qualsiasi cosa, ma sebbene abbia campo libero, Özpetek sceglie un percorso involuto, che vorrebbe ripiegare il personaggio (lo scrittore) su se stesso, scoprirne la storia passata intrecciandola con quella del regista e con i ricordi della Instanbul ritrovata, spiegarne l’allontanamento forzato e creare in tutto questo un nuovo amore.
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Voto: 6
Tratta dall’omonimo libro scritto dallo stesso regista turco, e dedicato a sua madre, quest’ultima opera è un racconto dalla trama aperta: lo scrittore Orhan Sahin torna nella natìa Turchia per aiutare il famoso regista Deniz Soysal con il suo primo romanzo. Lì, incontrerà persone e luoghi che rievocheranno una vita che si era lasciato alle spalle.
Una trama come questa lascia spazio a qualsiasi cosa, ma sebbene abbia campo libero, Özpetek sceglie un percorso involuto, che vorrebbe ripiegare il personaggio (lo scrittore) su se stesso, scoprirne la storia passata intrecciandola con quella del regista e con i ricordi della Instanbul ritrovata, spiegarne l’allontanamento forzato e creare in tutto questo un nuovo amore. Ma niente riesce davvero, di Instanbul si vede poco, con Özpetek che non sfrutta nemmeno le turbolenze politiche che hanno effettivamente ritardato per settimane l’inizio delle riprese.
Della recitazione non è possibile dare una reale valutazione, perché i personaggi sono poco più che simboli, allegorie, e richiamano ora un legame, ora l’amore, ora il desiderio, ora la perdita, ora la disperazione. E questo avrebbe anche potuto avere una sua bellezza, se fosse stato amalgamato al resto e restituito visivamente invece che attraverso citazioni e bigliettini disseminati qua e là. Özpetek è un regista che parla di sentimenti, resi vividi dal suo modus narrativo, ma in questo film fa in qualche modo cilecca, occupato a tessere una trama innaturale, volta ad un finale che sarebbe poetico se non fosse a sua volta innaturale, surrettizio, ed una conclusione che non convince.
I momenti più veri ed empatici sono quelli tra Orhan e la madre di Deniz, Sureyya, e quelli in cui la poesia affiora. Ma solo, a mio modesto avviso, per la sensibilità dell’attrice, Cigdem Onat, che coglie appieno il suo ruolo.
Altro peccato è che nonostante il film sia stato girato con tutto il cast turco, e interamente in Turchia, non se ne coglie il sapore, non si vive o respira Instanbul, niente ci viene raccontato di quella cultura che in fondo conosciamo così poco.
Il film non è da buttare via, comunque. Sebbene insufficiente, è possibile amarlo. Ma bisogna amare fortemente Özpetek perché questo succeda. A me non succede.
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elgatoloco
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domenica 25 giugno 2017
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oztepek notevolissimo
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Proustiano, qui(non conosco, confesso le altre opere dell'autore-cui mi avvicno solo ora, vedendo questo film), nel senso della"recherche du temps perdu". Ed è questa, credo, la chiave migliore per leggere il film: è quanto fa l'autore-protagonista(meglio: Oztepek stesso nei panni del protagonista o meglio ancora che si immedesima nello stesso)come colui che rivive, a scopo letterario(lasciamo perdere, provviosoriamente il fatto che il regista sia anche scrittore e abbia scritto un libro da cui il fim è tratto o a cui comunque esso si riferisce)la vita di un amico che non si trova-ri/trova, ed ecco il tempo appunto perduto emblematizzato anche come simbolo ma pienamente anche come tale. Temppo perduto, ma ritrovato nella creazione artistica, dove il décalage con la"realtà"è comunque fondamentale e qui dissento anche da chi rimprovera a Oztepek di essere "troppo enigmatico": l'engima, credo, gli appartiene a pieno titolo , è suo tout court e perché mai dovrebbe negarlo?).
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Proustiano, qui(non conosco, confesso le altre opere dell'autore-cui mi avvicno solo ora, vedendo questo film), nel senso della"recherche du temps perdu". Ed è questa, credo, la chiave migliore per leggere il film: è quanto fa l'autore-protagonista(meglio: Oztepek stesso nei panni del protagonista o meglio ancora che si immedesima nello stesso)come colui che rivive, a scopo letterario(lasciamo perdere, provviosoriamente il fatto che il regista sia anche scrittore e abbia scritto un libro da cui il fim è tratto o a cui comunque esso si riferisce)la vita di un amico che non si trova-ri/trova, ed ecco il tempo appunto perduto emblematizzato anche come simbolo ma pienamente anche come tale. Temppo perduto, ma ritrovato nella creazione artistica, dove il décalage con la"realtà"è comunque fondamentale e qui dissento anche da chi rimprovera a Oztepek di essere "troppo enigmatico": l'engima, credo, gli appartiene a pieno titolo , è suo tout court e perché mai dovrebbe negarlo?). Del resto l'opera d'arte, contrariamente alla logica"("l'enigma non esiste", Wittgenstein dixit, ma, appunto si riferiva alla teoria della conoscenza)si muove nello spazio dell'indicibile, almeno parzialmente e dunque appartiene a questo ambito, lo si voglai o no e l'écart rispetto all'immediatamente(o mediatamente)razionalizzabile nell'arte c'è sempre. Ritorno alla Turchia, alla sua Istanbul, anche, ma è un'Istanbul rivissuta, ri-memorata, dove certamente non importa che essa sia più di tanto materialmente visibile-vista. Anche qui, dunque, dissento da chi vorrebbe "vedere tutto", intenderlo di primo acchito, semplicmente vedendolo, appunto. Una forma di critica, quella che vuole subito intendere tutto, che bypassa lo"scarto", appunto, quando nella comunicazione artistica è, se non"indicibile",al di là della lettura-comprensione immediata... Ancora una volta, citando uno psicoanalista che nega di essere"filosofo", ma sicuramente è stato molto vicino alle avanguardie artistiche(segnatamente al surrealismo): "CHi mi interroga mi comprende"(Jacques Lacan). Dell'inteprete principale non c'è da dire altro che è bravissimo, il che vale sostanzzialmente anche per tutti gli/le altri/e interpreti e Oztepek realizza un'opera che andrà ancora vista-esaminata senza quei paraocchi che spesso si mettono o per spocchia o per pregiudizio oppure, ancora, perché da un'opera ci aspettiamo qualcosa di diverso da quello che poi vediamo o leggiamo. Da vedere e rivedere(ove possibile)sforzandosi, appunto, di non voler vedere qualcosa che non c'è, sovrapponendo proprie intenzioni a quelle dell'autore-creatore, sempre che l'espressione non suoni troppo legata all'estetica e alla poetica di altri tempi(leggi : Romanticismo, ovviamente). El Gato
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g_andrini
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venerdì 16 giugno 2017
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buon film
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E' un po' spiazzante all'inizio ma è bello che sia così, si dimostra in alcuni frangenti piuttosto originale. Consigliata "La Traviata" dello stesso autore.
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venerdì 28 aprile 2017
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noioso
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Una noia mortale.Tra il pubblico qualcuno addirittura russava...
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