tommy51
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domenica 21 gennaio 2018
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delusione totale !!!!
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vado in controtendenza rispetto alla maggior parte dei commentatori : a me il film non è piaciuto per niente, vorrei capire dov' è il romanticismo , vorrei capire dov'è la favola, vorrei capire perchè un tema così comune come il superamento di tanti ostacoli interiori derivanti da qualsivoglia causa, x dichiarare il proprio amore, debba essere rappresentato in una maniera così realista...perchè un regista ti deve costringere a interpretare, a dare significato a sogni incomprensibili, ad essere violentati da immagini di bestie macellate o di pseudopsicologi di cui non si capisce il senso, e tanto altro ancora ???? ero andato a vederlo con tante attese.
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vado in controtendenza rispetto alla maggior parte dei commentatori : a me il film non è piaciuto per niente, vorrei capire dov' è il romanticismo , vorrei capire dov'è la favola, vorrei capire perchè un tema così comune come il superamento di tanti ostacoli interiori derivanti da qualsivoglia causa, x dichiarare il proprio amore, debba essere rappresentato in una maniera così realista...perchè un regista ti deve costringere a interpretare, a dare significato a sogni incomprensibili, ad essere violentati da immagini di bestie macellate o di pseudopsicologi di cui non si capisce il senso, e tanto altro ancora ???? ero andato a vederlo con tante attese...ne sono uscito completamento deluso!!!!
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lunedě 15 gennaio 2018
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belle idee ma grande lentezza
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Un film denso di significati, con vissuti inusuali e di personaggi emarginati. Bella fotografia e regia interessate ma completamente privo di ritmo e colpi di scena, finale scontato e che fa leva sui sentimenti. Diverse immagini crude e che puntano a suscitare ribrezzo e sgomento, apprezzabili ma non per deboli di stomaco. Ottimi spunti di riflessione su realtŕ lavorative poco conosciute e psicologia del lavoro e delle relazioni in generale. Purtroppo molto noioso, se siete impazienti difficilemente tollerabile, non credo lo riguarderei pur essendo persona riflessiva e amante dei dettagli di cui questo film č piacevolmente ricco.
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angeloumana
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sabato 13 gennaio 2018
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anche le corazze si aprono
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La difficoltà di due adulti di arrivare all'amore, questo è il nòcciolo del film Corpo e Anima, le corazze e armature che vietano a molti adulti che le loro anime comunichino. Una curiosità resta: è quella di sapere il significato del titolo ungherese A testrol és a lélekrol. In relazione a ciò cito le parole di Cristina Piccino del Manifesto, che ha scritto: (qst film è) “un bel modo per iniziare il nuovo anno cinematografico 2018, nonostante il doppiaggio, a cui ci si deve rassegnare visto che il pubblico per film come questo è quello che preferirebbe le versioni originali”.
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La difficoltà di due adulti di arrivare all'amore, questo è il nòcciolo del film Corpo e Anima, le corazze e armature che vietano a molti adulti che le loro anime comunichino. Una curiosità resta: è quella di sapere il significato del titolo ungherese A testrol és a lélekrol. In relazione a ciò cito le parole di Cristina Piccino del Manifesto, che ha scritto: (qst film è) “un bel modo per iniziare il nuovo anno cinematografico 2018, nonostante il doppiaggio, a cui ci si deve rassegnare visto che il pubblico per film come questo è quello che preferirebbe le versioni originali”.
Le due anime in questione sono Maria, la giovane nuova addetta al controllo qualità in una ditta di macellazione carni, e il più maturo Endre, direttore finanziario della stessa ditta. L'una precisa, metodica, quasi maniacale nel lavoro e nella sua vita in solitudine, per niente avvezza a relazioni amorose con l'altro sesso. Quando si fà all'idea di avvicinarsi all'uomo - nel modo semplice e diretto che la sua inesperienza le detta - consulta il suo psicologo per l'infanzia che frequenta già da bambina, tenta di scoprire com'è l'amore osservando gli altri, tenera e inesperta vede due che si baciano in un parco pubblico, e questo sguardo è inquietante e comico assieme. Si lascia un po' andare al suono e alle parole di una canzone che la venditrice di dischi le propone: don't tempt me … please, pare di cogliere nella voce flautata della cantante. L'altro, guardingo e avveduto, dice di aver messo da parte l'amore e le relazioni da molto tempo, solo una volta lo vediamo a letto con una prostituta (come non pensare, per entrambi, ai protagonisti maschili di Le vite degli altri e di Still Life...). Però osserva molto la nuova assunta nel luogo di lavoro, ne è incuriosito mentre lei se ne stà preferibilmente nell'ombra e da sola.
Scopriranno di fare da tempo un identico sogno: due cervi che si guardano a distanza in un bosco innevato, un paesaggio silenzioso e purissimo, come l'ambiente immaginario (e onirico, dunque) in cui i due vivono: Maria è dotata di ottima memoria (non sempre utile, dice a un tratto), immagina che due suoi pupazzetti interpretino le scene dei loro incontri impacciati in ufficio, fa loro ripetere le rare parole che si sono detti di presenza Solo qualche avvicinamento avviene tra i due animali in questi sogni, ma molto discreto, di più: molto rispettoso del rispettivo spazio. E' la stessa “tecnica” che adotta Endre, ha il modo giusto per aprire lentamente l'armatura che Maria si è costruita a sua difesa. Un'altra che l'ha saputa capire è l'anziana e colta di vita donna delle pulizie della ditta, le suggerisce come una signorina può ancheggiare un poco per rendersi più attraente, ma senza esagerare.
Orso d'oro a Berlino 2017 al 62enne regista Ildikò Enyedi e candidato all'Oscar come miglior film straniero, 4 stelle su 5 di critica e pubblico su MyMovies ma … è chiaro che molti non lo vedranno. Vedranno piuttosto film di genere più “facile”, non impegnativi (ma questo non lo è, basta solo un po' di pazienza nei 116 minuti e tutto accade), più reclamizzati e dotati di grossi produttori alle spalle (tipo Weinstein?), quelle visioni che poi fanno constatare come gli incassi e il pubblico siano drammaticamente diminuiti nel 2017, almeno in Italia. Ultima nota: nei titoli di coda è detto che nessun danno al solo scopo di riprese è stato fatto agli animali, dove i corpi dei bovini sono mostrati con abbondanza di particolari, la macelleria era reale ma la visione è un motivo in più per non mangiar carne!
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angeloumana
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sabato 13 gennaio 2018
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nome della canzone principale della colonna sonora
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Ciao a tutti,
qualcuno di voi sa indicarmi il nome o il testo della canzone inglese che 2 o 3 volte fa da colonna sonora del film?
Sulla rete non si trova traccia.
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Ciao a tutti,
qualcuno di voi sa indicarmi il nome o il testo della canzone inglese che 2 o 3 volte fa da colonna sonora del film?
Sulla rete non si trova traccia...
Grazie a chi mi rispondera'. Angelo.
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[+] la musica di sottofondo dei titoli in finale
(di emasbt)
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zarar
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lunedě 8 gennaio 2018
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la forza di chi dŕ corpo a metafore e sogni...
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Quello che dà un tono assolutamente inusuale e spiazzante a questo film è l’idea straordinaria di dare corpo – per così dire – ad una serie di metafore del nostro tempo relative alla nostra condizione e ai rapporti interpersonali. Diciamo che viviamo in un macello di società, che sopportiamo con cinismo e indifferenza, pena venirne schiacciati? Ebbene, il film è ambientato in un macello, che esibisce ad ogni momento la straziante sofferenza dell’animale di fronte all’indifferenza tranquilla, al tran tran, alle battute di operai e impiegati.
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Quello che dà un tono assolutamente inusuale e spiazzante a questo film è l’idea straordinaria di dare corpo – per così dire – ad una serie di metafore del nostro tempo relative alla nostra condizione e ai rapporti interpersonali. Diciamo che viviamo in un macello di società, che sopportiamo con cinismo e indifferenza, pena venirne schiacciati? Ebbene, il film è ambientato in un macello, che esibisce ad ogni momento la straziante sofferenza dell’animale di fronte all’indifferenza tranquilla, al tran tran, alle battute di operai e impiegati. Diciamo che ci sentiamo ingabbiati nel nostro corpo, handicappati, bloccati quando vorremmo disperatamente comunicare? Ebbene dei due personaggi principali, Endre, un dirigente del macello, è un tipo legnoso, rigido come un palo, bloccato nei movimenti da un braccio morto; Mária, l’ispettrice per la qualità nella stessa struttura, ha comportamenti autistici al limite di una seria patologia, tanto da essere continuamente bersaglio di aperta derisione. C’è il disperato per amore che dice: “mi sento morire?” e in quel momento vediamo Maria che si sente veramente morire… Diciamo, accanto ad un’anima gemella, che condividiamo i nostri sogni? Ebbene, Endre e Mária scoprono ‘casualmente’ il fatto mirabolante di condividere immagine per immagine, sfondo per sfondo i loro sogni, sogni stupendi di cervi che vagano liberamente e si inseguono e si incontrano in un paesaggio appena innevato di foreste intatte, in un’atmosfera lattiginosa che suggerisce infanzia e purezza, ‘anima’, come dice il titolo del film, un onirico assolutamente poco freudiano, che non scopre i demoni, ma le più autentiche aspirazioni dell’essere. E’ la percezione di questa voluta, insistita, prepotente trasposizione che chiama in causa le verità profonde che nascondiamo dietro metafore di cui non sentiamo nemmeno più la forza, che cattura lo spettatore, che gli fa sentire l’autenticità e la verità in una trama apparentemente assurda e che lo mette in profonda consonanza con i personaggi. Senza avvertire incongruenze o dissonanze, sentiamo la tensione e persino la suspence di un processo lento e drammatico, ma anche buffo, anche tenero, anche poetico, di recupero della percezione consapevole dell’altro, dell’empatia, del contatto spontaneo e naturale, nell’attesa di uno scioglimento che dia corpo alla felice agile anima del sogno. Immagini, inquadrature, atmosfere di grande forza, che dicono assai più delle parole. Da vedere.
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manuelazarattini
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domenica 7 gennaio 2018
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storia vera o favola?
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Un bel racconto, in cui parlano soprattutto le espressioni degli interpreti piů che le parole. Originale anche il contesto in cui i due protagonisti si incontrano: un mattatoio, dove la vita di chi ci lavora si intreccia inevitabilmente con la morte cruenta e inconsapevole delle bestie destinate al macello. Ma resta un dubbio sulla mite dottoressa ispettrice e sul buono ma fermo capo reparto. Esistono ancora donne che non hanno il cellulare, vivono completamente isolate pur essendo affermate professionalmente? Esistono ancora uomini cosě profondamente solitari ma anche cosě di buon carattere e cosě simpatici? La risposta a queste due domande č anche la risposta al titolo di questo mio commento sul film.
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Un bel racconto, in cui parlano soprattutto le espressioni degli interpreti piů che le parole. Originale anche il contesto in cui i due protagonisti si incontrano: un mattatoio, dove la vita di chi ci lavora si intreccia inevitabilmente con la morte cruenta e inconsapevole delle bestie destinate al macello. Ma resta un dubbio sulla mite dottoressa ispettrice e sul buono ma fermo capo reparto. Esistono ancora donne che non hanno il cellulare, vivono completamente isolate pur essendo affermate professionalmente? Esistono ancora uomini cosě profondamente solitari ma anche cosě di buon carattere e cosě simpatici? La risposta a queste due domande č anche la risposta al titolo di questo mio commento sul film. Comunque lo consiglio. Da vedere.
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valterchiappa
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domenica 7 gennaio 2018
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perche' l'amore diventi realta'
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L’anima ha il colore blu e risiede in un bosco innevato. Il corpo è rosso di sangue che sgorga in stanze oscure. Colori che non riescono a fondersi. Due spiriti predestinati, quelli di Endre (Morcsányi Géza) e Maria (Alexandra Borbély), incapaci di incontrarsi: occhi che si osservano a distanza, corpi fra cui si interpongono distanze orizzontali o che giacciono su piani diversi.
Un uomo e una donna paralizzati. Maria, con un’infanzia presumibilmente difficile da cui non sa staccarsi, è un’anima bambina. Il suo mondo, governato da una memoria autistica, si racchiude in un’algida perfezione dove i millimetri hanno valore e la polvere va rimossa.
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L’anima ha il colore blu e risiede in un bosco innevato. Il corpo è rosso di sangue che sgorga in stanze oscure. Colori che non riescono a fondersi. Due spiriti predestinati, quelli di Endre (Morcsányi Géza) e Maria (Alexandra Borbély), incapaci di incontrarsi: occhi che si osservano a distanza, corpi fra cui si interpongono distanze orizzontali o che giacciono su piani diversi.
Un uomo e una donna paralizzati. Maria, con un’infanzia presumibilmente difficile da cui non sa staccarsi, è un’anima bambina. Il suo mondo, governato da una memoria autistica, si racchiude in un’algida perfezione dove i millimetri hanno valore e la polvere va rimossa. Vive al buio, si rifugia nell’ombra, il rosso che gira altrove non entra nella sua stanza blu. L’amore che ha dentro non diventa contatto, non si traduce in parola.
Endre, offeso nel corpo, chiuso nella stanza da cui non esce mai, ha relegato le pulsioni alla prospettiva distante e angolata della sua finestra e allo sguardo che inevitabilmente si posa sugli elementi dell’attrazione femminile.
Si incontrano in un luogo simbolico, un macello, dove vita e morte, gelo e sangue convivono. A quei cuori che non sanno parlarsi la regista Ildikò Enyedi costruisce un mondo fatto solo per loro, un bosco incantato che magicamente ricorre nei sogni di entrambi. Li trasforma in cervi, l’animale, che si contrappone alla cieca forza generatrice del toro. Fra la neve, nel freddo il maschio, maestoso, carezza col muso la giovane cerbiatta, cerca cibo per lei.
Finalmente uniti in un mondo onirico, i cuori oscurati che hanno cercato la luce in un raggio di sole ora la trovano negli occhi dell’altro. L’ostacolo da superare sarà riportare quel sogno nel mondo reale, farlo diventare vita. Il viaggio di Maria, forte della testarda determinazione che solo i cuori innamorati sanno avere, è la conquista della corporeità, del contatto, del calore.
Difficile raccontare l’amore e la sua difficoltà in maniera più poetica. Un cinema fatto di dettagli infinitesimi: punte dei piedi che si ritraggono nell’ombra, visi che vanno a bagnarsi nel sole, minuscoli oggetti che dialogano fra loro, rapidi gesti delle mani, briciole rapidamente spazzate via. Un cinema fatto di inquadrature eloquenti più delle parole, dalle distanze perfettamente misurate, in cui ostacoli, opachi o traslucidi, sono collocati a frapporsi tra le figure. Un cinema fatto di cromatismi contrastanti, ma mai esasperati, nel segno di una delicatezza di tocco impareggiabile. Parte di tanta tenerezza è anche il sorriso che la svelata ingenuità di Maria sa destare, utile contrappunto nel filo drammaturgico all’iniziale freddezza. Sacrosanto l’Orso d’oro all’ultimo Festival internazionale del cinema di Berlino.
La mano felicissima di Ildikò Enyedi viene assecondata dalla straordinaria recitazione di Alexandra Borbély e Morcsányi Géza, i due protagonisti. Poche parole a disposizione. La luce che la regista richiede si accende gradatamente sui loro volti, sui sorrisi timidamente accennati, negli sguardi che si illuminano fino a sfavillare.
Perché l’amore diventi carne, sarà necessario spingersi fino alle estreme destinazioni del viaggio: sposare il sangue. Questo il destino dei grandi amori. Ma, giunti alla meta, allora il sonno sarà placido: non c’è più bisogno di sognare.
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gianniquilici
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domenica 7 gennaio 2018
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coraggioso, poetico, originale
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di Gianni Quilici
E' un film coraggioso, che sembra cedere, qua e lŕ, a possibili linee di fuga, ma che, invece, rimane ancorato al suo centro, con rilanci indovinati, che sorprendono e anche “prendono”. Il centro č una storia d’amore originale in un luogo, il mattatoio, in cui la regista non ci risparmia la crudezza tecnologica con cui i macchinari uccidono, tagliano, spezzano le povere, mansuete, innocenti mucche. L’originalitŕ č data dalla profonditŕ e specificitŕ dei due protagonisti e dalla difficoltŕ che attraversa il loro progressivo, lento, avvicinamento amoroso, in un ambiente grigio e mediocre e tuttavia pieno di frustrazioni e desideri. Lui, 50enne con un braccio paralizzato, č il direttore del mattatoio ed č deluso dalle donne tanto che ha deciso di chiudere con loro; lei, una 30enne, nuova responsabile della qualitŕ, bionda e carina, ma priva di esperienze erotiche, rigida, silenziosa e meticolosa come per difendersi dagli altri.
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di Gianni Quilici
E' un film coraggioso, che sembra cedere, qua e lŕ, a possibili linee di fuga, ma che, invece, rimane ancorato al suo centro, con rilanci indovinati, che sorprendono e anche “prendono”. Il centro č una storia d’amore originale in un luogo, il mattatoio, in cui la regista non ci risparmia la crudezza tecnologica con cui i macchinari uccidono, tagliano, spezzano le povere, mansuete, innocenti mucche. L’originalitŕ č data dalla profonditŕ e specificitŕ dei due protagonisti e dalla difficoltŕ che attraversa il loro progressivo, lento, avvicinamento amoroso, in un ambiente grigio e mediocre e tuttavia pieno di frustrazioni e desideri. Lui, 50enne con un braccio paralizzato, č il direttore del mattatoio ed č deluso dalle donne tanto che ha deciso di chiudere con loro; lei, una 30enne, nuova responsabile della qualitŕ, bionda e carina, ma priva di esperienze erotiche, rigida, silenziosa e meticolosa come per difendersi dagli altri. Il coraggio della regista ungherese, Ildikó Enyedi, nasce dal farli incontrare, oltre che nella realtŕ, anche nei sogni nelle vesti di due cervi, uno maschio e una femmina, che si annusano, bevono nell’acqua dei ruscelli, cercano cibo in una foresta innevata, inizialmente a loro insaputa, poi consapevoli casualmente. Una simbologia che poteva riuscire forzata, nella sua dimensione romantico-favolistica, ma che, invece, nella sua limpida implicita asciuttezza, si intreccia poeticamente alla vicenda reale. Intorno ai due protagonisti personaggi minori, che presentano una loro spiccata evidenza: l’amico, tradito forse dalla moglie, disperato, vendicativo e impotente; la psicologa erotica, disinibita, curiosa; la donna delle pulizie anziana, ma imprevedibilmente moderna e sottile; il dongiovanni ben piantato e spavaldo. Un film stratificato, scritto e realizzato dalla Enyedi con poetica intelligenza: un montaggio morbido e essenziale, una cinepresa che spesso viene collocata a distanza attraverso porte o vetri, con la cura e la rilevanza di improvvisi dettagli, una musica che sottolinea senza invadere e, infine, attori e attrici che si fanno, appunto, anima e corpo.
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francesca
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domenica 7 gennaio 2018
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alla riscoperta delle fiamme gemelle
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Un film delizioso che ha vinto l’Orso d’Oro di Berlino nel 2017. Una storia d’amore che va in controtendenza rispetto alle “mode” moderne. Due persone estremamente timide e con problematiche relazionali. Lei bloccata e freddissima negli scambi comunicativi con le persone, incapace di mostrare il proprio Io e che non conosce il senso del tatto. Lui con un braccio paralizzato e poco interessato ad approcciare velocemente l’universo femminile.
Due persone sconosciuto che per uno strano caso del destino, si ritrovano a riscoprirsi fiamme gemelle. Corpo, con tutte le sue problematiche, nella vita reale e Anima, con i suoi desideri, bisogni e amore, nel sogno.
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Un film delizioso che ha vinto l’Orso d’Oro di Berlino nel 2017. Una storia d’amore che va in controtendenza rispetto alle “mode” moderne. Due persone estremamente timide e con problematiche relazionali. Lei bloccata e freddissima negli scambi comunicativi con le persone, incapace di mostrare il proprio Io e che non conosce il senso del tatto. Lui con un braccio paralizzato e poco interessato ad approcciare velocemente l’universo femminile.
Due persone sconosciuto che per uno strano caso del destino, si ritrovano a riscoprirsi fiamme gemelle. Corpo, con tutte le sue problematiche, nella vita reale e Anima, con i suoi desideri, bisogni e amore, nel sogno. Sogno che fa riscoprire il bisogno, l’esigenza intima di ognuno di noi e che guida poi il percorso del corpo il giorno dopo, non senza difficoltà.
Un film delicato, che mostra gelosia, attenzione, seduzione, crescita sessuale, ossessione, ma in modo appena accennato, fuori dalle urla e dall’aggressività che si richiede oggi all’uomo. Una piacevole analisi della miseria dell’Uomo fatto di Anima, ma bloccato dal Corpo, che quando ritrova l’unione ritrova la Pace e la Serenità dell’Esistenza.
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freerider
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domenica 7 gennaio 2018
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disfunzionalitŕ relazionali
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Qualche punto di domanda si fa strada a partire da metà film e può rimanere nell'aria al termine della visione, ma la partenza è efficace e la buona impressione iniziale permane per tutta la sessione introduttiva e fino a che le singolarità dei personaggi restano inscritte nel raggio di una disfunzionalità relazionale fisiologica. Interessante in questa fase il realismo descrittivo dell'ambiente di lavoro (un macello bovino, scelta non facile) e dei rapporti interpersonali tra dipendenti, tematica invero ricorrente nel cinema proveniente dall'Est Europa, mentre uno stile asciutto e scarno (che non si nega però qualche laconica ironia alla Kaurismaki) lega perfettamente il tutto a un certo apprezzabile cinismo di fondo.
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Qualche punto di domanda si fa strada a partire da metà film e può rimanere nell'aria al termine della visione, ma la partenza è efficace e la buona impressione iniziale permane per tutta la sessione introduttiva e fino a che le singolarità dei personaggi restano inscritte nel raggio di una disfunzionalità relazionale fisiologica. Interessante in questa fase il realismo descrittivo dell'ambiente di lavoro (un macello bovino, scelta non facile) e dei rapporti interpersonali tra dipendenti, tematica invero ricorrente nel cinema proveniente dall'Est Europa, mentre uno stile asciutto e scarno (che non si nega però qualche laconica ironia alla Kaurismaki) lega perfettamente il tutto a un certo apprezzabile cinismo di fondo. Dove sorgono i primi dubbi è con l'avvicinamento dei due protagonisti, due persone diverse per età e storia personale che scoprono di avere qualcosa in comune che potrebbe legarli (legame funzionale ma per la verità abbastanza debole). Si sarebbe potuto declinare in molti modi tutto il ventaglio di difficoltà, opportunità, attrazione e respingimento che due individui sperimentano nel tentativo di relazionarsi, e solitamente più è temperato e sfumato il modo di rappresentarle maggiore è la sensazione di verosimiglianza e realismo che si possono percepire. In realtà il film sceglie, soprattutto nella protagonista femminile, un soggetto che se dapprima sembra soltanto estremamente rigido e introverso poi si rivela problematico e irrisolto (strano, a questo proposito, che viva completamente sola) e se questa estremizzazione da un lato può favorire l'inserimento di situazioni stralunate o drastiche dall'altro lato rischia di tramutare una storia d'amore astratta e faticosa in una vicenda di guarigione da patologia comportamentale. Lo stesso finale, a cui non si rinuncia per vedere come va a finire, abbina a breve distanza uno snodo narrativo drammatico ad uno "taumaturgico" - seppur tratteggiato senza alcuna ombra di trasporto - che nel suo essere meccanicamente salvifico o quantomento sbloccante ha qualcosa di involontariamente buffo.
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