La tenerezza

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La difficile via del ritorno Valutazione 4 stelle su cinque

di carlosantoni


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sabato 29 aprile 2017

E' un film che s'impone per rigore e tessitura costruttiva nel panorama deprimente dell'attuale stagione cinematografica. Amelio non delude, anzi sorprende per bravura e finezza, e il suo film parla di tante cose, su piani discorsivi diversi. Parla del rapporto tra genitori e figli, mostrandocelo come per niente scontato, tutt'altro, ricordandoci che è un rapporto difficile, che richiede impegno, applicazione costante: qualcosa che deve saper andare oltre l'incanto dei primi anni, deve saper affrontare il tempo difficile in cui i figli, crescendo, poco a poco diventano necessariamente qualcosa di diverso dai gioiosi bambolotti che ci eravamo ritrovati a coccolare.
Ci parla poi del'irrompere spesso del tutto inatteso della tragedia nella vita, qualcosa cui capita di non essere minimamente preparati, ma che tuttavia devasta la vita nostra e purtroppo non solo la nostra; e di come la tragedia, il precipitare tragico della vita in una dimensione di estremo dolore, ci porti, ci obblighi direi, a riconsiderare tutte quante le coordinate della nostra esistenza, a partire dalla storia e dalla struttura dei nostri propri sentimenti, delle nostre relazioni affettive, imponendo scelte, gerarchie di valori che poco tollerano il formalismo dei luoghi comuni. Ci si accorge di voler bene e di non voler bene, ci si accorge che è insopportabile l'assenza di chi veramente si ama o si è amato, e fastidiosa la presenza di chi ci sta intorno per mera consuetudine. Il dolore, quanto più profondo, ci obbliga a una scelta, ad una selezione: la nostra tenerezza, e voglia di tenerezza, non si riverbera affatto in ogni direzione.
Il film ci parla poi di quanto sia labile il confine tra apparenza e realtà, di come sia difficile stabilire e mantenere un criterio astratto di "normalità" all'interno dei rapporti umani. Fin dalle prime scene Amelio ci mette in guardia: Elena (Giovanna Mezzogiorno) che fa la traduttrice per il tribunale di Napoli, casualmente si rende conto che un extracomunitario inquisito non la racconta giusta: lei sa con certezza, per motivi esterni all'apparenza "buonista" delle dichiarazioni dell'inquisito, che questi sta mentendo, ma il suo sapere non può riversarsi nella sua traduzione giurata, che dunque è destinata a rimanere monca e sostanzialmente non veritiera: "Oltre alle parole occorrerebbe poter tradurre lo sguardo, i gesti, il tono della voce...". Sì, perché come spesso accade nella vita, il mero linguaggio verbale, le cose dette, risultano assai distanti dalla realtà, mentre proprio il non detto sarebbe l'essenziale. E nella scena immediatamente su8ccessiva, Elena che in ospedale parla al capezzale di suo padre (che non si scorge in viso, che resta nascosto), dà l'impressione di parlare a un uomo malato, non si sa di cosa, tuttavia completamente immobile e incapace di comprendere. Ma anche questa è apparenza: il realtà l'uomo, Lorenzo, un anziano avvocato interpretato da uno strepitoso Renato Carpentieri, è semplicemente un genitore che non sopporta minimamente i suoi due figli: Elena, appunto, sempre in cerca di un contatto col genitore, e l'arido, cinico Saverio, e che dunque finge di dormire, o comunque di non essere in grado di ascoltare. E quest'apparenza, che vela, nasconde, deforma la realtà trasformandola in conformismo, e che si rivela presente in tutto lo sviluppo della storia, anzi delle diverse storie personali, la si può dissolvere con lo sforzo del voler bene, col saper mettere in gioco la propria tenerezza.
Trama complessa, dialoghi coinvolgenti, recitazione raffinata (in primis del solidissimo Carpentieri e della Ramazzotti, così brava a mostrare la fragilità e la pulizia del personaggio, Michela, ma anche del sempre eccellente Germano e della convincente Mezzogiorno), bella fotografia, colonna sonora azzeccata, tutto concorre a fare de "La Tenerezza" un film eccellente.

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